Doctor Who – 9×11 Heaven Sent 19


Doctor Who – 9x11 Heaven SentEra abbastanza difficile, soprattutto per quegli spettatori (la maggioranza) non abituati a padroneggiare la complessità della struttura narrativa di Doctor Who e della sua mitologia, avere delle aspettative concrete su questa stagione. Col senno di poi si può dire che è stata un’annata sorprendente che ha visto il suo momento (per ora) apicale al penultimo atto.

Prima di addentrarsi in interpretazioni e analisi bisogna mettere in chiaro una cosa: nessuna recensione su “Heaven Sent” potrà mai essere esaustiva; su un episodio del genere si potrebbero scrivere pagine e pagine, saggi di approfondimento, racconti di fan fiction, interpretazioni variamente forzate e via discorrendo, tanta è la complessità della narrazione abbinata a una messa in scena che raramente (le dita della mano sarebbero sufficienti) ha conosciuto questo livello di stratificazione e ancor più raramente ha dimostrato di saper intessere un rapporto con la storia così sofisticato. Si prendano ad esempio anche solo i simboli, tutte quelle immagini che partono dal concreto per portarci fuori, nello spazio della metafora e dell’immaginazione; pensiamo alle immagini di morte, alle mosche che costantemente ronzano attorno al corpo del Dottore come se fosse già in decomposizione, o alle partiture di Murray Gold che questa volta variano di tono e melodia rimanendo sempre stupefacenti, o ancora si pensi all’immagine di rara potenza del Dottore che si scava la fossa da solo. Mettere insieme tutte queste cose, anche se inizialmente un po’ a caso, senza il bisogno e la capacità di ordinarle, ci riporta alla questione principale della poetica di Steven Moffat: l’ossessione costante dell’autore per la morte, la paura di affrontarla e venirne sopraffatto, la voglia di lavorare sulla fiction per esorcizzare la brutalità del reale, la fiducia (come abbiamo avuto modo di sottolineare l’anno scorso a proposito di “Dark Water”) tutta umanista nelle risorse infinite della mente umana (si veda il lavoro fatto su Sherlock e in particolare “The Empty Hearse”), tanto da credere di poter sfidare l’impossibile, compresi i limiti della natura.

It’s funny, the day you lose someone isn’t the worst.

Doctor Who – 9x11 Heaven SentLa potenza della riflessione di “Heaven Sent” risiede anche nella scelta di far coabitare due morti: da una parte si ha quella irrimediabile di Clara, dall’altra quella (per ora soltanto temuta) dello stesso Dottore. È difficile stabilire quale delle due sia dominante in questo segmento narrativo, anche perché la loro relazione è estremamente intrecciata, soprattutto per via del ruolo che aveva la donna nella tutela delle fragilità del suo più anziano compagno di avventure. In questo episodio ci si trova nel pieno dell’elaborazione del lutto, in quella disperazione generata da un dolore apparentemente insopportabile, dato dalla consapevolezza che di quella donna (per tanti versi sicuramente amata) non rimane che l’immagine: quella mentale (ma su questo ci arriveremo dopo) e quella reale, confinata in una cornice enorme, impossibile da evitare con lo sguardo. Al cospetto di quel quadro pieno di significato Peter Capaldi è come l’Edward G. Robinson de La donna del ritratto di Fritz Lang: solo, impotente e sconfortato di fronte alla presenza di un oggetto che non fa che sottolineare la lancinante assenza di un soggetto. Come il protagonista del film di Lang del 1944, il Dottore non può che rifugiarsi nel sogno e affidarsi alla protezione della dimensione onirica. Perdita della donna amata, ritratto e sogno sono profondamente intrecciati e questo lo sappiamo ormai da tanti anni, come ci hanno ricordato l’Hitchcock di Rebecca, ma soprattutto il Preminger di Vertigine, film in cui, in maniera molto simile a questo episodio del Dottore, la contemplazione del ritratto della donna scomparsa conduce verso un viaggio tra sogno e realtà dentro se stessi, alla scoperta delle proprie più recondite paure.

How could there be other prisoners… in my hell?

Doctor Who – 9x11 Heaven SentL’immagine ricorsiva del Dottore che senza fiato appare nella cabina del teletrasporto, che in prima istanza non chiarisce se si stia riprendendo o stia agonizzando, è il lasciapassare per addentrarsi nell’idea più interessante dell’episodio, ovvero la (sostanziale) variazione sul tema del lavoro sulla riscrittura del tempo che da sempre caratterizza il pensiero di Moffat. Questa volta però siamo su un altro campo da gioco: senza ridurre o voler sminuire i lavori sulla temporalità non lineare che l’autore ha fatto in passato (“The Impossible Astronaut”), in questo caso siamo di fronte a una situazione di ben altra serietà: la morte di Clara, la possibile e temuta morte del Dottore, il mistero legato a Gallifrey, l’anzianità del protagonista e tutto ciò che ne consegue, rappresentano delle spinte talmente forti da influenzare il pensiero moffattiano in maniera decisiva. Quello che in altre situazioni sarebbe stato un loop qui viene totalmente distorto e razionalizzato, piegato verso una consapevolezza che mette davanti ad ogni cosa la riflessione sull’esistenza e sul suo significato. Siamo davanti a un wibbly wobbly upgraded, non più attorcigliato come un’opera di Escher, ma stiracchiato dalla rilevanza del discorso filosofico, fino a costituire una strada che ha un inizio e una fine, senza uscite laterali o scappatoie. Il Dottore ha il dovere di percorrerla se vuole arrivare alla fine, conscio che non riuscirà mai a farla tutta in una volta, che avrà bisogno di morire e ricominciare innumerevoli volte e come in un videogioco affinare le proprie abilità e diventare più forte e capace di arrivare a destinazione, che si chiami premio finale o game over (a questo proposito si consiglia Edge of Tomorrow, film dello scorso anno che lavora proprio sulle ibridazioni tra narrazione audiovisiva e videogioco attraverso la figura del protagonista).

Whatever I do…
… you still won’t be there.

