E siamo a -3. Dopo dieci episodi di lunga preparazione, Fringe va nuovamente in pausa, ma lancia la volata verso il finale con un cliffhanger che punta direttamente al cuore della serie. E forse, per la prima volta in questa quinta stagione, si percepisce in modo tangibile il tentativo di dare organicità a tutto quello cui abbiamo assistito per cinque lunghi anni.
Donald is September
Tre parole e tre minuti posson bastar per far gridare al miracolo? Forse no, ma è evidente, nell’insieme totale della visione di Fringe, l’efficacia della conclusione di questo ottimo episodio, dove l’azione sposa alla perfezione la liricità della parabola conclusiva di questa serie.
Il cerchio si stringe (finalmente) in una visione di poco meno di un minuto, una sorta di auto-rivelazione che offre un assist perfetto agli ultimi tre episodi di gennaio (due, visto che l’ultimo sarà doppio), chiamati a dare una coerenza interna unitaria ad una storia passata in modo spesso rocambolesco tra esperimenti genetici, universi paralleli, terrorismo fantascientifico, fusioni di mondi, paradossi temporali, complessi di Dio, viaggi nel tempo, Osservatori e mondi distopici (spunti che, già da soli, potrebbero bastare per farci su più di una serie).
Dopo aver finalmente recuperato “Michael” (il pezzo più importante del piano), il team dei Bishop deve ora risalire all’identità di Donald e al resto del puzzle che Walter ha dimenticato. Per farlo, i nostri protagonisti hanno bisogno dell’aiuto di Nina Sharp, altro pilastro della serie che qui saluta gli spettatori e ci lascia non senza però aver prima sparato le sue ultime cartucce. Da ambigua custode di segreti alla Massive Dynamics a personaggio materno nel re-written della quarta stagione, il percorso di Nina si conclude in modo perfetto con un sacrificio sapientemente costruito attraverso un crescendo emotivo (reso splendidamente da Blair Brown), culminante con un confronto con Windmark da inserire senza dubbio tra i best moments di questa quinta stagione.
Il dialogo su lucertole ed esseri umani offre uno spunto per parlare della progressiva e paradossale regressione dell’uomo in un percorso erroneamente giudicato evolutivo, oltre a porre uno di fronte all’altro un personaggio privo di emozioni e una donna spinta invece proprio da esse all’atto estremo, per di più animata da una visione indotta da Michael che ci è rimasta oscura, ma che sicuramente le ha svelato il senso più profondo di molte cose, forse persino di se stessa. Del resto, come abbiamo imparato a conoscere, gli Osservatori altro non sono che il futuro della razza umana e il suo più totale fallimento, costretti a tornare indietro nel tempo per poter vivere dove, nel 2600, non era più possibile farlo.
In un episodio che rimette al centro i tratti caratteristci dei personaggi, dalla doppia natura di Walter (questa volta espressa in modo più sottile rispetto a Black Blotter), all’istinto materno di Olivia, fino alla centralità di Peter nel disegno generale, la serie restituisce anche quel gusto del formulare teorie e ripensare al passato che ultimamente si era un po’ affievolito, a favore di un’introspezione psicologica a tratti quasi fin troppo marcata. Ed eccoci dunque a chiederci come si incastreranno nel puzzle il/i tassello/i Donald-September-Michael: chi è chi? Sono persone diverse? O Michael stesso è l’anomalia genetica rigettata nel passato, diventata nel futuro September e poi tornata umana nel 2036 sotto le sembianze di Donald?
Nel risolvere questo rompicapo temporale di riscritture, paradossi e viaggi, e nel loro legame con la storia di Walter, Peter ed Etta Bishop, risiederà il fulcro degli ultimi episodi, nonché la possibilità di fornire quel trait d’union finora mancato ad una serie spesso un po’ scollegata nelle varie tappe del suo viaggio. Basta il tocco della mano di Michael (in un momento dal richiamo nemmeno troppo velatamente “lost-iano”) ad accendere in Walter la memoria della vecchia timeline che, al contrario di Olivia e Peter, lui ancora non possedeva. Da qui riparte il breve “riassunto” di una storia che ha avuto il suo incidente scatenante nel 1985 al Lago Reiden e che è culminata con la morte di Henrietta nel 2036.
