Combattere per la Causa che si ritiene più giusta è sempre stato per i protagonisti di The Americans l’unico obiettivo da tenere in considerazione: qualunque altro elemento della propria vita privata ha sempre avuto l’obbligo di cadere in secondo piano, di essere sacrificato per il “bene superiore”.
Questa terza stagione sta cercando, lentamente ma con una determinazione palpabile, di cambiare il punto di vista con cui osserviamo i personaggi da più di due anni. Alcune delle loro azioni, propedeutiche ad altre e necessarie per portare avanti i loro piani, raggiungono in questi episodi vertici inaspettati, ma non nel senso che ci si potrebbe aspettare: al terzo anno di programmazione, alzare il tiro e rendere sempre più complicate le operazioni dei Jennings (e non solo) sarebbe stata una strada quasi obbligata, ma di certo anche la più prevedibile. Le azioni compiute da Elizabeth, e soprattutto da Philip, non sono poi così diverse da quelle che abbiamo osservato in precedenza, ma assumono un significato totalmente diverso (e spesso terribile) alla luce del nuovo punto di vista con cui siamo costretti ad osservarli.
In un episodio come questo “Salang Pass”, che prende il nome dalla vicenda dell’incendio del passo del Salang nel 1983 in cui persero la vita sia soldati russi che afghani, la situazione sempre più in stallo ed ambigua della Guerra Fredda si riflette sulla vita dei personaggi coinvolti: al posto della determinazione nei confronti di un obiettivo e di una netta divisione tra vita privata e impegno politico, assistiamo ad una vera e propria confusione delle due posizioni. Motivi personali e “lavorativi” si intrecciano senza soluzione di continuità, rendendo i primi un costante memento nel giudizio dei secondi, e permettendo alle operazioni sul campo di intaccare sensibilmente la propria interiorità.
Scordiamoci, quindi, la netta divisione tra dentro e fuori che sembrava reggere fino alla stagione scorsa: la pressione di una guerra invisibile, eppure costantemente presente, comincia a diventare insostenibile, e persino gli agenti migliori iniziano a mostrare le loro debolezze – o, semplicemente, la loro umanità.
Martha took me to a foster-care place to look at kids. They’re so little.
Remember when walking without falling on their faces was a big deal?
Non è un mistero che la Guerra Fredda si sia trasferita direttamente tra le mura di casa Jennings, ma mai come in questo episodio è stato così evidente; mai come in questo caso si è assistito alla contraddizione rappresentata dalla coppia Philip/Elizabeth, giunta ormai ad analizzare situazioni familiari e piani operativi negli stessi momenti e nelle medesime occasioni.
Parlare di Kimberly implica ormai discutere di Paige – per la quale entrambi mettono in campo le loro abilità, come se si trattasse davvero di un obiettivo politico oltre che familiare; tirare in ballo Martha e il suo desiderio di maternità richiama, senza alcun senso di colpa, i primi passi di Henry e della sorella, e tutto questo continua ad entrare e uscire dalla loro sfera privata come un flusso di coscienza, come se non ci fosse più la voglia né la forza di tenere ogni elemento chiuso nel proprio cassetto. Non stupisce quindi che i due dialoghi tra marito e moglie seguano questa stessa dinamica in due momenti così diversi: nel primo caso in camera, mentre Philip ascolta le notizie del Passo del Salang e si aggiorna sugli sviluppi del conflitto russo-afghano; nel secondo in bagno, mentre Elizabeth pulisce la vasca ed è dunque alle prese con questioni più simbolicamente familiari.
Non c’è più una distinzione, né di momenti né di argomenti, non c’è più una cucina in cui discutere di Paige e di Henry e una lavanderia in cui stabilire chi deve vivere e chi deve morire: c’è solo un lungo, continuo, stancante, snervante confronto.
You get him away from the other parent, and… they’re just a whole different person one-on-one.