Doctor Who – 9x11 Heaven SentA caratterizzare questo percorso c’è la paura, condizione di enorme fragilità di un Dottore mai così solo, lasciato inerme di fronte alla vita e alla sofferenza. Ben presto diviene chiaro che le paure principali sono sostanzialmente due: quella della propria morte e quella di restare a Gallifrey (questione che rappresenta la storyline principale dell’era Capaldi, il territorio in cui il dodicesimo Dottore ha trovato, trova e troverà una vera definizione identitaria). Lasciando per un attimo da parte la questione legata al suo passato, il rapporto con la morte genera un vortice di riflessione e autoriflessione impostato sull’analisi delle paure, tanto da saggiare a piccoli bocconi cosa vuol dire davvero morire, o star per morire, per poi elaborare i dati in maniera estremamente personale. Nessuno si ricorda i momenti della propria nascita e della propria morte, dice a un certo punto il protagonista alle prese con il teschio del se stesso di qualche vita precedente (immagine sconvolgente), ed è tale paura nei confronti dell’ignoto che collega questo episodio a uno dei due capolavori della scorsa stagione, “Listen”, anche esso dominato dalla figura del protagonista e da una riflessione intima e pervasa da monologhi di grande intensità legati a tutto ciò che c’è al di fuori della propria conoscenza. Rifugiatosi nel suo spazio mentale, il Dottore ha bisogno di sdoppiarsi per sopravvivere alla solitudine, e il suo alter ego ha le fattezze di Clara, altra metà di una bipolarità inevitabile. Il senso di protezione, amore e compagnia che Clara ha sempre incarnato diventa qui l’occasione di un botta e risposta con l’altra metà della sua anima; la strada per la soluzione dell’enigma, per vincere a quel gioco dove in palio c’è la vita, ricordando molto da vicino la partita a scacchi con la morte dell’indimenticabile Il settimo sigillo di Ingmar Bergman.

Burning the old me to make the new one?

Doctor Who – 9x11 Heaven SentCome si sopravvive a questo camera di torture? Dov’è l’uscita e dove l’entrata se questo labirinto è tutto nella tua testa? Si è sempre detto che il Tardis è un vero e proprio carattere – tanto da incarnare anche un personaggio in un bellissimo episodio scritto da Neil Gaiman –, ma questa volta diventa qualcosa in più: il cuore pulsante del pensiero del protagonista, la cabina di controllo e lo spazio d’elaborazione, tanto da mettere sotto una nuova e affascinante luce quel bigger in the inside che sempre lo ha caratterizzato, poggiando l’attenzione sulle infinite risorse del cervello umano. Per uscire dall’ossessione per la perdita della donna amata il Dottore ha bisogno di fare un lungo percorso di messa in discussione della propria persona, accettando di morire per rinascere, o nascere con la consapevolezza di non poter far altro che morire (proprio come nello straordinario monologo d’apertura). Questo percorso in avanti, fatto di inciampi obbligati e pause riflessive, ricorda una vera e propria discesa agli inferi, dove questi ultimi rappresentano per il Dottore il cuore delle proprie paure, riconoscibili solo al limite tra la vita e la morte – proprio come in “His Last Vow” di Sherlock, in cui Moffat porta il suo protagonista attraverso una caduta nelle zone più sommerse e recondite della propria memoria, al fondo della quale lo aspetta la più terrificante delle sue nemesi. Come sempre nelle opere di Moffat i rimandi intertestuali con altre opere, specie se scritte da lui, non sono mai privi di un senso profondo, anche nei casi in cui il ludus recita la parte del leone. In questo caso le cadute di Sherlock e del Dottore sono apparentate proprio perché rappresentano lo sforzo sovraumano di due personaggi speciali che si trovano, al limite delle proprie forze, a dover fronteggiare le loro maggiori insicurezze. Steven Moffat in questo caso riesce ad essere al contempo divertente, romantico, tragico e coltissimo (ma questo lo sapevamo), specie quando usa come soluzione dell’enigma un estratto di una fiaba dei fratelli Grimm, che a rileggerlo fa venire la pelle d’oca, specie se sovrimpresso ai primi piani dell’immenso Peter Capaldi.

The hybrid is me.

Doctor Who – 9x11 Heaven SentPrima di concludere questa recensione, le cui parole non saranno mai abbastanza per rendere merito a questo episodio, è necessario dire ancora qualcosa sulla questione Gallifrey, sul finale e sul mistero legato all’ibrido. L’autore dimostra di saper tenere insieme il macro racconto e collegarsi a una parte della mitologia di cui è tra i principali responsabili, una questione legata al passato del Dottore già anticipata in “The Day of The Doctor” e “The Time of The Doctor” e ora ripresa in maniera certamente più incisiva. Che tipo di terrore ha costretto il Dottore a fuggire da Gallifrey? Chi lo ha spedito lì? Quanto c’entra Missy in tutta questa vicenda? E poi la questione dell’ibrido: sappiamo che i Dalek sono impermeabili a questo tipo di fusioni, ma allora a chi si riferisce con quel “me”? Qui Moffat ha realizzato un altro dei sui trucchi geniali perché ad oggi siamo di fronte a un bivio: avrà scelto di terremotare la mitologia del Dottore in modo affascinante anche a costo di ri-canonizzare un film del passato quasi dimenticato; oppure di coronare una stagione con un personaggio apparso nella prima parte e che potrebbe ritornare in pompa magna e pregno di significati?

Di tutte queste domande solo alcune troveranno risposte concrete nel prossimo e conclusivo episodio, anche perché il percorso di Capaldi non finisce con quest’anno. Per ora possiamo senza dubbio affermare che “Heaven Sent” è un episodio perfetto, caratterizzato da una scrittura sofisticata e solidissima, da una messa in scena originale e da un’interpretazione, quella di Peter Capaldi, che porta davvero molto in là il lavoro sul corpo e sulla voce del Dottore. Non sappiamo come finirà e se l’autore riuscirà a concludere con lo stesso slancio (ripetere queste vette qualitative pare impossibile, specie nell’episodio immediatamente successivo), ma per ora ci limitiamo ad applaudire, e a rivedere a oltranza questo indimenticabile episodio.

Voto: 10

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Informazioni su Attilio Palmieri

Di nascita (e fede) partenopea, si diploma nel 2007 con una tesina su Ecce Bombo e l'incomunicabilità, senza però alcun riferimento ad Alvaro Rissa. Alla fine dello stesso anno, sull'onda di una fervida passione per il cinema e una cronica cinefilia, si trasferisce a Torino per studiare al DAMS. La New Hollywood prima e la serialità americana poi caratterizzano la laurea triennale e magistrale. Attualmente dottorando all'Università di Bologna, cerca di far diventare un lavoro la sua dipendenza incurabile dalle serie televisive, soprattutto americane e britanniche. Pensa che, oggetti mediali a parte, il tè, il whisky e il Napoli siano le "cose per cui vale la pena vivere".


