A distanza di un anno dalla lisergica “Far Away Places”, torniamo con questa “The Crash” ad uno stile di racconto che esula dagli standard di Mad Men e che decide di raccontarci le persone e le loro storie sotto la lente distorta del delirio, della perdita del sé e della sospensione della razionalità. Cosa muove il processo creativo? Fino a che punto si è disposti ad arrivare per scoprirlo?
Se c’è un aspetto che questa serie non ha mai scordato di mettere in evidenza – e come avrebbe potuto, vista l’ambientazione temporale – è il rapporto con i padri, visti come “generazione precedente”, ai quali si contrappone la più grande rivoluzione culturale di sempre. E’ inevitabile che questo passaggio si porti appresso il tessuto sfilacciato degli strappi costanti di questi figli così diversi dai genitori, tanto più vulnerabili quanto più si ritrovano a cambiare continuamente di anno in anno, di moda in moda; ecco che quindi, nella puntata in cui la perdita della razionalità lascia ampio spazio a tutto ciò che razionale non è – creatività, delirio, amore, passato –, tornano di nuovo le figure dei genitori, ma in un modo confuso, ribaltato, nebuloso.
The child is the father of the man.
Il passaggio del testimone che ci fa andare da una generazione all’altra avviene proprio qui, anche se ci è sembrato di vederlo accadere molte altre volte. E’ il ’68, è l’anno del cambiamento per eccellenza: eppure la consapevolezza di questa svolta ancora stenta ad arrivare, ed è quindi normale avere bisogno di uno stile di racconto così instabile per trasferire in noi la delicatezza di questo passaggio, i piedi di argilla su cui poggia l’intera costruzione dei “nuovi uomini” del futuro.
Del resto, l’inizio della puntata sembra proprio voler funzionare da dichiarazione di intenti: la situazione è precaria, di più, è rischiosa, e qualcuno che cerca di chiuderci gli occhi davanti a tutto questo non può che arrecare ancora più pericolo: bisogna guardare ciò che si ha davanti con gli occhi bene aperti, o il rischio è quello di uscirne piuttosto ammaccati.
E’ significativo che le cause scatenanti che portano all’intervento del dottor Hect si rifacciano a due esigenze strettamente legate al “non razionale”: la ricerca di “creatività, energia e fiducia”, come dice il dottore, e allo stesso tempo – ma forse in modo più sottile – la capacità di portare avanti un progetto nonostante la morte, che continua a fare capolino all’interno della serie.
Tutti si ritrovano vittime di una perdita di controllo perché tutti ne hanno bisogno per relazionarsi con quella parte di sé, per staccarsi da un passato confuso che forse non riescono a capire – tutti tranne Ginsberg, che tuttavia con il suo passato di “figlio dell’Olocausto” si configura come caso a parte.
E’ così che assistiamo ad una delle scene più stranianti di sempre, dove Ken Cosgrove affronta Don parlandogli del suo lavoro e contemporaneamente esibendosi in uno sfrenato tip tap: la perdita dei centrali punti di riferimento emerge anche qui, quando alla domanda “Chi te l’ha insegnato?” la risposta arriva con un’inversione dei ruoli – My mother. No, my first girlfriend – che sottolinea la confusione dei legami familiari.
The child is the father of the man: una frase che in un colpo solo ribalta il punto di vista e sembra farci vedere il disegno complessivo, la ruota che gira, il cambiamento in atto. Ma cosa succede quando chi dovrebbe proteggerci non c’è? Su chi possiamo fare affidamento?
Then I realized I don’t know anything about you.
“Sally è ancora una bambina”, dice verso la fine una Megan così preoccupata per quello che è appena successo da non immaginare nemmeno cosa stia passando per la testa del marito: e mentre agli occhi di tutti la maggiore dei figli di Don è grande abbastanza per occuparsi dei fratelli, solo noi vediamo davvero cosa accade tra lei e quella donna che si finge un’improbabile “grandma Ida”. Non c’è solo la questione del non conoscere affatto Don come uomo o come padre (che in parte subiamo anche noi spettatori, abituati a vedere spuntare dal nulla parti della sua vita impreviste e imprevedibili), ma anche un’esigenza di calore e di stabilità che porta Sally ad accettare l’abbraccio di una sconosciuta, a mangiare le uova da lei preparate, nonostante, in realtà, non creda nemmeno per un minuto che quella possa essere sua nonna.
