Jessica Jones – 1×10/11 AKA 1,000 Cuts & AKA I’ve Got the Blues


Jessica Jones - 1x10/11 AKA 1,000 Cuts & AKA I've Got the BluesArrivati ormai a un passo dal finale di stagione, la seconda serie uscita dall’accordo Marvel-Netflix sembra procedere molto meglio rispetto all’inizio, sfruttando quelle potenzialità che nella prima metà di quest’annata sono apparse troppo spesso sacrificate in virtù di altre esigenze.

Jessica Jones è una serie strana, sicuramente un prodotto di grande rilevanza sulla scena internazionale e che sta avendo un importante successo di pubblico, anche a seguito di un’ottima campagna promozionale. Tuttavia, si tratta anche di uno show accompagnato da enormi aspettative, specie per l’altezza a cui Daredevil ha piazzato l’asticella qualche mese fa. Si può dire che le aspettative siano state in gran parte deluse: i registi che si sono avvicendati alla direzione degli episodi sono senza dubbio meno prestigiosi di quelli della serie precedente e il lavoro sulla messa in scena ne risente parecchio; allo stesso modo la scrittura non è all’alto livello che ci si aspettava, specie per quanto riguarda i personaggi di contorno – tutti un po’ troppo bidimensionali – ma anche la stessa protagonista, a volte imprigionata in cliché di cui avremmo preferito fare a meno. Il filo rosso in chiave positiva si chiama David Tennant: non c’è dubbio che con lui in scena, infatti, la qualità salga vertiginosamente.

1×10 – AKA 1,000 Cuts

Jessica Jones - 1x10/11 AKA 1,000 Cuts & AKA I've Got the BluesDopo il finale adrenalinico della scorsa puntata, il decimo episodio parte senza alcun indugio, con un esordio in medias res che velocizza notevolmente la narrazione. La fuga di Kilgrave vede entrare di prepotenza nelle maglie narrative principali il personaggio di Jeryn, fin da subito tra i più importanti regular, ma da quest’episodio elemento scatenante del racconto. Lei e la sua (quasi) ex moglie servono anche a caratterizzare ulteriormente il personaggio di Kilgrave: la pioggia di sangue che questi scatena mettendo il medico contro l’avvocato all’insegna di una giustizia romantica dà perfettamente l’idea del rapporto viscerale di quest’uomo con le sue passioni. Guardato dall’esterno il villain stagionale rappresenta anche una grande metafora della droga e della dipendenza della stessa. La tentazione da cui liberarsi, il piacere di abbandonarsi al controllo altrui, la difficoltà a non esserne più schiavo fanno del rapporto tra Kilgrave e il mondo – e prima di tutto quello con la protagonista – una riformulazione della lotta contro le dipendenze, e non è un caso che proprio il personaggio di un ex-tossico (nonché unica ragione di soddisfazione di Jessica Jones come eroina) stia acquisendo un ruolo sempre più attivo nella stagione.

Jessica Jones - 1x10/11 AKA 1,000 Cuts & AKA I've Got the BluesNonostante una serie abbastanza lunga di sequenze prevedibili, svolte narrative telefonate e spesso poco riuscite (pensiamo al percorso di Simpson, ad esempio), l’episodio si chiude con un grandissimo finale, dove anche la messa in scena fa un deciso salto di qualità (l’immagine della fila di persone col cappio al collo è molto potente), grazie anche alla presenza e al carisma di Tennant che guida le danze come meglio non si potrebbe. Il rapporto tra Jessica e Kilgrave è sicuramente la cosa più interessante della stagione, tanto da mettere (troppo) in secondo piano il resto, dimenticando personaggi che sarebbero potuti essere sfruttati molto meglio, come Luke Cage (avrà una serie dedicata, è vero, però raccontato così a volte rischia di sembrare un po’ una macchietta). A pensarci bene la storia dei due protagonisti è una rilettura abbastanza fedele di Kill Bill, con il doppio movimento che vede prima la classica donna di grande talento che viene sedotta e dominata da un uomo dall’enorme carisma che arriva a prevaricarla in tutto fino a renderla sua schiava; poi la stessa donna, emancipata, accecata dalla rabbia, forte delle sue ferite, che cerca vendetta verso quell’uomo che più o meno consciamente ha amato. Benché non si possa negare la bellezza di questo tipo di storia, dobbiamo riconoscere anche la poca originalità di un racconto del genere, dal quale probabilmente ci aspettavamo personaggi capaci di raccontare qualcosa di diverso.