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19 commenti su “Doctor Who – 9×11 Heaven Sent

  • Writer

    Avevo scritto un commento lungo piuttosto critico nei confronti della fiction. Ma ho premuto un tasto sbagliato è mi è scomparso. Forse è meglio così. Avevo affermato, in sintesi.
    1. Il Doctor Who è, a mio parere, una serie decisamente soppravvalutata, una fiction per ragazzi che viene presentata come un capolavoro assoluto.
    2. Trovo irritante e liturgico l’apparato esegetico-discorsivo che accompagna la mitologia del Dottore.
    3. Anche se la recensione di Attilio è scritta molto bene e si legge con interesse, mi para funzionale a una narrazione che trasforma un onesto prodotto di intrattenimento in un’ opera maestra che dialoga con la vita, con la morte, con il senso del tempo.
    4. La cifra del Doctor Who consiste, a mio giudizio, in una narrazione leggera, scanzonata, autoironica, che si muove disinvoltamente nello spazio e nel tempo, che si prende poco su serio. Il viraggio verso tematiche dark, cupe, mi pare una sorta di vaccino che appesantisce il prodotto e che lo incatena a formule ormai abusate.
    5. Una di queste formule è la “riscrittura del tempo”, “modifico il passato per riscrivere una nuova linea temporale”. In realtà, ciascuno di noi compie questa operazione con i ricordi, con i sogni, con le previsioni, con i desideri e le aspettative. Ed è l’unica “riscrittura del tempo” che abbia un senso. Spostare questo topos su un piano pragmatico rischia di risultare, oltretutto, inefficace. Se la linea temporale è stata riscritta già numerose volte ma io non ne sono consapevole, è come se non fosse accaduto nulla. ANZI, NON E’ ACCADUTO PROPRIO NULLA.
    6. Ho trovato questo ultimo episodio pesante, ripetitivo, pretenzioso, infarcito di simboli pacchiani e convenzionali. Come si possa considerare alla stegua di un vertice della serialità mi pare un mistero…
    7. Tutta la stagione, osannata dai più, mi è parsa pretenziosa e mediocre Il discorso del dottore al capo Zygon nella parte finale di “the Zygon inversion” merita di entrare nell’olimpo delle banalità e della retorica televisiva.

    W.

     
  • Joy Black

    Non sto facendo altro che riguardare l’episodio da giorni, specie il montaggio finale che è qualcosa di sublime.

    Attilio, recensione bellissima e approfondita come sempre, i miei complimenti. Hai trovato anche dei riferimenti che per lacune di mia cultura cinematografica mancavano (ma che vedrò di recuperare prossimamente).

    Episodio semplicemente maestoso, complesso e stratificato, sia emotivamente sia intellettualmente. Non so se sia il migliore della serie, ma sicuramente tra i primi 3 o 5, e forse la migliore ora televisiva dell’anno (se la gioca con la sesta puntata di Cucumber) tra le serie che ho avuto occasione di vedere.

    Moffat è un autore geniale, che a volte si fa prendere la mano, ma qui è stato perfetto, tirando fuori probabilmente il suo episodio più complesso nell’intera serie (e non è uno che fa episodi semplici del resto). Oltre alla sceneggiatura (ed è una cosa che ripeto sempre) Steven si dimostra uno scrittore in grado di “rubare” da se stesso le sue stesse idee, rielaborarle e riadattarle brillantemente alla nuova storia, creando un qualcosa di ancora più speciale. Qui lo fa riprendendo l’idea del mind-palace di Sherlock, con il mind-Tardis/Storm Room del Dottore: il time lord entra dentro e racconta all’altra parte di sè impersonata da Clara come ha fatto a salvarsi. Un’idea geniale che in qualsiasi episodio della serie sarebbe stata la trovata di maggior impatto, l’apice dell’episodio, invece in un questo è solo la prima parte, l’inizio del percorso. Cammino all’interno delle paure del Dottore, con la morte che lo insegue costantemente ed inesorabilmente, mentre lui affronta la perdita di Clara, la sua assenza che torna tormentarlo costantemente.

    Poi il finale: il loop indotto, il ciclo continuo di morte e rinascita, la storia dei Grimm che a poco a poco si svela, una parola alla volta, così come la comprensione dello spettatore che aumenta gradualmente. Solo applausi davvero!

    L’ibrido e Gallifrey passano quasi in secondo piano, questioni che assumeranno una connotazione più specifica nel prossimo episodio (che non potrà mai essere a livello di questo, ma speriamo che sia un finale all’altezza di questa grandissima stagione).

    D’accordissimo con il 10 (forse non sarei riuscito a trattenermi nella scala decimale LOL)

     
  • SerialFiller

    Dopo un episodio perfetto ma perfetto davvero arriva una recensione perfetta ma davvero perfetta.
    Grazie Moffat
    Grazie Capaldi
    Grazie Attilio

     
  • Attilio Palmieri L'autore dell'articolo

    Serialfiller
    Grazie! Devo ammettere che non è stato facile scrivere di questa puntata. Era talmente densa che avrei potuto prenderla da tante prospettive diverse e come sempre in questi casi è più la delusione per le cose che non si è riusciti a dire che la soddisfazione per quelle che si è detto.

    Joy
    Grazie anche a te, come sai l’episodio mi ha esaltato non poco e alla seconda visione nettamente di più e questo di solito è un segno di grande valore. Tra i film che ho citato non so se hai visto Edge of Tomorrow, anche se credo di sì, visto il genere. Il rapporto tra quello e questa puntata del dottore è molto stretto. Edge infatti, travestito da blockbuster tradizionale, prende Tom Cruise e lo fa diventare praticamente un personaggio di un videogioco mascherato, dove ad ogni vita cresce la sua esperienza e aumentano le sue abilità. Un ragionamento sul rapporto tra cinema/TV e videogioco che accomuna questo episodio del Dottore e il film.

    Writer
    Innanzitutto ti ringrazio per la lunga risposta e per i complimenti che più o meno fra le righe emergono. Fa sempre piacere. Per ragioni di sintesi provo a risponderti punto per punto, in modo da tenere anche le idee ordinate.

    1. Su questo io penso esattamente il contrario. Sono convinto che Doctor Who sia una serie abbondantemente sottovalutata. Il fatto che sia una serie anche dedicata a un pubblico più giovane non fa altro che azzoppare lo sfondamento critico della serie, attanagliandola (non sempre, per fortuna) in un pregiudizio critico che a mio avviso non ha ragione d’esistere. Al cinema come in TV i prodotti dedicati a un pubblico più giovane sono spesso sottovalutati, pensiamo all’animazione o a tanto cinema degli anni Ottanta (Stand By Me, Breakfast Club, I Goonies). Una cosa molto simile accade a Doctor Who, serie che dalla seconda stagione in poi ha visto una crescita esponenziale e che dalla quinta ha iniziato a lavorare sulla messa in scena e sullo stile in maniera inedita rispetto al passato, lavoro che ha visto un’impennata con il ciclo iniziato con Capaldi. Questo episodio ne è la dimostrazione: una regia di questo tipo in TV non si vede facilmente.

    2. Non ho capito cosa intendi per “apparato esegetico-discorsivo che accompagna la mitologia del Dottore”. Se ti riferisci a tutto quel calderone di speculazioni e interpretazioni legate a un mondo finzionale molto complesso e esteso nel tempo e nello spazio, credo sia una cosa del tutto normale. In fin dei conti stiamo parlando di una serie con un fandom di proporzioni enormi e in questi casi (vedi casi emblematici come Star Trek, Star Wars, Harry Potter) è quasi automatico, oltre che legittimo, che i fan “producano” qualcosa, fossero anche solo interpretazioni. Poi certo, tu puoi legittimamente trovarlo irritante, non te ne faccio certo una colpa, ma è così.