“Are we negroes?”, chiede Bobby con ingenuità, ed è chiaro che Sally non abbia mai avuto alcun dubbio a riguardo: eppure, in quella notte in cui tutti sono scomparsi, quella finta nonna è l’unica che si sia interessata a lei come ad una bambina. Ci sono estranei che sembrano parenti e ci sono parenti che sono estranei: che si dimenticano porte aperte che ci mettono in pericolo, solo perché troppo occupati dalle loro personali porte, da aprire o da chiudere per sempre.
But every time we get a car, this place turns into a whorehouse.
E’ impossibile non tornare con la mente a The Other Woman, quando Joan si sacrificò per ottenere la Jaguar e Don non poté salvarla perché “non aveva capito per tempo” cosa stava succedendo. Anche allora, in quella puntata, la regia si concedeva dei salti temporali che avrebbero acquisito significato solo dopo; qui il racconto comincia a creare buchi narrativi con Don ed inizia a farlo molto prima che questi faccia la sua puntura di ricostituente. Don si sdraia sul divano e ci rimane due ore e mezza senza nemmeno accorgersene: lo sfasamento temporale è già dentro di lui, che è l’a-temporale per eccellenza, e le droghe non possono che accelerare questo processo.
“Tutto si trasforma in un bordello”, dice Don davanti a dei confusi colleghi che non hanno idea di cosa stia parlando, mentre lui – forse per la prima volta nella sua vita – ha davvero chiaro cosa gli stia accadendo. E’ una puntata cruciale nella storia di Don, non solo per noi spettatori ma anche per lui, che riscopre all’interno della sua creatività quanto il passato lo abbia condizionato da sempre senza che lui potesse fare nulla per fermarlo.
In un vortice di immagini, di ricordi e di testimonianze come la pubblicità della zuppa – così chiara ora ai nostri e ai suoi occhi da dare i brividi – le figure femminili della vita di Don si intrecciano perdendo il loro ruolo e anzi, scambiandoselo in continuazione: una madre mai conosciuta, prima prostituta che genitrice, si intreccia con la figura di Aimée, che assurge prima a figura materna per poi ritrasformarsi in immagine sessuale – la prima per Don; la matrigna, surrogato mal assortito di madre, lo punisce per qualcosa da cui non ha potuto difendersi, per un trauma – questo sì – che si porterà dietro per sempre.
La condanna, che fino ad oggi ce lo aveva fatto vedere “solo” come figlio di una prostituta, si arricchisce di dettagli importantissimi e sembra ora mostrarci come la ricerca continua del sesso (e con donne sempre più mature rispetto alle mogli, solo ora tutto appare chiaro) sia in realtà una ricerca a ritroso di quell’affetto materno, a cui però segue sempre e solo la punizione – allora con le botte della matrigna, ora con l’eterna insoddisfazione, alla ricerca di qualcosa che non giungerà mai.
Quel neo, che unisce simbolicamente Aimée, Sylvia e la madre della pubblicità, è il fil rouge che collega la storia della sua vita: chissà, forse proprio per questo Don ha davvero perso la testa per la vicina di casa; forse è per questo mix tra figura sensuale e figura materna che questa volta non riesce proprio a staccarsene. E del resto, cos’altro gli rimane? Una moglie sempre più lontana dal suo dramma interiore (rispetto all’anno scorso le scene che li vedono nella stessa inquadratura stanno lentamente diminuendo), una Joan che non è stata salvata da lui e che ora non ha nessuna voglia di sostenerlo, una Peggy che un tempo lo sorreggeva e che invece ora consola gli altri.
Il parallelo con “The Suitcase” è ben presente in questo episodio: se in quella puntata Peggy era con Don alla notizia della morte di Anna, ora la ragazza è pronta a consolare Ted davanti al lutto dell’amico Frank mentre Don sta a guardare. In questa scena, che dà il via al suo delirante percorso, Don si ritrova di nuovo a spiare, attraverso una porta, quello che è “il tradimento”, proprio come quando vide dalla serratura la sua matrigna; fu Aimée a scoprirlo e a impedirgli di continuare a guardare, così come fa ora, chiudendo la porta, quella segretaria che all’improvviso risulta familiare: “Do we know each other? […]I meant from somewhere other than from this moment”. Il parallelismo tra le due figure e la domanda di Don, inizialmente di difficile comprensione, acquisiscono così un senso ben preciso.
