The Wire – L’epica di Baltimora 29


The Wire - L'epica di BaltimoraCostruire una storia può rivelarsi un’impresa ardua: tra intrecci, personaggi e cambi di direzione non è raro che ci si perda più volte, stentando a ritrovare gli intenti originari. Quando, oltre ad essa, bisogna costruire una città, il compito diventa ancora più problematico.

The Wire è la serie che ha fatto tutto questo alla perfezione, ma non solo: rappresentando una Baltimora che non si era mai vista in televisione, ha raccontato l’America, assicurandosi un posto tra i capolavori (televisivi e non) della narrativa contemporanea. Andata in onda tra il 2002 e il 2008 sulla HBO, la creatura di David Simon è entrata di diritto nei prodotti più complessi e importanti della Golden Age della tv americana, in un fortunato percorso che ha garantito la sua sopravvivenza nonostante gli ascolti sempre incredibilmente bassi e il mancato riconoscimento da parte dell’Academy – ad ulteriore prova che gli Emmy sono l’ultima cosa da guardare quando si analizza il valore di un prodotto televisivo.

“Girl, you can’t even think of calling this shit a war.”
“Why not?” “Wars end.”

The Wire - L'epica di BaltimoraIntrodurre The Wire a chi non ne ha mai sentito parlare comporta un grandissimo ed inevitabile rischio: la serie, infatti, si articola affrontando un numero di questioni e problemi che sono impossibili da riassumere pienamente. Si può dire che il tema attorno a cui gira l’intera narrazione è la crisi di una città (Baltimora, appunto), microcosmo di una società statunitense corrotta, sporca, impossibile da cambiare: tale analisi avviene attraverso una struttura televisiva probabilmente unica, che consiste nel cambiamento di  focus ad ogni nuova stagione. E così se durante la prima annata lo spettatore assiste al tentativo di intercettazione dell’organizzazione Barksdale – responsabile del reperimento e dello spaccio della droga nella parte ovest della città – da parte di una squadra di polizia assegnata, al primo episodio della seconda stagione la situazione cambia e ci si trova sul porto di Baltimora, con una serie di personaggi mai visti prima, ad affrontare dei problemi simili ma al contempo completamente diversi. Non si tratta di un’impostazione antologica, sia chiaro: quasi tutti i protagonisti tornano ogni anno e il filo principale della guerra contro la droga rimane, ma ogni anno cambia l’angolazione da cui si osserva la vicenda, la prospettiva sotto cui vengono visti i personaggi e i vari problemi della società americana contemporanea. Si parla, quindi, dei bassifondi e del sistema dello spaccio “su strada” nella prima stagione, della crisi della working class nella seconda, di politica e riforme nella terza, del sistema scolastico nella quarta e di giornalismo nella quinta.

“It’s a treatise on the end of the American empire and who we are as a people, what we’ve come to and why we can no longer solve or even seriously address our own problems.” – David Simon

The Wire - L'epica di BaltimoraTutto ciò impone ovviamente un’attenzione da parte dello spettatore che è ben al di sopra della media, in quanto cercare di apprendere come funziona il mondo che ci viene presentato ogni volta implica inevitabilmente un’iniziale sensazione di straniamento: è per questo che viene spesso consigliato di recuperare le prime puntate di ogni stagione (della prima in particolare) nel minor tempo possibile, in modo da assorbire il numero impressionante di personaggi e storie presentate senza fare confusione in seguito.
Si può quindi dire che la struttura di The Wire è quanto di meno convenzionale si possa immaginare, e ciò si può applicare anche alla costruzione della narrazione in sé: quasi tutti i meccanismi tipici del mezzo televisivo (cliffhanger, stacchi pubblicitari in mezzo alle scene, autonomia degli episodi) vengono abbandonati in favore di uno stile che si conforma più a quello del romanzo, tanto che i paragoni dell’opera di Simon con i capolavori della letteratura sono più consistenti di quelli relativi ad altri prodotti per la televisione. Si pensi, ad esempio, al frequentissimo parallelo con i romanzi di Charles Dickens, anch’essi capaci di riprodurre la vita e la società alla perfezione, senza tralasciare nemmeno uno strato; all’imponente influenza quasi fatalistica della tragedia greca, che, in quest’opera più che mai, trova la sua realizzazione definitiva; o ancora, ai concetti di “lotta per la vita” e di impossibilità di liberarsi del proprio status sociale, in cui non è difficile scorgervi le influenze di una corrente, importantissima nella storia della letteratura in generale, come quella del Verismo – si pensi, ad esempio, a queste tematiche e alla loro rilevanza in opere come I Malavoglia e Mastro-don Gesualdo.