    3. Grazie nuovamente per i complimenti alla recensione, ma non capisco perché un mio lavoro debba, nelle tue intenzioni, essere in alcun modo “funzionale” a qualsivoglia narrazione. Lo trovo anche abbastanza offensivo sinceramente, o quantomeno mi sembra un tentativo di sminuire l’autore (che in questo caso sarei io, ma vale anche come discorso generale) poco elegante. Usciamo per favore dall’opposizione prodotto d’intrattenimento vs. opera culturale. Il romanticismo è finito e fortunatamente anche la Scuola di Francoforte non sta messa tanto bene. Credo che nel 2015 si possa tranquillamente che un prodotto di intrattenimento possa essere anche un’opera di valore culturale.

    4. Qui hai (parzialmente) ragione: la cifra di Doctor Who, o meglio il registro tipico adottato, è sicuramente leggero (che non vuol dire superficiale, attenzione), a volte scanzonato, autoironico (che vuol dire – sempre – anche intelligente e mai – di nuovo – superficiale). Tuttavia, se c’è una caratteristica unica di questa serie, data anche da un format estremamente flessibile (viaggi nel tempo e nello spazio, sempre e dovunque), è quella di riuscire ad essere “per adulti” quando esigenze narrative e/o scelte autoriali lo richiedono. Pensiamo a episodi come Blink, Midnight, The Waters of Mars, The Angels Take Manhattan, Listen o Dark Water, sono tutti episodi che vanno nella direzione della cupezza e della riflessione sul dolore, sulla paura e sul senso dell’esistenza tra la nascita e la morte. Non mi sembra siano episodi non riusciti, anzi.

    5. Non ho capito cosa intendi per piano pragmatico, ma posso dirti solo, onestamente, che ti sbagli di grosso: quella che menzioni tu non è “l’unica riscrittura del tempo che abbia un senso”, bensì solo una delle riscritture possibili. Su questo non mi dilungo oltre perché basta conoscere un po’ di fantascienza per avere un’idea (Fringe, Ritorno al futuro te li lascio qui come esempi emblematici ancorché celeberrimi).

    6. Forse non mi sono riuscito a spiegare bene io nella recensione, d’altronde l’episodio era molto stratificato e avrebbe necessitato un insieme di articoli per ricevere giustizia critica. Mi spiace non essere riuscito a convincerti del perché rappresenti un vertice della serialità e averti lasciato nel mistero. Mi sfuggono i simboli pacchiani, ma non fa niente.

    7. Qui non so davvero che dire, nel senso che nel tuo commento mi è capitato più volte di leggere sequenze di aggettivi lasciate lì, da sole. Ti dico una cosa, se utilizzi aggettivi come ad esempio “pesante, ripetitivo, pretenzioso” devi motivarli argomentando, cioè riempiendogli di significato, altrimenti rimangono semplicemente parole vuote, inutili.

     
    • Francesca Anelli

      Hai detto tutto, e benissimo. Aggiungo solo che il discorso del Dottore in “The Zygon Inversion” è tutto fuorché retorico (e dunque ampolloso, o magari pedante). In quelle parole, che solo all’apparenza possono sembrare banali, c’è tutto l’universo di Doctor Who, un universo che vale la pena conoscere anche (forse soprattutto) da adulti. Il messaggio del Dottore non è un trito: “siamo tutti uguali, volemose bene”, ma un invito per nulla scontato alla razionalità e al pensiero (auto)critico, alla lungimiranza in luogo delle soluzioni facili, spesso incapaci di andare oltre l’obiettivo superficiale del momento. E’ Un rifiuto della guerra che non nasce dal pacifismo fine a se stesso di molti movimenti non-violenti, ma dalla consapevolezza di ciò che è utile, possibile e sensato fare in una determinata situazione.
      Se Doctor Who è uno show per ragazzi, lo è nel senso più bello che possiamo dare a questa definizione: ci “educa” a guardare la vita dalla prospettiva migliore possibile, e nel farlo ci “intrattiene”. Che non è una brutta parola.

       
    • Michele

      Caro Attilio, sono un teledipendente seriale di fantascienza anche perchè mio padre era un collezionista di Urania dal numero 100 in poi. Sono cresciuto nella fantascienza e per me autori come Sturgeon, Simak e Brown sono stati compagni nel cammino di 54 anni di vita. Avevo sempre rifiutato la visione del Dottore, temendo di restare deluso o forse di esserne conquistato… le ore del giorno sono limitate, per chi deve anche lavorare per vivere. Ma alla fine, dietro alle insistenze di mio fratello, meno appassionato di Fantascienza di me, ma un vero “Who Addicted”, ho ceduto. Ebbene? Ho visto alcune puntate a caso, seguendo le istruzioni da voi fornite quest estate… Gli angeli, van gogh, la biblioteca. Sì. Bello. Ma quando ho attaccato la nona stagione sono rimasto a bocca aperta. Arrivato alla 9.11, che ho già più volte rivisto, mi sono commosso, come quando lessi la prima volta City di Simak o Medusa di Sturgeon. Ma leggere il commento di Writer mi ha dato veramente fastidio, non per la debolezza delle tesi sostenute, ma per la totale assenza di tesi in 50 righe di commento autocelebrativo. Rispondo una sola cosa. Non sono nè un fanatico dottoriano, nè un ragazzino appassionato di viaggi dell’impossibile. La profondità di scrittura tradotta in una semplicità di tessitura che si dipana momento per momento rende la puntata un capolavoro assoluto della Fantascienza di tutti i tempi. Se qualcuno poi ritiene Doctor Who una fiction per ragazzi… beh. E’ anche quello. Nel capolavoro è intrinseca l’universalità. Ecco. Pretenzioso, retorico, e … presuntuoso. Questo ho trovato intrinseco al commento dell’amico writer. Una voce fuori dal coro e più informata e attenta delle altre? No. Bastava un semplice: non mi piace e non mi è piaciuto mai. molto più accettabile e comprensibile. Ma sinceramente una tale serie di banalità travestite da critica di alto livello, compreso l’esordio col tasto schiacciato per errore, no. lo trovo insulso. Non ho mai scritto qui finora, nè più lo farò, penso. Però vi seguo assiduamente e vi ringrazio per gli strumenti che ci fornite per scegliere. Non è facile con l’enorme offerta che ci viene proposta. Non sempre, dopo, si è concordi nei giudizi, Ma un conto è il gusto personale, un conto il protagonismo travestito da competenza. Grazie ancora.