Passato e presente si intrecciano e forse solo ora Don se ne rende davvero conto: la sua ricerca creativa non fa che andare continuamente a sbattere contro questo desiderio di riconciliazione, e quando alla fine si chiama fuori dal processo creativo (ma anche dal rapporto con Sylvia, a cui non dedica più di una parola in ascensore dopo una serata in cui avrebbe voluto dirle qualunque cosa), capiamo che ha finalmente colto il punto.
Non è che ogni volta che si prende una macchina l’agenzia si trasforma in un bordello: è lui che torna sempre lì, con la mente e con l’inconscio, che mai come in questo caso risulta chiaro davanti ai suoi occhi. “What is that thing that draws them? It’s a history. And it may not even be with that person, but it’s… it’s like a… well, it’s bigger than that” dice Don pensando a Sylvia, e ora sappiamo che ha davvero capito cosa ci sia dietro: ciò che li unisce è una storia che non riguarda nemmeno loro come coppia, non riguarda Sylvia in quanto tale, ma solo lui e il passato che sta alle sue spalle.
Don ha il cuore spezzato, come crede di sentire dalle parole di Wendy: eppure non è per l’abbandono di una donna che ha capito di essere andata troppo oltre; è per un passato che non lo abbandona e che torna ciclicamente a fare capolino da qualunque parte della sua vita, ogni volta che si ritrova – metaforicamente e non – dietro ad una porta.
La puntata è davvero di difficile valutazione, se non altro perché richiede un altissimo numero di visioni prima di farsi davvero un’idea completa della quantità disarmante di significati per tutti i protagonisti delle vicende. Quello che di certo si può dire è che Mad Men riesce a portare avanti i suoi obiettivi affrontando qualunque tipo di sfida narrativa, da quella storica/sociale, a quella culturale, a quella onirica e irrazionale; riesce a farlo tenendo le fila del racconto senza sgarrare mai, senza lasciarsi niente alle spalle – basti pensare ai riferimenti infernali che tornano anche qui, con le 666 idee di Stan o le letture serali di Sally. Il passaggio da una generazione all’altra è rappresentato in modo misterioso e al contempo focalizzato, confuso eppure chiarissimo; e nel mezzo c’è Don, con la sua peculiare caratteristica di essere fuori dal tempo, di non appartenere a nessuno di questi e contemporaneamente di essere l’unico filo conduttore tra il passato e il presente. Fosse anche solo per questo, la puntata merita qualcosa di più rispetto alle altre.
Voto: 9 ½
Che dire, sei brava in generale, ma con Mad Men dai proprio il meglio 🙂
Ho visto la puntata soltanto una volta e la tua recensione mi ha chiarito tantissime cose. Voto meritatissimo.
grazie =) sì, il voto è stato in bilico fino all’ultimo, prima era più basso, poi in un raptus avevo messo perfino 10 XD
Ad ogni modo credo che la capacità con cui hanno gestito tutti i vari aspetti, sia culturali che legati al privato dei personaggi, in questa atmosfera straniante e geniale dovesse essere assolutamente premiata.
Puntatone, proprio come Far Away Places.
Non sono poche le affinità con quell’episodio che in questo caso funge da precedente importante, per lo spettatore come per i personaggi. Purtroppo poco Roger, che in questi casi, mentre tutti affogano nel caos, sguazza come un bambino.
Rimango della stessa idea dei primi episodio: chi non ha capito da subito l’importanza che Sylvia ha avuto nella vita di Don, benché strumentale a un’autoriflessione, un’importanza che nessuna donna ha avuto fino a ora, non ha capito buona parte di questa stagione.
Sono passati anni da questa recensione e magari non la leggerà nessuno, ma Federica complimenti per la tua analisi! Ho letto tantissime review su quest’episodio (allucinante in tutti i sensi) e la tua è l’unica che mi ha veramente illuminato su certi aspetti che non mi erano ancora chiari. Bravissima!
Volevo dire: magari nessuno leggerà il mio commento* 🙂
Grazie mille May!!! 😉