We’re building something here, detective, we’re building it from scratch. All the pieces matter.

The Wire - L'epica di BaltimoraUno dei grandissimi punti di forza della serie risiede sicuramente nella sua capacità di offrire uno squarcio quanto mai accurato della città esaminata, senza, tuttavia, tralasciarne i particolari: la creatura di Simon affronta temi ampi e importanti, è vero, ma il legame con la Baltimora che si sta esaminando è qualcosa di imprescindibile. La cultura e il linguaggio sono due aspetti che vengono rispettati quasi religiosamente, grazie ad una scrittura che riesce ad essere tanto mimetica quanto perfetta per riassumere i problemi affrontati nel corso della serie; il dialetto della città, quindi, viene reso con una minuziosità unica nella storia della televisione, e perfino i tempi con cui sono scandite le battute pronunciate sono studiati nel minimo dettaglio. Il risultato è uno stile che riesce a risultare sia intelligente che ironico allo stesso tempo: nonostante si tratti di un drama a tutti gli effetti, la comicità costituisce uno dei mezzi attraverso cui il senso di oppressione e di incapacità di reagire viene attenuato, e dà spesso luogo ad alcuni dei momenti più memorabili di sempre. Si pensi, ad esempio, all’indimenticabile sequenza (presente nella quarta puntata della prima stagione, “Old Cases”) in cui i due detective protagonisti stanno esaminando una scena del crimine, commentando le prove attraverso un’unica parola e le sue variazioni: “fuck”. È il chiaro esempio di come anche la situazione più comune possa essere trasformata in qualcosa di geniale, ed è stata, per molti, la prova di come quello a cui stavano assistendo fosse un prodotto assolutamente mai visto.

This game is rigged, man. We like the little bitches on a chessboard.

The Wire - L'epica di BaltimoraNonostante ciò, comunque, definire The Wire una serie “leggera” sarebbe un paradosso: uno dei tratti distintivi della serie è il suo pessimismo acuto ed incurabile, ad esprimere l’estrema sfiducia di Simon verso una possibile risalita dell’America dal baratro morale in cui è caduta. Le storie presentate finiscono di norma con una sconfitta, o, nel migliore dei casi, una vittoria mutilata: il dolore si rivela essere una costante inevitabile, e chi assiste impara presto a non farsi troppe illusioni a proposito del destino di alcuni personaggi o del successo di determinate scelte. Proprio per questi motivi, tuttavia, sono le piccole vittorie quelle che aiutano lo spettatore a rialzarsi e a sperare, e se c’è una cosa che la serie HBO è riuscita ad esprimere è la capacità di bearsi di quei rari momenti in cui si riesce ad evadere dal peso insostenibile del sistema, fattore tanto imponente quanto corrotto che raramente lascia una via di scampo. È questa la società dipinta da Simon, un mondo in cui i personaggi sono costantemente costretti a fare i conti con quello che è chiamato dalla gente della strada “the game”, imprescindibile ed impossibile da ignorare.

Ayo, lesson here, Bey. You come at the king, you best not miss.

The Wire - L'epica di BaltimoraIn ogni caso, è chiaro che tutto l’impianto accuratamente pianificato da Simon non avrebbe potuto funzionare senza i suoi indimenticabili personaggi: si ripete spesso come la protagonista della serie sia la stessa Baltimora, ma le persone che la abitano sono altrettanto importanti, e gli autori non hanno tralasciato il minimo dettaglio a questo proposito. Ogni singolo personaggio – che si tratti di un comprimario o di qualcuno di marginale – è frutto di una costruzione perfetta ed accurata, capace di dare un’identità precisa e riconoscibile a tutti i membri dell’immenso sistema di spacciatori, poliziotti, ragazzi e politici che popola la città. Il tutto, ovviamente, è possibile grazie ad uno dei cast più ampi e riusciti di sempre, che spazia da interpreti come Idris Elba e Dominic West ad attori più sconosciuti ma altrettanto talentuosi, talvolta addirittura presi direttamente dalla strada: tra questi ultimi, è impossibile non citare Felicia “Snoop” Pearson (interpretata dall’omonima ragazza), indicata da Stephen King come “il personaggio femminile più terrificante mai apparso in televisione”. Da non dimenticare, inoltre, Omar Little, vero e proprio simbolo della serie, interpretato da un incredibile Michael K. Williams.