       
      • Writer

        @Michele:

        Due precisazioni: ho davvero sbagliato a inviare il mio primo commento, non è stato un vezzo (di cosa poi?). Il testo mi è scomparso e l’ho riscritto sintetizzando, forse in modo un po’ brutale. Seconda questione: se, in una risposta ad Attilio, parli per metà del post di un mio commento, forse avresti fatto meglio a rispondermi direttamente, almeno per la parte che mi riguarda.
        Non capisco perché scrivi che il mio commento è autocelebrativo, mi sono concentrato sulla fiction e ne ho dato una valutazione da cui ovviamente si può dissentire, che puoi ritenere presuntuosa, ma cosa avrei autocelebrato? Quello che mi dà fastidio (e non sto parlando solo del tuo intervento) è la patente di capolavoro che viene affibbiata a opere che non la meritano. Battlestar Galactica, nel campo della fantascienza, è una fiction eccezionale che raggiunge l’eccellenza, Solaris di Tarkovski è un’opera maestra, Blade Runner, Inception, Matrix sono capolavori. Doctor Who, a mio giudizio, no. Puoi dissentire radicalmente dalla mia valutazione, ma ciò non ti autorizza a squalificare il mio commento.
        @Francesca: anche tu rispondi ad Attilio per contraddire una mia valutazione. della serie: faccio lega con la suocera per contenere la nuora (il detto è un po’ diverso, tant’è… :-).
        Mi sono rivisto il discorso del dottore a Zygella. All’inizio dice: “voi siete dei bambini capricciosi… come tutti i bambini capricciosi non sapete cosa volete davvero”. Poi prosegue dicendo “cosa volete veramente? La guerra-risponde zygella-. “E quando questa guerra finirà, quando avrete un mondo libero dagli umani, come credete che sarà? Ci saranno case? ci saranno le vacanze? ci sarà la musica? La gente suonerà i violini? chi costruirà i violini?, ecc, ecc. A quel punto ho sperato ardentemente che Zygella premesse il pulsante collegato a un ordigno di distruzione di massa e mettesse fine alla puntata con un’esplosione terrificante…
        Punti di vista, ovviamente…. 🙂

         
        • Francesca Anelli

          Ho risposto ad Attilio solo perché il suo era l’ultimo intervento, seguendo semplicemente la discussione. Se avessi risposto a te (intendo tecnicamente, usando il tasto rispondi) avrei rischiato che non mi leggessi, perché magari non te ne saresti accorto. E quindi, rispondendo (tecnicamente) ad Attilio, ad inizio messaggio mi sono rivolta a lui. Tutto qui. Nessun problema a parlare con te, perché avrei dovuto averne (su internet, poi!)?

          Per il resto: è proprio il fatto che tu avresti voluto far esplodere tutto solo perché il Dottore aveva sminuito “l’impresa” di Zygella che mi fa pensare che ci sia sempre più bisogno di monologhi del genere. 🙂 Vedi, ognuna delle citazioni che hai riportato punta l’accento sulla lungimiranza, la razionalità e l’opportunità di guardare le cose con distacco prima di agire. Io lo trovo un approccio inedito (e necessario) al problema, oltre che una prova attoriale straordinaria (ma questa è un’altra storia). Che possa sembrare semplificato mi sta bene, soprattutto per la velocità con cui Zygella cambia idea, ma è una “forzatura” che ha uno scopo preciso: mostrare che è possibile, perché E’ possibile. Oltre tutto bisogna guardare Doctor Who per quello che è: non è Homeland, non è The Honorauble Woman, è Doctor Who. Che non significa che è una stronzata per ragazzini senza alcuna pretesa di accuratezza. Significa che parla di alieni, che ha un linguaggio (bisogna sempre capire il linguaggio di una serie, per poterla criticare) ed un stile preciso, ed in quel contesto il discorso funziona alla perfezione. Anzi, è sempre più straordinario vedere come una serie come Doctor Who sia in grado, anche attraverso il suo preciso modus narrandi, di affrontare temi del genere con una tale lucidità e altrettanto fascino.

           
  • Writer

    Una risposta al volo, Attilio.
    1. Tutto si può dire, tranne che “Doctor who” sia una serie sottovalutata. Da Wikipedia “La serie ha ricevuto moltissimi riconoscimenti sia dalla critica che dal pubblico. Ha vinto nel 2006 il premio BAFTA per la miglior serie drammatica e per cinque volte consecutive (2005-2010) il National Television Award sotto la produzione esecutiva di Russell T. Davies.[5] Nel 2011, Matt Smith è stato il primo attore della serie a essere nominato per il BAFTA come miglior attore protagonista grazie alla sua interpretazione del Dottore”. Non so quale accoglienza abbia avuto negli Stati Uniti, ma nel Regno Unito e qui da noi è un’icona. Quindi tenderei a confutare la tua prima risposta.
    2. Per “apparato esegetico-discorsivo” intendo le speculazioni dei fan e dei critici sul modello, per capirci, di Lostpedia, forum che ho ai suoi tempi frequentato, in cui un fotogramma di un geroglifico egizio dava luogo a discussioni di settimane. Due palle così, scusa il francesismo.
    3. Non capisco perché trovi offensivo il mio riferimento al “discorso funzionale”. Intendevo dire che la tua recensione si inserisce all’interno di un filone (piuttosto robusto) che considera Doctor who un capolavoro. Per quanto riguarda la dicotomia tra opera di intrattenimento vs opera culturale sono sostanzialmente d’accordo con te. Ma non era ciò che avevo scritto. Doctor who è indubbiamente un’opera che ha un suo spessore culturale (quasi 50 anni di programmazione lo stanno a testimoniare), ma non la considero un capolavoro della serialità.
    4. Trovo profondamente errata la distinzione tra tematiche “leggere” riservate ai ragazzi e temi cupi e dark riservati agli “adulti”. Un format flessibile dovrebbe integrare questi due filoni all’interno dello stesso episodio. O meglio: un approccio autoironico e leggero può essere sviluppato con riferimenti alla tematica del dolore e della perdita.
    5. Se non hai capito a cosa mi riferisco, non puoi dire che mi sbaglio di grosso. E’ un principio logico elementare. In ogni caso, sono un sostenitore del “What happened, happened”. O per usare una frase tratta da Star Trek “i viaggi nel tempo mi fanno solo venire mal di testa”. Certo che la tematica è molto sviluppata, da Wells a Fringe. Direi quasi abusata. Ma, per restare a Fringe, la ritengo anche la parte più debole della fiction. E non ce n’è neanche bisogno, visto che la narrazione, la rappresentazione implicano per definizione l’intersercarsi di piani spaziali e temporali.
    6. Tu non mi devi convincere di nulla, Attilio. Non sei un testimone di Jehova o un agente assicurativo. Nè io devo convincere te. In merito ai simboli, ho trovato stereotipate le immagini della morte incappucciata con gli artigli adunchi, le mosche, i teschi, la fossa, un insieme iconografico da asilo nido.
    7. Avevo fornito un esempio, quello dello speech finale del dottore nella 9 x08.
    ma tu lo hai allegramente skippato. Se vuoi, ti posso fornire altri esempi. Ma non adesso perché sono di fretta… 🙂

     
  • Writer

    @Francesca
    Non trovo il tasto “ripondi”, ti rispondo da qui.
    Anche se ho apprezzato l’ironia della frase, il mio desiderio di un’esplosione che interrompesse la puntata non è legato al tentativo del Dottore di sminuire la rivoluzione di Zygella, ma al crescendo di banalità del discorso, di cui ho quotato qualche brano. Poi, certo che è meglio proporre un’ipotesi di integrazione tra specie diverse piuttosto che una lotta senza quartiere (i riferimenti all’attualità si sprecano e probabilmente l’autore ne ha tenuto conto), Tuttavia, la scelta fatta (due persone come pistoleri pronti a premere un pulsante e un tizio in mezzo che fa uno sproloquio) mi pare più vicina a una puntata di “affari tuoi” che a una fiction di fantascienza… 🙂 Proprio perché il Doctor who non è una “stronzata per ragazzini”, mi sarei aspettato una scelta stilistica e narrativa differente.