Che ruolo ha dunque il baby-osservatore? Da chi è stato portato nel passato prima che venisse distrutto in quanto “anomalia genetica” in una determinata progenie di Osservatori? E se è lui ad essere così importante, qual è il ruolo fondamentale in questo di Peter Bishop? Da una parte, il suo salvataggio ha portato solo alla distruzione nel 2026 (“Il giorno in cui siamo morti“), dall’altra, la sua cancellazione ha condotto ad una timeline in cui gli Osservatori hanno invaso il pianeta. Qual è allora la sua funzione nel piano dietro tutto questo? E qual è il ruolo del dispositivo che lui ha provato ad impiantarsi qualche episodio fa?
March, August, September & Co. sono forse Osservatori privati proprio di quell’impianto, impossibilitati a tornare umani (perché troppo tardi) ma ancora con la tenue e lontana possibilità di provare un’emozione? Che ci sia il DNA speciale dell’anomalia Michael dietro la loro creazione? E se alla fine fosse lo stesso Walter a crearli, magari con l’intenzione di dar loro l’incarico di sorvegliare un’eventuale nuova timeline frutto di un reset temporale? L’importanza dell’impianto spiegherebbe anche la tanta attenzione dedicata alla storyline di Peter/Osservatore, che sarebbe così servita a spiegarne quei funzionamenti che ora potrebbero tornare utili alla compresione del tutto.
Con Anomaly XB-6783746 percepiamo dunque di nuovo tutto il sapore della Grande Storia, che, nonostante episodi visivamente ineccepibili, coraggiosi, poetici e intensi, mancava fin da Transilience Thought Unifier Model-11, ovvero dalla disperazione di Walter all’ascolto di Only You. Dopo esserci un po’ impantanati sull’elaborazione del lutto, finalmente si torna a respirare la portata emotiva di un’epica fantascientifica popolata da personaggi che hanno mosso, distrutto, abbattuto le leggi dello spazio e del tempo, per cercare risposte ad interrogativi nascosti soprattutto dentro se stessi. Gli ultimi tre episodi di Fringe potranno dire molto, potranno dire poco, ma tutto lo ha già detto la commozione di Walter, la serenità di Nina prima della morte, la determinazione di Peter, lo sguardo segnato di Olivia. E il sorriso di un osservatore.
Voto: 8
Dopo la visione di A human kind avevo le braccia per terra Black blotter è stato come un viaggio alle origini ai bei tempi :bello , fantasioso anche se un pò confusionario .
Questo 5×10 invece è letteralmente stupendo come avete detto giustamente di respira di nuovo l’ aria di una Grande Storia episodio per me davvero superlativo ben equilibrato fra dialoghi , scene di tensione , azione , scienza e scene commoventi insomma Fringe !
Per poi una serie di risposte nel finale chi è il baby osservatore (risposta che comunque spero verrà ampliata) , chi è Donald e diciamo una sorta di Cliché la risposta sul perchè gli osservatori inclinano la testa .
Son dispiaciuto per la morte di Nina ma era inevitabile per l’ andamento che aveva preso l’ episodio , non mi ha colpito tanto la scena della sua morte bensì il dialogo fra lei e Windmark e la scena del Baby Osservatore che piange , e finalmente alla fine anche Walter ricorda la vecchia Timeline evvai !
Speriamo che adesso gli ultimi 3 episodi siano spettacolari come questo e conducano ad un finale esplosivo che risponda non dico a tutti ma a gran parte degli interrogativi e soprattutto speriamo che quanto visto in quest’ episodio non sia una speranza fine a se stessa che si spengerà nel prossimo episodio anche se carte in tavola sono tante e se le possono giocare benissimo in un mega finale .
Come al solito bellissima recensione
Commento eccellente.