Come detto in precedenza, la serie HBO non è purtroppo riuscita ad assicurarsi né un successo di pubblico consistente – perlomeno non subito – né un adeguato riscontro da parte dei premi più “prestigiosi”, che hanno deciso di ignorare l’incredibile valore di uno dei capisaldi della storia televisione, uno show che non ha bisogno di riconoscimenti ufficiali per confermare la sua immensa qualità. David Simon è riuscito a confezionare un prodotto denso eppure usufruibile da tutti, opprimente eppure capace di regalare le soddisfazioni più grandi; parlare di perfezione è sempre un azzardo, ma quando si tratta di The Wire il termine sembra essere l’unico veramente adatto.

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29 commenti su “The Wire – L’epica di Baltimora

  • Dreamer88

    Ringrazio sentitamente Seriangolo per aver fatto uno speciale dedicato ad uno dei prodotti culturali (il termine non è stato messo a caso, perchè The Wire è questo) più importanti del ventunesimo secolo. The Wire fa parte di quel club (un club che ha come membri The Sopranos, Mad Men, Breaking Bad, Twin Peaks e Six Feet Under) che ha radicalmente trasformato la televisione, elevando la serialità televisiva a forma d’arte (prerogativa riconosciuta in passato solo al cinema, in ambito audiovisivo).
    A tal proposito, mi piacerebbe citare uno spezzone di un articolo scritto quasi due anni fa da Francesco Pacifico su uno speciale del Sole 24 Ore dedicato alle serie televisive che, secondo me, coglie esattamente l’essenza di The Wire:

    “Se il primo giorno di scuola fosse il pilota di una normale serie tv, andrebbe più o meno così: la ragazza che ti tirerà scemo dai quattordici anni ai diciassette, concedendosi solo di rado per un bacio, il primo giorno ti scriverebbe un bigliettino misterioso, o ti guarderebbe storto, o ti andrebbe a sbattere addosso in corridoio. Il compagno di banco scelto dalla sorte, che a quindici anni ti verrà ad aiutare quando due grossi ti mettono in un angolo, al quinto minuto del pilota ti darà una pacca discreta per avvisarti che la professoressa ti sta guardando mentre disegni una donna nuda. Sì perché è la storia di te che diventi – che ne so – l’illustratore del giornalino studentesco, e quindi il primo giorno ti beccheranno a disegnare figurine svestite per far capire che sei originale, spericolato, ispirato. Ma il tuo primo giorno di scuola, veramente, nemmeno te lo ricordi, perchè non è successo niente di che. Uno ha fatto una battuta ma non ricordi chi. Sono tutti ancora indistinti. Di qualcuno ricorderai un gesto, che non avrà niente di simbolico. Il pilota di The Wire è il primo giorno di scuola com’è andato veramente. Tutte le altre serie sono il primo giorno di scuola romanzato.”

     
    • Pietro Franchi L'autore dell'articolo

      Bellissimo pezzo, coglie davvero quello che è l’ENORME confine che separa qualunque cosa scritta da David Simon da tutto il resto. E chi pensa che questo tipo di narrazione (la più vera di tutte) sia meno efficace delle altre, vuol dire che The Wire non l’ha mai neanche provata a vedere.

       
  • Giovanni C.

    Bravo Pietro, era difficile introdurre una serie di questo calibro e di questa unicità. Bene che si sponsorizzino serie del genere, in modo tale che si raggiunga quello strato di spettatori che guarda solo alle novità e mai ai classici.

     
  • adebisi

    Sei e grandiosi fatelo dire, articolo fantastico!
    io più che un America decadente vedo rappresentata un America da sempre moralmente decadente che si nasconde dietro al suo sogno che sfocia nel pessimismo della serie.

     
  • Boodlez

    Avon e Stringer sulla terrazza…lucciconi…

    Grazie Pietro, spero che questo “reminder” serva a qualcuno per incuriosirsi e finalmente guardare questa gemma. Certo non è per tutti i gusti, ma resta una pietra miliare. Personaggi come Bubbles o Bunk pesano da soli più di molti protagonisti di altre serie

     
    • Pietro Franchi L'autore dell'articolo

      La scena della terrazza, tra l’altro, è stata definita da George Pelecanos (autore dell’episodio insieme a Simon) “the best thing I’ll ever have my name on”. E parliamo di un autore noir statunitense di tutto rispetto, non so se ho reso l’idea 😀

       
  • Gianni S

    Per non parlare di Little Omar, uno dei migliori personaggi di una serie tv, dalle mille sfaccettature, ma in fondo una delle figure più positive del plot. Da applausi anche gli scambi con il “collega” Brother Mouzone!

