Justified: C’era una volta il West…C’è oggi Harlan 2


Justified: C'era una volta il West...C'è oggi HarlanYou’ll never leave Harlan alive” recita una nota canzone country, descrivendo l’asprezza di un territorio ancora selvaggio nascosto tra le colline del Kentucky, un luogo selvatico che sembra fermo nel tempo, capace di entrarti dentro e non lasciarti più finché morti non ti separi da lui. Entrate dunque a vostro rischio e pericolo: qui non ci sono regole, tutto è “justified”…

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A fuggire dal Kentucky ci ha provato anche il marshall dal grilletto facile Raylan Givens, ma il mondo civilizzato non lo ha accettato e lo ha rispedito in quella amata/odiata Harlan che, suo malgrado, è ormai parte di lui. Da queste premesse nasce Justified, la prima serie tv creata da Graham Yost, uno degli sceneggiatori dietro il successo di prodotti come Band Of Brothers e The Pacific, che nel 2010 decide di adattare per la televisione i romanzi con protagonista Raylan Givens scritti da Elmore Leonard, una delle autorità nella letteratura western americana. Resosi conto del declino del genere, Leonard ha tentato negli ultimi anni di evolversi creando una sorta di mix tra la letteratura di frontiera che lo aveva lanciato e la crime novel più moderna. Da qui nascono i romanzi Pronto e A Caro Prezzo e soprattutto il racconto breve Fuoco in Buca, al quale Yost si ispira per la première della sua serie, che debutta nel 2010 con un boom di ascolti che il canale via cavo FX non vedeva dai tempi di The Shield.

Fin da subito, è Justified: C'era una volta il West...C'è oggi Harlanchiara l’intenzione di Yost di riallacciarsi a Deadwood, la serie western HBO terminata solo due anni prima. Da lì viene infatti il protagonista Timothy Olyphant e un mucchio di guest star tra cui W. Earl Brown, Sean Bridgers e Jim Beaver. Ciò nonostante, pur recuperando le architetture base del mondo di frontiera del grande western americano, Justified le condisce di quell’aspetto grottesco “made in Sergio Leone” e le trasporta in un contesto assolutamente contemporaneo (il Kentucky del 2010), creando così una sorta di ambientazione ibrida (e la sigla di apertura, Long Hard Times to come, che mischia rap e country, ne è l’esempio lampante), verosimile per i giorni nostri, ma allo stesso tempo bizzarra e parecchio stramba. Trattasi di un’operazione sofisiticata e molto più ragionata di quanto abbia fatto nel suo didascalismo il recente Hell on Wheels, che ha ripreso cliché e luoghi comuni del genere in modo sterile (non basta un faccione cupo e un cappello per fare selvaggio west), crogiolandosi in una compiaciuta lentezza che vorrebbe fare il verso ai più elegiaci (e funzionali) silenzi del western che fu. In Justified non mancano paesaggi rurali, duelli, dialoghi taglienti, facce da uomini duri e puri, ma tutto si scontra comunque con la contemporaneità e la serietà di un crime drama, in un pastiche di indubbia originalità che Yost ha imparato a gestire e a padroneggiare nel tempo.

Justified: C'era una volta il West...C'è oggi HarlanNonostante una riuscita première, infatti, i primi episodi tradiscono l’incertezza su che direzione far prendere alla serie: ottimi casi di puntata, ma tutto troppo immobile e statico. La serie subisce un calo di ascolti che va ben oltre il fisiologico, ma fortunatamente a metà stagione si inizia a spingere sull’acceleratore e l’insieme diventa esplosivo, arrivando ad un finale che, a giudizio di chi scrive, è uno dei migliori di quell’anno (e non solo). È in questo frangente che la serie trova i suoi personaggi e la sua cifra stilistica graffiante, consacrandosi in una seconda stagione che non sbaglia un colpo. Merito sì della scrittura, ma anche dell’azzeccatissimo cast, in grado di guadagnarsi da solo quattro nominations agli ultimi Emmy: Timothy Olyphant, Walton Goggins, Jeremy Davies (conosciuto ai più come il fisico Daniel Faraday di Lost) e soprattutto Margo Martindale, l’unica poi ad avere vinto per la sua interpretazione di Mags Bennett, un villain di cui la stampa ha tessuto tantissime e giuste lodi: le rotondità quasi materne e la tenera goffaggine del fisico dell’attrice incontravano le spigolosità della psiche ruvida e crudele di una donna segnata dal tempo e da una vita sfortunata, che da sola ha dovuto imparare a crescere tre figli maschi e a sopravvivere in un mondo spietato e maschilista, mettendo da parte le sue fragilità per trasformarsi in una spietata matriarca sulle cui rughe si percepisce tutta la durezza di un terra come quella di Harlan.

