The Americans – 3×03 Open House 8


The Americans - 3x03 Open HouseSe doveste consigliare un episodio di The Americans a qualcuno che, non avendo mai seguito la serie, volesse farsene un’idea, “Open House” sarebbe una scelta azzeccatissima: tutto ciò che rende lo show non solo vincente, ma anche altamente riconoscibile, è infatti espresso al meglio in questa puntata.

 

“And the star-spangled banner in triumph doth wave
  o’er the land of the free and the home of the brave
  oh! thus be it ever when freemen shall stand
  between their loved homes and the war’s desolation!”
‒ “The Star-Spangled Banner”, Inno Nazionale degli Stati Uniti d’America ‒

The Americans - 3x03 Open HouseCome abbiamo già scritto in passato, la serie di Joe Weisberg trae la sua efficacia dalla perfetta sinergia tra scrittura ed altri elementi del racconto audiovisivo spesso trascurati in un contesto televisivo, dando sostanza alla narrazione proprio attraverso ciò che spesso viene relegato ai suoi margini quale mero “abbellimento”. Ecco che, quindi, il lavoro di un regista come Thomas Schlamme (famoso per i suoi walk and talk di sorkiniana memoria) diventa essenziale per la buona riuscita dell’episodio, il cui centro nevralgico è per l’appunto costituito da un blocco di sequenze ‒ l’inseguimento in macchina da parte della CIA ‒ che per risultare davvero avvincenti richiedono senza dubbio una costruzione articolata e una certa cura registica.
Non si tratta soltanto di definire un’estetica, ma anche e soprattutto di creare un’atmosfera ‒ in questo caso di grande tensione ‒ che renda più coinvolgente l’esperienza di fruizione per lo spettatore; a tal proposito è interessante notare come, per farlo, sia stata sviluppata una soluzione perfettamente in linea con il modus narrandi di The Americans: nessuna corsa folle, nessuna scena d’azione frenetica, bensì un angosciante stillicidio che si consuma in circa 10 minuti, per poi confluire, come una sorta di sfogo per la tensione accumulata, in una delle sequenze più forti dell’intera serie. Ed è qui che The Americans si riconferma come uno degli show più intensi e sinceri attualmente in onda: mai gratuito o immotivatamente eccessivo, anche quando si dimostra brutale e diretto.

“I’m all out of love, what am I without you
  I can’t be too late to say that I was so wrong”
‒ “I’m all out of love”, Air Supply ‒

The Americans - 3x03 Open HouseCome con l’agghiacciante scena della valigia della scorsa settimana, infatti, anche in “Open House” ci troviamo di fronte ad una sequenza che mette fortemente a disagio per la propria crudezza; ancora una volta, però, appare funzionale tanto alla caratterizzazione dei personaggi quanto al coinvolgimento emotivo di chi la osserva, portato inevitabilmente a trattenere il respiro e quasi a soffrire insieme ad Elizabeth per la ‒ lunga, accidentata, sgradevole perfino all’orecchio ‒ estrazione del dente. La sequenza è efficace perché credibile su più di un livello: intanto quello della rappresentazione, molto realistica, della complicata operazione, ma anche sul piano del significato che assume nella relazione tra i coniugi Jennings. È infatti giocata interamente sul rapporto di complicità che Philip ed Elizabeth hanno costruito nel tempo, restituendo un’immagine disturbante ma autentica della loro unione, così indissolubilmente legata al ruolo di “squadra” che hanno dovuto assumere per lavoro e, soprattutto, per necessità. Non è, infatti, il sesso a riavvicinarli ‒ Philip ignora le avance della moglie in camera da letto ‒ ma una forma diversa di intimità, per certi versi altrettanto erotica (come ricorda Keri Russel, lo stesso Schlamme ha definito la sequenza “la scena di sesso per questo episodio”): ovvero la consapevolezza di essere partner e compagni ad un livello più profondo sia del semplice marito e moglie che del banale concetto di “colleghi di lavoro”; perché Elizabeth e Philip non condividono solo una missione o un sentimento, ma piuttosto una condizione esistenziale, che li unisce e contemporaneamente li estranea dal resto del mondo, compresa la propria famiglia ‒ come aveva sottolineato Paige pur senza conoscere i veri retroscena. Non a caso Philip riesce a parlare apertamente con la moglie proprio durante un’azione di sorveglianza, interrogandosi sul futuro della loro primogenita senza ricorrere all’atteggiamento ostile che aveva usato in passato e facendo, quindi, crollare quel muro di incomunicabilità che invece lo separa ancora, e inevitabilmente, dai propri figli.

We have taken risks that have changed the world.
W
e are explorers illuminating the future.