     
    • Boodlez

      Certo, io mi riferivo a quelli che in senso mooolto lato si potrebbero definire comprimari. Omar Little che te lo dico a fare, sta alla serialità come Ulisse alla letteratura 😀

       
  • from0tohero

    Capolavoro inarrivabile.
    Non realistica ma REALE, senza scuse, senza compromessi. La miglior serie mai andata in tv. Consiglio a tutti di buttare l’occhio anche a Tremè…

     
  • annamaria

    E’ una serie di cui ci si innamora perdutamente .
    La si vive come nessun’altra.
    Io ho amato e amo molti classici come I Soprano, Six Feet Under, The Shield, The West Wing, e altri più recenti come SOA, BB, BE, TD, ecc. ma The Wire è diverso, mi sta nel cuore, mi occupa l’anima.
    Amo alla follia i suoi personaggi, (tranne Marlo e Snoop, che mi fa una paura del diavolo), anche i “cattivi”, che vuoi che perdano perché stai con McNulty naturalmente, ma che in fondo non li odii davvero (tranne Marlo e l’agghiacciante Snoop, l’ho già detto, e anche quel terribile bambino che ammazza chi-so-io).
    Vedere quel divano in mezzo al nulla mi ha riaperto un mondo, davvero, mi sono commossa.
    Come ho detto adoro TUTTO di The Wire, però ho un figlio preferito ed è la seconda stagione, quella sul Porto, credo di non aver mai visto niente di più bello e perfetto.
    Sobokta che cammina sotto quel cavalcavia incontro al suo destino è un’immagine indimenticabile.
    E poi la stagione sulla scuola, come ex-insegnante ovviamente mi sono commossa, e poi c’era Prez che era uno dei miei prediletti (assieme a Lester e al commovente Bubbles).
    E’ incredibile vedere come certi attori fuori da quel contesto siano naufragati miseramente, come Tyreese (mio Dio! meno male che la lagna è finita) o l’ex-Angelo Barksdale (altro sacrifico umano targato TWD) o il nipote di Sobotka finito a fare il cattivo (un pessimo cattivo) in Mondo senza fine (ma lì c’era anche Miranda di Sex & the City che faceva l’avvelenatrice, è il luogo del Male quella miniserie lì).
    Sono scampati al crudele destino Bank (Treme), Mc Nulty (the Affair ma anche The Hour), Omar Little (Boardwalk Empire), Carcetti-Ditocorto di GOT e ovviamente l’immenso Stringer Bell-Luther.
    Ho dimenticato qualcuno?
    Gli altri li ho rivisti qua e là in vari contesti ma mai più a quei livelli.

    Bellissimo articolo, GRAZIE, degno di una serie superba che per me è LA serie e stop.

     
      • annamaria

        Ah, be’, allora anche in Damages, in Life on Mars e in altri, ma soprattutto in Treme e in Person of Interest (fa Alonso Quinn, prima di….. ma niente spoiler!).
        Io però io lo patisco quando fa il cattivo come in POI, sono così affezionata al mio intelligentissimo Lester, fin dalla1^ puntata, fin da quando, in quella scalcinatissima unità operativa in cui nessuno crede e in cui hanno infilato tutti i rifiuti e i rompiscatole (leggi McNulty) delle varie unità, riesce a trovare la prima fotografia di Avon Barksdale traendola da un manifesto che riguardava un incontro pugilistico locale sponsorizzato dal fino ad allora inafferrabile boss della droga (correggetemi se sbaglio, The Wire l’ho visto svariati anni fa).

         
  • annamaria

    Rileggendo mi sono resa conto di aver un po’ esagerato con la commozione.
    Commossa di qua, commovente di là….
    Che dire?
    Mi sono scappate proprio dal cuore, perché, lo ripeto (lo so, mi sto ripetendo un sacco, scusate…), io adoro The Wire e ne sono perdutamente innamorata

     
  • Teresa

    La serie più bella di sempre insieme a The Sopranos, a Twin Peaks e a Mad men (se questa ci regalerà un finale all’altezza). Tutto qua.

     
  • massimo

    Ricordo che un paio di anni fa c’era una classifica stilata dai sceneggiatori americani nella quale The Wire era 3° per quanto riguarda le serie drama, dietro solo a The Sopranos e Mad Men, questo per evidenziare ancora di più come Emmy o ascolti siano in realtà solo specchietti per le allodole e la qualità spesso è altrove.

