Homeland – 3×11 Big Man in Tehran 5


Homeland – 3x11 Big Man in TehranOrmai manca pochissimo alla fine di questa terza stagione di Homeland ed è già tempo di bilanci: se la prima parte è stata tra le cose più insulse dell’anno, questi ultimi episodi hanno radicalmente invertito la tendenza. 

La stagione è iniziata con Carrie, la sua follia, le inutili vicende legate a Dana, i comportamenti incomprensibili di Saul e le soluzioni altrettanto confuse degli sceneggiatori. La sua conclusione però è all’insegna di un ritorno al passato, alla serie che ha vinto, più o meno meritatamente, riconoscimenti a pioggia per il suo peculiare modo di affrontare alcune questioni molto sentite negli Stati Uniti; un epilogo che torna sul binomio Carrie/Brody, coppia senza la quale questa serie sarebbe priva di ogni attrattiva. Non c’è più tempo per analisi psicologiche sulle condizioni degli altri, che sia la famiglia di Brody, quella di Carrie o quella di Saul: tornare al passato vuol dire anche capitalizzare tutte le energie possibili sviluppando un racconto al cardiopalma, dove l’azione non lascia mai il posto alla velleitaria riflessione.

Homeland – 3x11 Big Man in Tehran“Big Man in Tehran” è per certi versi il miglior episodio della stagione, sia per la qualità delle sue sequenze sia per la costruzione narrativa. A proposito di quest’ultima è possibile scindere questo segmento narrativo in due parti ben distinte, divise da un momento di importanza capitale che fa da spartiacque dell’episodio. Si comincia subito, in medias res, senza indugi, con la missione progettata e divenuta un po’ più chiara sul finire dello scorso episodio: divisi da migliaia di chilometri, quattro interpreti, Saul, Carrie, Brody e Javadi cercano di portare a termine il piano; obiettivo della missione: uccidere Akbari, capo dei Guardiani della Rivoluzione. Cuore dell’intero meccanismo è l’ex marine, per diversi motivi che si cercherà di elencare. Innanzitutto è la componente più operativa della missione, ovvero colui che è deputato all’effettivo assassinio del leader iraniano, colui che mette maggiormente a rischio la propria vita, per motivi ovvi (è l’uomo più ricercato del pianeta e questa è l’unica carta che ha da giocarsi), per ragioni pratiche (è l’unico che ne ha la capacità) e per altre personali (solo questa strada può aiutarlo ad assolversi).

Homeland – 3x11 Big Man in TehranNon basta. Se Brody è il cuore del miglior episodio di Homeland fino a questo momento è perché la riflessione sul suo personaggio è quella più profonda; perché sebbene la vera protagonista della serie, come dimostra la paradigmatica sigla, sia Carrie, è su di lui che l’indagine raggiunge i risultati più interessanti. Cosa succede a una persona fortemente traumatizzata? Quali sono le ripercussioni di tali traumi sulla sua personalità? Questi sono alcuni degli interrogativi che hanno accompagnato Homeland e il suo protagonista maschile sin dall’inizio. Dopo quasi tre stagioni è chiaro che gli scossoni emotivi subiti da Brody hanno destabilizzato irrimediabilmente una personalità pur forte come la sua, ma in ogni caso umana. Il suo bisogno di affidarsi a qualcuno, a una figura carismatica, a un ideale, è la più evidente delle conseguenze: Brody ha trovato prima in Abu Nazir, poi in Carrie, poi nella figlia, poi ancora in questa missione l’appiglio in grado di fargli mettere per un attimo da parte l’orrore visto con i suoi occhi e provato sulla sua pelle. La sua ferrea determinazione è al servizio di un piano che fa acqua da tutte le parti e che si conclude con l’incontro con Akbari in cui dovrebbe avvenire l’omicidio. Qui la puntata cambia: dopo una prima parte che è quasi una lunghissima macrosequenza che ha come climax l’atteso colloquio, punto di massima suspense, succede qualcosa di inaspettato, che dà spessore a un episodio fino a quel momento già di grande qualità.

Homeland – 3x11 Big Man in TehranNaturalmente si tratta dell’incontro con la vedova di Abu Nazir, che fa saltare interamente il piano e che si figura all’ex marine come l’unico modo per rimanere vivo. In sei giorni diventa l’idolo di un’intera città e al contempo il fattore di rischio principale per la CIA. È da questo momento in poi che Homeland torna ad essere davvero quello della prima stagione e di alcuni, eccellenti, episodi della seconda: una serie non priva di difetti, ma anche costruita su alcuni inconfondibili punti di forza. C’è la CIA da una parte, Brody dall’altra e Carrie al centro a formare una composizione che rappresenta uno schema narrativo che in molte occasioni è stato foriero di grandi sequenze e bellissimi episodi, portatore sano di conflitti interiori e sociali di notevole spessore. La CIA decide di far fuori Brody, Carrie lo viene a sapere e cerca di salvarlo in tutti i modi, mettendo a repentaglio la propria vita e il bambino che porta in grembo, che nel corso della puntata già le aveva dato diversi problemi. Il finale diventa quindi una corsa contro il tempo: Saul ordina l’uccisione di Brody che verrà eseguita dai killer del Mossad; Carrie grazie anche all’aiuto dello zio di Fara fa di tutto per portare fuori dai guai la persona che ancora ama; Brody, infine, tenta contemporaneamente di proteggere Carrie e portare a termine la missione a modo suo, ovvero quello più imprevedibile.