Molto più in generale, Justified è comunque diventato in questi due anni e mezzo uno dei serial più amati per la sua capacità di costruzione dei personaggi: cinque minuti sullo schermo e chiunque acquista già una sua riconoscibilità e un suo spessore, seppure ovviamente aiutato da un qualche elemento grottesco di facile presa sul pubblico. È così che Harlan è diventato un universo a sé che oggi sembra muoversi quasi da solo, un mondo che spiamo nel suo quotidiano determinarsi e in cui prende vita, come in un teatro, la follia della crimine, del potere e anche della giustizia (un po’ come la Charming criminale di Sons of Anarchy, sebbene la tragicità shakespeariana del drama di Kurt Sutter sia qui sostituita da una più comica vena satirica).

Justified: C'era una volta il West...C'è oggi HarlanIn un mondo così, facile che ci sia posto solo per uomini impavidi, ma i personaggi femminili non mancano e sono ben lontani dallo stereotipo della donzella da salvare. Non solo Mags, ma ci sono anche la zia Helen, che non si fa scrupolo a imbracciare il fucile o a redarguire i suoi due uomini della famiglia, Loretta, l’adolescente orfana che capisce subito come funzionano le cose a Harlan, Ava (la più amata dai fans), che non si fa problemi ad ammazzare il marito che la maltratta e che, inizialmente combattuta come l’eroine western tra l’amore per l’uomo di legge e quello per il criminale, ci mette giusto il giro di qualche episodio per abbracciare il crimine con soddisfatta convinzione. Un discorso a parte lo merita Winona (Natalie Zea), personaggio che ha attirato l’odio dei fans del serial (forse come solo Tara di True Blood è riuscita a fare), ma sulla quale gli autori continuano a puntare. Winona, diciamolo pure, è l’anti-justified per eccellenza: lì dove Raylan è “giustificato” a sparare quando lo ritiene più opportuno, in un mondo infantile dove tutti giocano con le pistole (salvo poi farsi male), Winona è il personaggio adulto fuori contesto, la madre borghese che deve fare crescere il bimbo Raylan e porlo per la prima volta di fronte alle sue responsabilità. Winona è una donna del ventunesimo secolo, che vedresti bene in una New York o in una Los Angeles, non certo nel Far-Kentucky-west. È colei che fa la ramanzina, che pone fine ai giochi, che ti rimprovera e te la fa pagare se non la ascolti. Detestabile? Sì, ma anche indispensabile per far evolvere Raylan e accrescere i suoi conflitti interiori e morali.

Justified: C'era una volta il West...C'è oggi HarlanSe Winona è lo specchio di ciò che Raylan dovrebbe essere ma che Raylan non vuole diventare, Boyd Crowder (un grandioso Walton Goggins) è invece colui che, in fondo, in fondo, Raylan vorrebbe essere ma non può. Entrambi tengono Harlan lontana dai “cattivi”, ma uno lo fa dalla sfera criminale, l’altro da quella della giustizia, moralmente migliore ma forse limitante. Il loro essere alleati/nemici/amanti in perenne litigio, rende Boyd una perfetta nemesi/spalla per il nostro protagonista, attraverso cui gli autori hanno finora regalato i dialoghi migliori e più epici della serie. Justified è questo, il western calato nella profonda provincia americana del terzo millennio, che fugge la civiltà capitalistica e si crogiola nella sua rozzezza. Se amate il genere non potrà non piacervi, se invece non lo avete mai digerito troverete comunque un crime talvolta drammatico, talvolta che si prende poco sul serio, ma sempre con dei personaggi che non potrete non amare e dai tempi perfetti sia nei dialoghi quanto nella narrazione.

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