     
    • Francesca Anelli

      Ed è legittimo, solo che, secondo me, non ti è chiaro il registro che usa la serie. Il fatto che non sia una “stronzata per ragazzini” non implica che debba essere una serie realistica, o un’analisi accurata della realtà geopolitica internazionale. E’ chiaro che se la vedi in quest’ottica il discorso del Dottore non ha alcuna aderenza alla realtà, né sarebbe accettabile nel contesto di altre produzioni dal linguaggio e gli intenti molto differenti.
      Ma, a questo punto, mi sembra di capire che tu non riesca/voglia/abbia interesse ad apprezzare questo genere di racconto, e potremmo discutere per ore ma non caveremmo comunque un ragno dal buco.

       
      • Writer

        Francesca, assumi continuamente cose che non ho detto. Non è un buon metodo per impostare uno scambio di opinioni. L’alternativa non è tra una fiction per ragazzini fatta di draghi arancioni che svolazzano in cielo e homeland o un dibattito sulla guerra in siria. Doctor who ha un registro narrativo fantasioso e leggero capace di muoversi, come il Tardis, tra spazi e tempi diversissimi e il dottore ne costituisce il collante. Gigione, bizzarro, dal (i) grande(i) cuore(i), sembra che strizzi continuamente l’occhio allo spettatore, è capace con una piroetta di cavarsi da situazioni impossibili. Questo è il Dottore (nelle sue varie rigenerazioni). Volerlo trasformare in una specie di Gino Strada (persona nobilissima che apprezzo molto, sia chiaro) che pontifica sulla necessità di un accordo, di una soluzione basata sulla composizione delle differenze tra umani e alieni, con una declamazione infarcita di luoghi comuni, questo sì mi pare fuori registro. Possiamo concordare di non essere d’accordo, però non farmi il torto di pensare che non so riconoscere la differenza tra Dr Who e un dibattito politico sulla crisi in medio oriente…

         
        • Francesca Anelli

          Sto semplicemente spiegando che dal Dottore, o meglio da Doctor Who, non ci si può aspettare un tipo di situazione realistica, ma qualcosa che possa eventualmente RIMANDARE alla realtà e che quindi richiede un registro diverso da una serie che invece si occupa del qui ed ora. Per questo motivo il Dottore può fare discorsi di quel genere, che non sono né retorici né infarciti di luoghi comuni, ma semplicemente più “astratti” se rapportati alla realtà. Ovvero: tutto ciò che dice è, per quanto mi riguarda, verissimo, ma CHIARAMENTE non funzionerebbe MAI, che so, in un eventuale meeting tra Isis e Francia, per il semplice fatto che le meccaniche in gioco sono infinitamente più complesse.
          Per il resto sono del tutto in disaccordo con l’idea secondo cui il Dottore sarebbe solo un “Gigione, bizzarro, dal (i) grande(i) cuore(i), sembra che strizzi continuamente l’occhio allo spettatore, è capace con una piroetta di cavarsi da situazioni impossibili ” o che questo, ammesso che fosse vero, dovrebbe (perché poi?) impedirgli di occuparsi di questioni più serie e problematiche. Non c’è alcun cambio di registro rispetto al passato, anzi, è qualcosa che il Dottore ha SEMPRE fatto. Ricordi l’era Davies? Ti sembra forse meno dark di quella Moffat? Pensi sia la prima volta che il Dottore affronta il problema della pace e della guerra? Non capisco davvero che serie tu abbia guardato. Se poi la cosa non ti sta bene, perché pensi che il Dottore debba essere solo questo, ok, ma è una questione di preferenze che non ha alcuna aderenza alla realtà dei fatti. E mi permetto di dire che secondo me è un modo completamente sbagliato di approcciarsi a Doctor Who, e in generale alle opere di finzione. Si può giocare con i generi e con i temi da affrontare praticamente in qualsiasi serie, l’importante è farlo bene. Tu hai tutto il diritto di pensare che sia stato fatto male, e io posso dirti che per me così non è, ma se ciò che stai cercando di dire è che Doctor Who non dovrebbe proprio occuparsi di certi temi allora per me sbagli di grosso (e probabilmente non hai mai guardato la serie con attenzione).

           
        • Writer

          Fancesca, tu non devi spiegare nulla, non ti trovi in un’aula universitaria a impartire una lezione (nè a riceverla, sia ben chiaro). Diciamo che stai portando argomenti per sostenere la tu posizione. La differenza dovrebbe essere lampante.
          Entriamo nel merito delle tue argomentazioni: Il doctor who presenta situazioni che possono rimandare alla realtà, ma non è realistica, scrivi. Scusa, eh. Ma il rimando (la rappresentazione) alla realtà (qualunque cosa noi intendiamo con il termine) è un architrave di qualunque fiction e, per estensione, di qualunque produzione artistica. Senza questo lavoro di rappresentazione, non esisterebbe il linguaggio, l’universo simbolico, la capacità di astrarre. O forse pensi che una fiction come Homeland non proponga una sua ipotesi di costruzione della realtà, non sia il prodotto di una elaborazione (anche piuttosto complessa)? Chiaramente, i codici e i registri non sono gli stessi, però la distinzione non risiede nel rapporto con la realtà, ma nell’efficacia con cui questi codici e questi registri vengono sviluppati. Secondo tema: il discorso dell dottore non è “astratto”, come tu scrivi, non pecca di mancanza di concretezza. Anzi è forse troppo concreto, rieccheggia la “soluzione politica” proposta da diversi commentatori. Il problema è che si tratta, a mio avviso, di un discorso brutto, retorico, un crescendo di cazzate, un’overdose di banalità riciclate che, tra l’altro, non fa onore al “giorno dei caduti” cui pure dovrebbe ispirarsi.
          “Vuoi impedire al Dottore di occuparsi di questioni più serie e problematiche?”. No, Francesca non voglio impedire nulla, il Dottore fa quello che gli pare. Il Dottore si occupa SEMPRE di questioni “serie e problematiche”. Ha salvato la Terra almeno trenta volte, ha vinto una guerra temporale, la sua missione è fare grandi cose. Solo vorrei che le facesse senza sproloqui e con la leggerezza che abitualmente lo contraddistingue. “Occuparsi di questioni serie problematiche”, inoltre, non è un registro, Francesca. Se studi comunicazione lo dovresti sapere… 🙂
          “Non so che serie hai visto, è un modo completamente sbagliato di approcciarsi al Doctor Who, sbagli di grosso, non hai mai guardato la serie con attenzione”. Qui sei ancora in “spiegazione mode”, ma ti lasci prendere la mano e diventi un po’ supponente (supponi che io sbagli e abbia guardato la serie con un occhio solo) e pedante. Se sei tanto interessata alla conciliazione dei diversi punti di vista tra umani e Zygon, dovresti forse provare a rispettare le mie opinioni anche se non le condividi. Possibilmente senza travisarle, se non è chiedere troppo… 😀