È proprio qui il punto, o almeno uno dei punti centrali. Nessuno capisce fino all’ultimo momento le intenzioni di Brody, nessuno capisce se questi decida di salvarsi e consegnarsi all’Iran grazie anche all’effetto fattogli dalla vedova di Abu Nazir oppure di proseguire la missione. Perché la qualità della serie sta anche nell’ambiguità del volto di Damian Lewis, nella sua consueta e indecifrabile smorfia. Perché nell’incapacità di leggere l’indefinibile volto di Brody, e quindi le sue intenzioni, si nasconde tutta la natura enigmatica e controversa di una nazione intera.

Con un finale tesissimo si conclude uno degli episodi più positivi di questa pur deludente stagione, una puntata che, nonostante alcune forzature (il sesto senso di Carrie a volte è un po’ troppo acuto, così come viene data davvero tanta libertà d’azione a Brody nel finale), apre al finale con i migliori propositi.

Voto: 8,5 

Condividi l'articolo
 

Informazioni su Attilio Palmieri

Di nascita (e fede) partenopea, si diploma nel 2007 con una tesina su Ecce Bombo e l'incomunicabilità, senza però alcun riferimento ad Alvaro Rissa. Alla fine dello stesso anno, sull'onda di una fervida passione per il cinema e una cronica cinefilia, si trasferisce a Torino per studiare al DAMS. La New Hollywood prima e la serialità americana poi caratterizzano la laurea triennale e magistrale. Attualmente dottorando all'Università di Bologna, cerca di far diventare un lavoro la sua dipendenza incurabile dalle serie televisive, soprattutto americane e britanniche. Pensa che, oggetti mediali a parte, il tè, il whisky e il Napoli siano le "cose per cui vale la pena vivere".


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

5 commenti su “Homeland – 3×11 Big Man in Tehran

  • fava

    Puntata favolosa, concordo su una partenza della stagione un po’ sottotono ma questi episodi finali sono davvero meravigliosi, da tutti i punti di vista: storia fantastica, dialoghi ottimi, scenognafie montaggio e attori al meglio!!! Voto per questo episodio 9,5

     
  • Samuele

    Siete troppo duri con Homeland in questa stagione.
    Sono d’accordo che gli spezzoni con Dana siano stati soporiferi, ma il crescendo della tensione puntata dopo puntata è straordinario, parlare di “stagione deludente” è un insulto alla bravura di sceneggiatori e attori di questa eccezionale serie.

    Voto alla puntata 9, alla stagione 8 (aspettando il finale)

     
  • Son of the Bishop

    Concordo con l’ eccessiva durezza su Homeland . I primi tre episodi sono stati ( primo in realtà non proprio) terribilmente noiosi , l’ apice è stato con la Torre di David però da lì la serie ha cominciato ad ingranare e nonostante il leggero calo qualitativo Homeland diversamente dal solito quest’ anno mi ha preso molto e la seconda parte non mi ha mai annoiato .
    Concordo con il voto episodio 8,5 e voto stagione 7 aspettando il finale (se non fosse stato per i primi 3 episodi poteva essere tranquillamente un 8- )
    Non vedo l’ ora di vedere il finale !!!

     
  • SerialFiller

    Io sono stato criticissimo con Homeland all’inizio.
    Oggi dopo aver visto il finale mi sento di fare un applauso agli sceneggiatori e al cast che hanno saputo osare tantissimo e rischiare sulla propria pelle la furia spietata dei fan portando a casa un prodotto che se non supera qualitativamente l’andamento delle prime 2 stagioni riesce almeno a stabilizzarsi su un livello ottimo, ripeto cambiando però le carte in tavola e non sedendosi sugli allori regalati dalla supercoppia daines-lewis.
    Lo spazio dato a Dana è stato una mazzata, una palla sui piedi davvero. Non a caso da quando lei è sparita dagli episodi non riesco a non finire una puntata senza aver mangiato tutte le unghia delle mani dalla tensione…

     
  • xfaith84

    ricordando che non si parla qui del finale, ma solo ed unicamente dell’andamento delle puntate fino alla 3×11

    Richiedere della coerenza in quello che ci viene proposto non è e non sarà mai essere troppo duri, e men che meno un insulto agli sceneggiatori. Anzi, visto quanto prodotto fino alla seconda stagione, richiedere lo stesso livello è il minimo.

    Ho come l’impressione che, una volta tornati a puntate di azione e di scene al cardiopalma, si sia deciso che “quello era Homeland e quindi andava bene così”. Non sono d’accordo: non basta mettere dell’azione per restituire coerenza ad un prodotto che quest’anno ha avuto falle da tutte le parti, in primis prendendo in considerazione la missione stessa: partendo da Javadi, passando per il recupero di Brody e per tutto il resto, il passaggio dalla questione dell’anno scorso a quella di quest’anno dell’Iran è stata troppo rapida e francamente manchevole di qualche pezzo. Senza contare il sogno utopico di Saul che nel giro di pochi giorni (per lui sono giorni) vuole raggiungere la pace con un paese la cui storia non si può certo spazzare solo perché a capo ci può essere Javadi. E’ pretenzioso e ingenuo. Non lo dico solo io eh: non è un caso se questa stagione è stata additata da più parti come poco chiara nel suo svolgimento.

    Il mio timore è che le scene di azione, le puntate che – oggettivamente, si vede – hanno migliorato la narrazione e la qualità delle puntate abbiano fatto dimenticare le incoerenze, i passaggi troppo rapidi, le puntate incentrate su Dana (e no, non è un errore trascurabile).
    Insomma, poi i gusti son gusti, ma se si va a guardare una puntata con l’intento di analizzare, di collegare le vicende e di vedere se reggono, la differenza tra questa stagione e le precedenti è lampante. E richiedere un certo livello di coerenza, soprattutto dopo quello che sono stati in grado di fare l’anno scorso e l’anno prima, non è essere troppo severi, né cattivi, né perfidi.