Voto: 7

1×11 AKA I’ve Got the Blues

Jessica Jones - 1x10/11 AKA 1,000 Cuts & AKA I've Got the BluesSe c’è una cosa su cui gli autori dei Jessica Jones hanno lavorato davvero bene, senza sbavature e con una progressione della riflessione episodio dopo episodio, è sicuramente la questione del rapporto tra giustizia ed etica. Cosa bisogna accettare per raggiungere i propri obiettivi? Qual è il massimo danno collaterale sostenibile? Fino a cosa ci si può spingere dal punto di vista morale? E la tortura? Se questa dovesse davvero rivelarsi efficace, come bisognerebbe porsi nei suoi confronti? Se “AKA 1,000 Cuts” si era chiuso con la promessa alla morente Hope di garantirle vendetta e non rendere vano il suo sacrificio, l’inizio di questo mette di nuovo le cose in discussione, portando ad occultare l’obiettivo finale (uccidere Kilgrave) per via di un compromesso davvero troppo pesante: Jessica e tutti i testimoni di quanto successo sono costretti a mentire, a inventarsi una storia fasulla, che tra l’altro comporta, oltre al già dato sacrificio di Hope, anche quello della sua memoria, infangandone il ricordo per sempre. Questa e tante altre sono le sconfitte di Jessica, che è tutto tranne che un’eroina vincente, bensì un personaggio a cui le cose vanno sempre addirittura peggio di come se le aspetta e che spesso è mostrata in situazioni di enorme difficoltà, risultando in questo molto simile a Daredevil.

Jessica Jones - 1x10/11 AKA 1,000 Cuts & AKA I've Got the Blues“I’ve Got the Blues” (tradotto in italiano con l’orrendo “Pillole blu”, che elimina la citazione della canzone dei Rolling Stones) concentra gran parte del suo minutaggio sul rapporto tra Trish e Jessica, giocando con le temporalità per presentare frammenti di backstory delle due donne. Se da una parte gli autori sono stati molto bravi a lasciare il dubbio sulla relazione tra le due, fin dall’inizio molto più che amiche e spesso evidentemente l’una innamorata dell’altra, d’altro canto però sembra sempre che a un certo punto manchi il coraggio per fare l’ultimo passo e andare fino in fondo. Prendiamo la scena della medicazione: in quel caso la tensione erotica tra le due donne è molto forte e il gioco di sguardi non lascia adito a dubbi. Il problema è che questa strada è sempre solo abbozzata, ma mai affrontata coraggiosamente, preferendo più volte muoversi in territori sicuri ma lastricati di stereotipi (Jessica è una donna forte, che beve, combatte, ha carattere, ma al contempo è anche un po’ depressa e – indovina? – non riesce mai a essere davvero felice), che tra l’altro cozzano non poco con la quantità di volte in cui il corpo della protagonista – per accarezzare il pubblico sia maschile che femminile – viene mostrato in un modo ben preciso, non lesinando inquadrature sul fondoschiena e cogliendo ogni attimo di nudità possibile, specie se di sfuggita. La storia tra Jessica e Trish ha anche la colpa di ridurre a personaggio-funzione Simpson, che forse avrebbe potuto dare qualcosa di più a questa serie se non fosse stato oggetto di scelte narrative tutt’altro che condivisibili.

Voto: 7

A due episodi dalla fine Jessica Jones, pur segnalando un miglioramento rispetto alla prima parte della stagione (complice anche la maggiore presenza di David Tennant), conferma la sua natura: non si tratta certamente di un capolavoro, né di un ottima serie, ma comunque un prodotto di innegabile interesse, soprattutto se pensato all’interno del filone supereroistico.

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Informazioni su Attilio Palmieri

Di nascita (e fede) partenopea, si diploma nel 2007 con una tesina su Ecce Bombo e l'incomunicabilità, senza però alcun riferimento ad Alvaro Rissa. Alla fine dello stesso anno, sull'onda di una fervida passione per il cinema e una cronica cinefilia, si trasferisce a Torino per studiare al DAMS. La New Hollywood prima e la serialità americana poi caratterizzano la laurea triennale e magistrale. Attualmente dottorando all'Università di Bologna, cerca di far diventare un lavoro la sua dipendenza incurabile dalle serie televisive, soprattutto americane e britanniche. Pensa che, oggetti mediali a parte, il tè, il whisky e il Napoli siano le "cose per cui vale la pena vivere".

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