           
        • Francesca Anelli

          Fammi capire: io interpreto le tue parole, e ti dico perché secondo me sbagli (ovvero non ha capito la serie) e dunque sarei supponente? Perdonami, ma non devo alcun rispetto alle tue opinioni, soltanto alla tua persona. Cosa significherebbe poi “rispettare anche se non condividi”? Scriverti qualcosa del tipo “non la penso come te ma va bene lo stesso”? Certo che va bene lo stesso, mica posso importi il mio punto di vista. Se continuo a discutere è perché mi interessa confrontarmi, e come in ogni discussione, l’obiettivo è anche far sì che tu giunga alle mie stesse conclusioni, sebbene ciò non sia un obbligo o un requisito indispensabile per la buona riuscita del confronto. Anzi, spesso, discutendo si cambia idea, semplicemente le tue argomentazioni non mi hanno portato a farlo e contestualmente continuo a portare avanti le mie. Cosa dovrei fare per rispettare le tue opinioni? Dire che sono comunque giuste anche se diverse? Io penso che la tua posizione (non il fatto che non ti piaccia il monologo, il resto delle cose che dici su ciò che dovrebbe essere la serie) sia frutto di un’interpretazione sbagliata, non vedo perché dovrei scrivere che invece non è così solo per evitare di essere supponente o di entrare in “modalità spiegazione”. Scusami, ma tu dal tuo canto stai facendo la stessa identica cosa che sto facendo io, ovvero portare avanti la tua tesi. Non ti piace il termine “spiegare”? Penso che non sia necessario essere dei professori per utilizzarlo, anzi, trovo presuntuoso, questo sì, che tu ti ritenga evidentemente “intoccabile” da questo punto di vista, come se nessuno potesse dirti cosa pensare. Beh, ad ogni modo il mio intento non è quello di indottrinare nessuno, semplicemente di esporre il mio pensiero. Tra l’altro ho usato il termine per rispondere all’accusa di “farti il torto (da notare che ti sei messo senza motivo sulla difensiva, quando il mio tono è più pacifico di quello del Dottore, anche senza bisogno di usare emoticons)di pensare che non sai riconoscere la differenza tra Dr Who e un dibattito politico sulla crisi in medio oriente”.
          Ah, ti faccio notare che ho scritto “se ciò che stai cercando di dire”, proprio perché non posso avere alcuna certezza delle tue intenzioni: io non ho accusato proprio nessuno, ho scritto che se quello era il tuo punto di vista per me ti sbagliavi. Pensare che sbagli è un affronto? E’ prova di supponenza o presunzione? Fammi capire.
          P.s. con “registro” mi riferisco alla questione dei toni dark, non alle tematiche affrontate.
          E aggiungo: dici che quello che vuoi dire è che il Dottore dovrebbe salvare pianeti etc etc senza fare sproloqui, con leggerezza. E io qui ti dico: una cosa è “non fare sproloqui” perché non ti piace QUEL discorso e lo trovi retorico, una cosa è fare l’eroe con leggerezza. Non c’è (sempre o soltanto) leggerezza in Doctor Who, ed è questo che volevo farti capire. Se mi dici che non ti piace questo monologo perché lo trovi retorico, pieno di idiozie, ok, ma non confondiamo I REGISTRI, per l’appunto. Il motivo, seguendo il tuo discorso, per cui questo monologo non funzionerebbe è il fatto che è banale e brutto, non che sia serio, dark, o pesante. Quindi torniamo a ciò che ho detto io: il Dottore può ( e secondo me deve) affrontare tematiche difficili e farlo NON NECESSARIAMENTE con leggerezza, perché lo ha già fatto e perché lo sa fare bene. Quando ti dico “non capisco che serie tu abbia guardato” mi riferisco proprio a questo. Più chiara di così penso che non potrei essere.

          Altro ps: “astratto” è tra virgolette perché non è il termine più calzante, ma cercavo di essere chiara. Quello che volevo dire, vediamo se rispiegando riesco a farmi capire, è che tutto il monologo non è CONCRETAMENTE una proposta di soluzione della crisi del terrorismo islamico, perché se così fosse sarebbe assurda e senza senso, pacifista nel modo più cretino possibile. E’ una proposta che risulta, come dici tu, concreta e “politica” in quel preciso contesto, ma che chiaramente non lo è nel nostro mondo reale. La differenza con Homeland non sta soltanto nei codici, mi spiace, ma anche nella rappresentazione della realtà. E’ ovvio e scontato che ogni opera di finzione non sia la realtà ma una sua rappresentazione, mi sembra pure ridicolo precisarlo, ma ci sono gradi diversi di aderenza la mondo reale che vanno ad influire poi, anche sul linguaggio chiaramente. Ma esistono a prescindere da esso. Cioè: Doctor Who è generalmente più leggero di Homeland come linguaggio ed è anche più “fantasioso” nella rappresentazione della realtà (la gente viaggia nel tempo, ci sono gli alieni, ci sono dei poteri inspiegabili), ma comunque anche una serie più leggera E meno realistica può assumere toni dark. Anzi, se vogliamo dirla tutta, Doctor Who non è davvero una serie leggera, allo stesso modo in cui non lo è You’re The Worst (che è una comedy), per esempio. Si può affrontare con leggerezza il tema più complesso e drammatico del mondo (tipo come ha fatto The Big C con il cancro) e si può, all’interno di una serie generalmente comica, parlare con grande serietà e drammaticità di un tema quale la depressione che spesso è sminuito e ridicolizzato in altri prodotti (come in You’re the Worst, per l’appunto). Doctor Who è una serie molto sui generis, proprio perché il suo linguaggio è unico, fatto di un misto di leggerezza e drammaticità che probabilmente lo caratterizza più come un dramedy che un drama puro, o uno sceneggiato per ragazzini.

          Meglio adesso?