A rappresentare questo punto di vista, questa nuova fusione tra “pubblico e privato”, arriva anche l’agente Beeman, che in questo episodio trova la possibile chiave per risolvere entrambi i problemi che lo attanagliano. Non è un caso che proprio in questa puntata le sue esigenze private – riavere Nina – e quelle lavorative – dimostrare la colpevolezza di Zinaida – si intreccino fino a sfociare in un unico piano, che, giusto per sottolinearne ulteriormente l’ambivalenza, coinvolge come possibile alleato proprio Oleg (nemico, sì, ma anche uomo innamorato come lui di Nina, la rappresentazione per eccellenza dell’ambiguità tra sentimenti e ideologia).
Sarà stato forse anche a causa della confessione a Sandra nello scorso episodio, ma la volontà di riavere viva la donna che ha così tanto amato porta Stan, in questa puntata, ad ammettere per la prima volta che forse lui e la sua ex moglie non torneranno davvero insieme; e che quel figlio, già così incomprensibile per via dell’età, potrebbe allontanarsi ancora di più non vivendoci assieme.
Molte volte è una guerra, quella tra genitori separati, ma spesso lo è anche se si vive sotto lo stesso tetto, e Philip lo sa bene. Il racconto di Stan sul suo ritorno dai tre anni di copertura si trasferisce immediatamente su Philip ed Elizabeth, che sono sotto copertura da sempre e che forse, allo stesso modo, non verranno accettati dai loro figli quando (se) riveleranno la loro identità. È un rischio molto grande, che Philip non sembra voler prendersi, e non solo per l’incolumità di Paige, ma anche e soprattutto per paura di perderla davvero.
È necessaria una strategia, bisogna stare con i propri ragazzi e farlo da soli: i figli infatti sono diversi senza l’altro genitore – l’altra “influenza”, come la definisce Philip, e se ci si pensa è davvero una scelta di parole accurata, afferente molto di più all’ambito strategico che non a quello affettivo.
You had to find it in your mind somewhere.
They kept telling us we had to make it real to ourselves.
La coscienza, come dice Gabriel, non è sbagliata di per sé ma può essere estremamente pericolosa. Per Philip, però, il punto non è solo di coscienza: il problema non è banalmente l’età di Kimberly – un argomento di cui potrebbe occuparsi qualunque serie o film dedicato allo spionaggio – e nemmeno l’evidente parallelo con la questione di Paige, sottolineato dal fatto che la giovane ragazza sia chiaramente più alla ricerca di una figura genitoriale stabile che non di un fidanzato più grande.
La bravura degli autori emerge nel finale dell’episodio, che porta al culmine, con implacabile crudeltà, la fusione“missione/sfera privata” di cui si è parlato fino ad ora; persino Elizabeth, che in questa puntata viene mostrata come la più concentrata e focalizzata sui vari obiettivi da perseguire, è costretta ad ammettere i propri dubbi sulla questione Kimberly (“No, honestly. I’m asking you” “Honestly, I don’t know”), ma è soprattutto obbligata per la prima volta ad osservare quanto l’addestramento della Madre Russia sia stato atroce anche per Philip.
Il sesso come arma spionistica ci è stato mostrato sin da subito, ma solo in rare occasioni è stato approfondito come lente per cogliere elementi personali dei personaggi coinvolti: ad esempio quella volta in cui Elizabeth aveva voluto conoscere Clarke, o nella premiere di quest’anno, quando il rapporto sessuale visto come autentica esperienza aveva condotto Annelise alla morte. I flashback dell’addestramento di Elizabeth erano stati crudeli e terrificanti, ma in un certo modo prevedibili (nella terribile accezione di prevedibilità che purtroppo circonda la violenza sessuale sulle donne); la mancanza di un adeguato approfondimento del passato di Philip si è spesso fatta sentire, ma possiamo dire ora che l’attesa è stata narrativamente ripagata.
Solo ora, solo in questo preciso momento dello sviluppo del personaggio era possibile inserire una spiegazione tanto terribile quanto assolutamente necessaria: la domanda che tutti, realisticamente, avremmo dovuto porci – il “make it real” fisiologicamente inteso – è stata evitata fino all’ultimo, forse per pudore, o forse per non dover (anche noi) rendere reale un argomento così difficile e ostico da trattare. Ed ecco che la finzione, portata all’apice attraverso un addestramento di questo calibro, dall’ambito lavorativo torna alla sfera personale: al conflitto tra genitori, all’opposizione di idee, ma anche al sentimento tra due persone che sono state costrette a vivere insieme e che continuano a farlo, ora per amore, ora per dovere.