The Americans - 3x03 Open HouseSi tratta di un muro che, allo stesso tempo, lo divide da Gabriel, con il quale non riesce ad instaurare un rapporto analogo a quello che il benevolo supervisore ha sviluppato con Elizabeth. Anche con lui il signor Jennings si rifiuta di discutere per non dover scendere a compromessi, reagendo proprio come un adolescente stizzito di fronte ai divieti di un genitore incapace di comprenderne le esigenze. La partita a Scarabeo in apertura d’episodio rende palese, con rara eleganza e finezza, la totale assenza di fiducia e complicità tra i due uomini, come un padre e un figlio che non riescono a superare le distanze imposte dai rispettivi ruoli e provano un disagio profondo ad aprirsi l’uno con l’altro. Per Elizabeth è diverso, perché c’è un terreno sul quale l’incontro è possibile: quello ideologico, che per il marito diventa, invece, sempre più scivoloso.
Alla gente piace sentirsi dire che ha ragione ricorda Stan, ed è senz’altro vero anche per i Jennings e il gruppo di spie che li sostiene, non solo per gli americani intenti ad ascoltare Zinaida alla tv: certi conflitti si possono superare solo accettando di perdere metaforicamente la propria “sovranità”, o dando ragione all’altro per evitare conseguenze spiacevoli (come fa Clark con Martha) o, al contrario, riconoscendo la controparte quale proprio pari.
E non c’è niente di più difficile per un padre e un figlio, o, se vogliamo, per Usa ed Urss.

Per concludere, “Open House” è The Americans all’ennesima potenza: troviamo, infatti, in questo episodio l’elaborazione forse più riuscita, almeno fino ad oggi, della politica creativa di Joe Weisberg e del suo team produttivo. L’episodio perfeziona ulteriormente un linguaggio già ricercato, che fa convergere con assoluta naturalezza scelte stilistiche ed esigenze narrative verso un obiettivo ben definito – raccontare nel modo più autentico possibile la Storia e le storie dietro uno scontro di civiltà che si fa esperienza individuale e privata. Un obiettivo che stentiamo a definire raggiunto soltanto perché The Americans ci ha dimostrato, una volta di più, di avere ancora molto da dire.

Voto 9 ½

Note:

Anche stavolta l’inserimento di piccoli riferimenti anni ’80 quali lo spot di Don Beyer Volvo o la canzone degli Air Supply si è rivelata un’operazione sottilissima e soprattutto fondamentale nella costruzione dell’episodio. Si segnala, tra le altre cose, l’inno americano posto come sottofondo musicale del rientro di Elizabeth, e in particolare il momento in cui la registrazione sembra “saltare”, come se volesse svelare una contraddizione stridente.

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Informazioni su Francesca Anelli

Galeotto fu How I Met Your Mother (e il solito ritardo della distribuzione italiana): scoperto il mondo del fansubbing, il passo da fruitrice a traduttrice, e infine a malata seriale è stato fin troppo breve. Adesso guardo una quantità spropositata di serie tv, e nei momenti liberi studio comunicazione all'università. Ancora porto il lutto per la fine di Breaking Bad, ma nel mio cuore c'è sempre spazio per una serie nuova, specie se british. Non a caso sono una fan sfegatata del Dottore e considero i tempi di attesa tra una stagione di Sherlock e l'altra un grave crimine contro l'umanità. Ah, mettiamo subito le cose in chiaro: se non vi piace Community non abbiamo più niente da dirci.


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8 commenti su “The Americans – 3×03 Open House

  • Pietro Franchi

    Keri Russel e Matthew Rhys dalla scena in cui lei torna a casa con l’inno in sottofondo a quella dell’estrazione del dente sono impossibilmente grandi. Tanti silenzi, qualità immensa, nessuna sorpresa per una serie come The Americans!

     
  • Federica Barbera

    Che puntata… tutto il blocco centrale, dall’inseguimento all’estrazione del dente, è di una tensione che – hai ragione Francesca quando parli di “angosciante stillicidio” – solo The Americans poteva produrre; leggevo poi sempre sul blog di sepinwall (non ricordo se nell’intervista o nella recensione) di quante volte hanno provato la scena dei denti provando anche ad inserire delle frasi, ma di come poi si siano resi conto che funzionava molto meglio con il silenzio da entrambe le parti. Qui ovviamente il merito è degli autori, ma soprattutto di due attori che insieme riescono a dare il meglio del loro meglio.

    Quanto stanno rischiando dall’inizio della stagione.. questo senso di precarietà, ovviamente collegato alla questione Paige, è comunque di pessimo auspicio per loro: da qui al season finale mi sa che soffriremo parecchio. Ma ben venga se si tratta di sofferenza di qualità!

     
  • Attilio Palmieri

    Episodio e recensione bellissimi. Brava Francesca.
    Se sui Jennings ormai non c’erano dubbi, vista la progressiva crescita dei loro personaggi e dell’affiatamento tra scrittura e recitazione, la vera rivelazione (e non da ora) è la caratterizzazione di Page. Non è facile lavorare sugli adolescenti all’interno di serie che non trattano di adolescenti e gli esiti negativi di Homeland e The Good Wife lo testimoniano perfettamente. The Americans lo sta facendo alla perfezione e Page potrà emergere quasi come un terzo protagonista della stagione. Complimenti.

     
    • Francesca Anelli

      Grazie 🙂
      Concordo su Paige, anzi aggiungo una cosa che non ho scritto in recensione: il fatto che lei trovi la foto di Sandra tra le cose del fratello e, dopo una prima reazione scandalizzata, gliela riconsegni mi è sembrato un gesto molto tenero, come se volesse trovare in Henry quel complice che non ha né in Elizabeth né in Philip. Tra l’altro l’attrice è molto brava nel trasmettere quel senso di abbandono e rassegnazione di una ragazzina che è sempre sola e passa le sue serate a fare il bucato e guardare svogliatamente la tv. Un’adolescente ordinaria e credibile, come ce ne sono pochissime in tv.