           
        • Writer

          ” Non devo alcun rispetto alle tue opinioni, soltanto alla tua persona”.
          Qui devo confessare che mi sono messo a ridere, pensavo avessi fatto una battuta divertente. Poi, leggendo mi sono reso conto che eri seria. Come pensi di rispettare la mia persona, che non conosci, se non attraverso le mie opinioni? Siamo su Internet, in un forum, ciò che siamo SONO le nostre parole.
          “Cosa dovrei fare per rispettare le tue opinioni?”. Intanto, non travisarle. Nella nostra discussione, tu hai, in sintesi, affermato, a proposito delle mie tesi:
          1. Non mi è piaciuto il monologo del dottore perché avrebbe tentato di sminuire la “rivoluzione” di Zygella (mai pensato questo neanche per un attimo).
          2. Non mi è chiaro il registro della serie perchè il Doctor Who non è una serie realistica, nè una “stronzata per ragazzini” (che mi pare un menù di opzioni un po’ limitato)
          3. Il fatto che io consideri il Dottore un personaggio capace di cavarsi da situazioni impossibili con una piroetta non significa che non si possa occupare di cose serie e importanti, della pace e della guerra. (come se avessi sostenuto che è un figlio dei fiori in grado solo di ammiccare e fare il clown).
          4. Il registro del Doctor Who ha da sempre contemplato ANCHE toni dark, cupi e non solo leggeri.
          Alle prime tre obiezioni penso di aver risposto esaurientemente. ritengo che nascano da un fraintendimento di quello che ho scritto e ho cercato di chiarire il perché. Sei andata a braccio, infilando risposte abbastanza superficiali e poco calzanti.
          Ma veniamo alla quarta, che è anche la più fondata e interessante.
          Certo, il Doctor who alterna una magggioranza di episodi con un registro leggero, con altri più cupi. A mio giudizio, la “darkness” è aumentata con la gestione Moffat e con il tentativo di innovare e, a volte, terremotare la mitologia del Dottore. Personalmente a me questa accentuazione non piace, ritengo che la fiction dia il meglio di sè quando rimane nel suo registro autoironico e fantasioso, ma il punto è che la narrazione “dark” si accompagna a una cupezza dei toni, dell’iconografia, dei simboli (ho scritto qualcosa in proposito nelle mia seconda risposta ad Attilio) che trovo difficilmente assimilabile e che diminuiscono il mio piacere della fruizione. il Dottore diviene solenne, pesante, tormentato, perde quella brillantezza che lo caratterizza. Il discorso della 9X08 non è brutto perché adeguato al contesto, al contrario. E’ un discorso concreto e politico , ma fuori contesto. Come se Di Battista cercasse di comporre differenze tra umani e alieni … 🙂 (qui l’emoticon mi pare necessario).

          “Come se nessuno potesse dirti cosa pensare”.
          Togli pure il come. Nessuno può dire a un altro cosa pensare. Anche se sono in molti a provare a farlo. Ma se la libertà è un elemento reale e non solo uno slogan, chi prova a farlo si becca generalmente una rispostaccia…

           
        • Francesca Anelli

          E vabbè Writer, mi sembra del tutto inutile continuare. Preciso giusto il discorso sulle opinioni: quando dico che non sono loro che devo rispettare, ma la tua persona, intendo dire semplicemente che le opinioni in quanto tali non meritano alcun tipo di deferenza, perché possono essere sbagliate, infondate, irrazionali, razziste, stupide. Le opinioni, insomma, si condividono, si confutano o si ignorano, non si “rispettano” come si fa con le persone, le quali a differenze delle idee, hanno tutte pari dignità. Attenzione, questo non significa che tu (o io, o chiunque altro) non abbia il diritto di esprimere o anche solo avere un’opinione razzista, stupida, retrograda, o via dicendo, significa soltanto che se ce l’hai io ho dal canto mio tutto il diritto di pensare che sia sbagliata e di fartelo notare, ma MAI di trattarti come se fossi una merda umana, sminuirti come persona, usare violenza (anche verbale) nei tuoi confronti solo perché è così che la pensi, anche se non ti conosco personalmente. Tutto qui.
          Quando si discute capita che l’altro travisi le tue parole, può succedere, ma è diverso da usarle intenzionalmente in maniera strumentale ed errata. A me sembra di aver risposto nel merito, di non aver commesso fallacie logiche, e di aver argomentato abbondantemente. Non ho mai detto che sei stato superficiale nel rispondere, o che hai deliberatamente usato le mie parole per mettermi in bocca cose che non pensavo, sei stato tu a fare accuse personali di questo genere, dicendo che ho risposto in maniera poco calzante e che sono stata supponente. Io mi sono soltanto limitata a criticare il tuo pensiero, per altro in maniera educata e non aggressiva.
          Chiudo con una piccola considerazione: tutti possiamo dire agli altri cosa pensare, è l’essenza dello scambio di opinioni. Se io non posso mettere bocca su ciò che pensi, magari perché credo in un fantomatico rispetto delle idee altrui che le renderebbe in qualche modo sacre, intoccabili, da accettare perché così è e basta, allora non c’è crescita, non c’è confronto, non c’è dialogo. A me non dispiace se qualcuno mi dice “sai, secondo me dovresti pensarla così”. Sono pronta a spiegare perché non sono d’accordo, oppure a ripensare all’argomento in questione – che è “just a fancy word for changing your mind” – se lo ritengo sensato.
          Non risponderò più, perché penso che davvero non ci sia più nulla da dire.
          Buona serata.

           
        • Writer

          Due rapide note, in conclusione di questa nostra discussione. Tralasciando le opinioni razziste, sessiste, belliciste che vanno combattute, Il rispetto delle opinioni altrui non significa “deferenza”, significa considerarle per quello che sono: espressioni di un pensiero che può essere condiviso o confutato, ma che va innanzi tutto ascoltato e compreso. Su Internet, noi SIAMO le nostre opinioni, lo ribadisco, il nostro modo di manifestarci in rete. Seriangolo, oltretutto, è un sito dove si condividono opinioni sulle fiction. E credo che l’attenzione alle opinioni di tutti sia una delle caratteristiche che mi hanno indotto a frequentare questo luogo virtuale. Poi, se hai trovato impropri alcuni miei riferimenti a te, non ho alcun imbarazzo nello scusarmi.
          In merito al dire agli altri cosa pensare, credo che possiamo dire agli altri cosa pensiamo noi, quali sono le ragioni, i valori, gli argomenti che ci ispirano. Se gli altri li troveranno convincenti, potranno eventualmente aderire, ma nessuno di noi ha la verità in tasca e l’obiettivo di un confronto non è quello di attirare l’altro sulle proprie posizioni (già ci pensa la famiglia, la scuola, il lavoro a dirci come dovremmo essere, cosa dovremmo pensare), ma quello di creare una sorta di “musica”, un contesto che arricchisce chi vi partecipa.

          Buona serata a te, Francesca.