“Do you have to make it real with me?” “Sometimes. Not now.”
“Salang Pass” rappresenta un gioiello di scrittura, non solo per quei terribili cinque minuti finali, ma per tutto ciò che ha condotto a quel momento, e che ha raccontato l’evoluzione di personaggi tutt’altro che monolitici, tutt’altro che scientificamente programmati per perseguire un obiettivo senza porsi alcuna domanda. The Americans, nella sua essenza attuale, rappresenta la storia di individui perfettamente devoti alla propria Causa e che, ciononostante, vengono travolti dal dubbio, dalle domande, dalla sofferenza, e da quanto di più umano ci possa essere quando uomini e donne vengono portati al limite della loro sopportazione. Qualunque guerra può produrre questo genere di conseguenze, ma solo la Guerra Fredda poteva rappresentare questo tipo di umanità, lacerata da una dicotomia che è globale ma soprattutto personale.
Voto: 9
L’ultima scena dell’episodio è stata devastante, davvero devastante. Non c’è bisogno di aggiungere che The Americans è ormai una delle serie più importanti attualmente in onda (ed è ora che abbia anche qualche riconoscimento in più agli Emmy e Golden Globe).
Volevo dire Federica ma che bella recensione! Dissento solo da una cosa: a mio parere Elisabeth e Philip si amano davvero, quel make it real è una ulteriore staffilata dello show alle ipocrisie della vita di coppia. In fondo, loro due sono più sinceri della maggior parte delle coppie tra loro, forse proprio perché mentono a tutti gli altri
Grazie Eugenia! Io in quel “Sometimes. Not now” invece ci ho letto un altro significato. Certo che si amano, hanno imparato a farlo e sono sicuramente più vicini e sinceri di molti altri, ma in quel “a volte” ci ho letto tutte le differenze tra Philip ed Elizabeth, tutti quei motivi di scontro – e motivi di diversa fiducia nei confronti della Russia – che li stanno portando a dividersi sul fronte Paige e sul modo stesso di essere coinvolti in determinate operazioni. C’è un’evidente frattura nella coppia, il che non vuol certo dire che non ci sia amore, ma che c’è una differenza che sta diventando (a causa della questione Paige) sempre più evidente. Credo che su questa direzione si muoveranno anche per il resto della stagione… chissà come finirà
io credo che il metter in evidenza che a volte devono finger di amarsi, detto così e in questo momento, voglia significare che ora sono più vicini di quanto non lo siano mai stati. ora riescono a dirsi cose che hanno tenuto nascoste per anni, ora anche paige si rende conto di quanto loro siano uniti in un’unica missione-sfera emotiva anche nonostante le proprie differenze ideologiche su lavoro-famiglia. se ricordate nella prima stagione erano molto più in crisi e spesso rimarcavano il fatto del peso di questa coppia composta e non voluta, vedi la relazione più amorosa di Elisabeth con Gregory, o la volta in cui il KGB li ha rapiti e torturando Philip aveva espresso tutto il proprio amore per lei. per me sono il vero amore ora, differenze di opinioni come quella su paige sono normali per due caratteri diversi e comunque in linea con quanto descritto in 2 anni e mezzo di show.
infine trovo che quest’anno questi due attori riescano a infondere amore puro e anche paura per la situazione in cui si trovano, umanità…solo con sguardi e silenzi. davvero bravissimi
Di sicuro c’è una maggior vicinanza e complicità rispetto ai primi tempi, questo è innegabile; ma ci sono anche delle differenze altrettanto innegabili che li portano inevitabilmente a stare, su alcuni argomenti, da parti opposte. L’amore non è in discussione, ma ci sono delle fratture che richiamano le loro differenze e che sono spesso pronte a riemergere, indipendentemente dal sentimento che li lega