     
  • Alberto

    Ho appena finito di vedere la prima stagione (Grazie Sky Atlantic, quando 15 giorni fa ho visto la programmazione mi sono commosso!), che mi sono sparato in soli 10 giorni.
    Serie molto bella, The Wire è effettivamente qualcosa di diverso da ogni altra bella cosa passata sugli schermi in questi ultimi 15 anni, e se è vero che mi ci sono voluti 8 episodi per affezionarmici davvero (i primi episodi sono un po’ stordenti e lenti), è altrettanto vero che tutto quel che di positivo avete scritto su questa serie lo condivido pienamente. The wire è davvero un prodotto letterario, dickensiano.
    E la serie più noir fra quelle americane.
    Ho sofferto fisicamente per la sorte di Wallace, il sedicenne che accudiva la truppa di ragazzini. ma molti sono i personaggi che mi hanno lasciato dentro qualcosa.
    E sono certo che a poter guardare la serie in lingua originale con i sottotitoli in italiano (si potrà mai?) la serie farebbe un ulteriore balzo verso l’alto nelle mie preferenze.
    Già così, comunque, dopo soltanto una stagione, The Wire ce l’ho nel cuore.
    Grazie Pietro Franchi per la splendida analisi di questo gioiello.

     
    • Pietro Franchi L'autore dell'articolo

      Grazie a te Alberto! Se la stai guardando su sky Atlantic dovrebbe essere possibile vederla coi sottotitoli, basta selezionare la lingua (sul tasto informazioni se non erro) e mettere l’inglese coi sottotitoli in italiano, spero che abbiano messo l’opzione anche per The Wire! Te la consiglio vivamente in inglese perché il linguaggio è fondamentale, e riesce a rendere l’incredibile aderenza alla realtà ancora meglio.
      In ogni caso, hai davanti delle stagioni stratosferiche (in particolare la terza e la quarta) non sai quanto ti invidio 😀

       
  • Alberto

    Purtroppo, Pietro, Sky non ha messo i sottotitoli attivabili, e ha pure usato la versione originale, quella in 4/3 (mi pare che in USA abbiano invece fatto più recentemente la versione widescreen, rimasterizzando). la cosa mi ha infastidito assai, ma comunque meglio in italiano che niente.
    La cosa veramente brutta è invece l’assenza delle prossime stagioni, non vedo su Sky nessuna loro programmazione per le prossime settimane… 🙁

     
  • flavio

    La sto rivedendo ora, 4 anni dopo la prima volta, e, sarà anche che avevo dimenticato parte della trama , mi sta riappassionando allo stesso modo.

     
  • alfew

    salve,
    volevo chiedere se qualcuno è a conoscenza del fatto per cui sky atlantic, non fa vedere la quinta e ultima serie dopo averne fatte quattro di fila

     
  • Marco

    Anche io mi pongo la stessa domanda di Alfew…Stavo rivedendo The wire su sky atlantic e la quinta stagione non viene trasmessa. La stessa cosa mi successe qualche mese fa con Breaking Bad su AXN…qualcuno ne conosce il motivo?

     
  • Pietro Franchi L'autore dell'articolo

    Ciao alfew e Marco, ho fatto un po’ di ricerche ma purtroppo non ci sono notizie che spieghino questo fatto; è probabile che Sky Atlantic abbia deciso di non acquistare i diritti per la quinta stagione di The Wire per la sua scarsa accessibilità, vista la natura così anti-commerciale del prodotto. Se si aggiunge, inoltre, la pubblicità inesistente che Sky ha fatto in favore della serie e la mancanza della possibilità di vederla in lingua originale coi sottotitoli (fattore a mio avviso fondamentale per rendersi conto dell’intero valore dello show) la cosa risulta più chiara. Se avessero scelto di trattare la creatura di Simon come stanno gestendo The Sopranos, ovvero con un minimo di promozione e una serata (il giovedì) dedicata interamente alla sua trasmissione (con maratone domenicali alla fine di ogni stagione), i risultati sarebbero stati perlomeno migliori!

     
  • gianni

    Finita di vedere ora la prima stagione di the wire…….raramente sono stato così preso da una serie tv….non concede nulla alla fantasia, è estremamente realistico e anchw il finale ti spiazza, non concedendo gloria o allori(solo spie e leccaculo andranno avranno riconoscimenti), ma solo pallottole , ricatti e umiliazioni per i protagonisti dell’indagine…..the wire…è la vita reale…sembra di viverla, non di stare a davanti alla tv…..Buble, il mio preferito….super, anche lui…quasi che entreresti dentro la tv, per dargli conforto coraggio per smetterla con la droga ..

     
  • mirko

    ho appena finito di rivedere the wire per la 2° volta (la 1° volta e stata 5 anni fa), ora non so più veramente che guardare, niente è paragonabile.