Making a Murderer – Tra cronaca e intrattenimento 2


Making a Murderer - Tra cronaca e intrattenimentoSull’onda del successo di The Jinx, anche Netflix ci propone una serie documentario a sfondo crime, che a solo un mese dal rilascio sulla piattaforma digitale è riuscita a riscuotere un enorme successo, tanto da avviare un vivace dibattito sul sistema giudiziario statunitense che sta influendo direttamente sulle vicende del suo protagonista.

AVVERTENZA!

La natura di questo prodotto, strettamente legato alla realtà al punto da influenzarla, rende difficile trascurare alcuni dettagli fondamentali a comprenderne il senso. Per questo motivo, la recensione non sarà interamente spoiler-free e saranno raccontati alcuni fatti impossibili da omettere, come le conseguenze che la serie ha avuto nella realtà.

What is going on in the Wisconsin Department of Justice?

Il documentario, suddiviso in dieci capitoli da circa un’ora, narra in maniera estremamente dettagliata le vicissitudini giudiziarie di Steven Avery, un cittadino di Manitowac (Wisconsin), il quale, dopo aver trascorso diciotto anni in carcere con l’accusa di stupro per poi essere scagionato grazie a un esame del DNA, si ritrova accusato dell’omicidio della fotografa ventitreenne Teresa Halbach, a soli due anni dal rilascio e proprio mentre aveva avviato una causa civile da 36 milioni di dollari contro la contea per ingiusta incarcerazione.

Making a Murderer - Tra cronaca e intrattenimentoA rendere il prodotto Netflix particolarmente interessante sono innanzitutto le sue vicende produttive: le due creatrici Moira Demos e Laura Ricciardi hanno infatti avviato il progetto alla fine del 2005, poco dopo lo scoppio del caso Halbach, decidendo di trasferirsi a Manitowac per seguire da vicino tutte le fasi delle indagini e del processo, che costituisce il cuore del documentario.

Ciò ha permesso loro non solo di riprendere direttamente ciò che avvenne in tribunale, ma anche di entrare in contatto con la famiglia Avery, generalmente avversa a parlare con la stampa, assicurandosi così un accesso privilegiato alla tenuta – presunto luogo dell’omicidio – e al punto di vista di chi, insieme a Steven, ha patito di più le conseguenze del nuovo arresto. Se The Jinx lavora sul tema del fascino morboso che una figura unica come quella di Durst può esercitare sul pubblico, Making a Murderer al contrario ci mostra lo spaccato di un’America lontana anni luce dall’élite immobiliare di Manhattan ma altrettanto inquietante, in cui a farla da padroni sono la corruzione, l’ignoranza e il pregiudizio.

Making a Murderer - Tra cronaca e intrattenimentoNonostante la docuseries in certi momenti sembri trarre la sua forza di attrazione dalla messa in scena di alcune dinamiche tipiche del racconto crime e legal, con tanto di plot-twist così azzeccati da non sembrar veri, chi cerca il whoddunit resterà certamente deluso dal suo epilogo: a costituire uno dei cardini fondamentali del prodotto è difatti proprio l’inquietante contrasto che si viene a creare tra la perentorietà della sentenza e la mancanza assoluta di certezze circa l’accaduto. Un elemento, questo, che andrà inevitabilmente a frustrare le aspettative del pubblico alla ricerca del colpevole “al di là di ogni ragionevole dubbio”.

Ed è esattamente qui che si concentra tutto il senso dell’operazione di Demos e Ricciardi, in cui il caso Avery è, in fin dei conti, un eclatante espediente per riflettere sulle ingiustizie e sulle falle del sistema giudiziario statunitense. Quello che si delinea è pertanto un prodotto di denuncia, deciso a mettere in scena e ad affrontare tematiche come la parzialità delle forze dell’ordine e delle istituzioni giudiziarie; di conseguenza, la serie si presta implicitamente anche a una riflessione sul tanto dibattuto concetto di oggettività del documentario e più in generale sul rapporto tra media e informazione.

Making a Murderer - Tra cronaca e intrattenimentoÈ infatti chiaro come, malgrado gli sforzi di Demos e Ricciardi di mostrare i fatti nel modo più obiettivo possibile lasciando lo spettatore libero di trarre le sue conclusioni, il punto di vista privilegiato sia quello degli Avery, le cui interviste costellano tutto il documentario, favorendo l’instaurarsi di un rapporto di empatia che inevitabilmente va a influire sull’interpretazione di quello che ci viene mostrato. A ciò vanno poi ad aggiungersi le recenti accuse rivolte alle due autrici di aver tralasciato alcuni elementi che avrebbero fatto apparire Avery in una luce diversa; questi fatti omessi, a prescindere dalla loro effettiva rilevanza, vanno comunque a smentire definitivamente l’assenza di una selezione arbitraria delle informazioni, nonostante durante la visione si abbia la sensazione di assistere a tutte le tappe salienti del processo.

Making a Murderer - Tra cronaca e intrattenimentoAl di là di queste problematiche, anzi forse anche grazie a queste, Making a Murderer non può che dirsi un prodotto estremamente riuscito. Il vero punto di forza della docuseries sta infatti nel modo in cui è riuscita a scatenare un dibattito che, nel bene o nel male, ha riportato l’attenzione sul caso Avery (il cui processo si è chiuso nel 2007). In questo modo è giunta ad avere, tramite l’attiva partecipazione dei suoi spettatori, un consistente impatto sulle vicende giudiziarie di Steven: dall’emergere di nuovi indizi e teorie alle due petizioni inviate alla Casa Bianca, fino alla richiesta di un nuovo appello con l’appoggio del Midwest Innocence Project.

Ecco quindi che, come The Jinx, la serie documentario di Netflix va ad occupare un posto di rilievo ma al tempo stesso molto difficile da definire all’interno del panorama televisivo, non solo per il modo in cui mischia cronaca e intrattenimento seriale, ma soprattutto per come è riuscita ad agire attivamente sulle vicende che ritrae, dando vita a un cortocircuito tra la realtà e la sua spettacolarizzazione, i cui confini sono ormai del tutto indistinguibili.

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2 commenti su “Making a Murderer – Tra cronaca e intrattenimento

  • SerialFiller

    Questa docuserie è un qualcosa di sconvolgente ma sopratutto struggente. Guai a credere di conoscere la verità ma la cosa evidente è che Stephen Avery non è stato colpevole per il primo delitto e non esistono prove della sua colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio sul delitto Halbach. Vedere un uomo privato della propria libertà nonostante non avesse commesso il fatto è qualcosa che ti fa crollare la terra sotto i piedi (se ci fossi stato io al posto di Avery?) ma vedere l’accanimento successivo durante il secondo processo da parte di opinione pubblica, corpo di polizia, famiglia della defunta Teresa ecc mi è davvero sembrata una cosa di una violenza psicologica e disumanità pazzesca. Seriona, ennesima seriona di Netflix che porta alla luce un qualcosa di più di una semplice serie tv

     
  • Genio in bottiglia

    Sono cresciuto pensando che sia meglio avere un colpevole fuori che un innocente dentro. Ma in realtà esiste questo grande equivoco: se davvero si dovessero condannare solo i colpevoli oltre ogni dubbio, le condanne sarebbero la metà della metà. Nel caso di Steven Avery, al di là di quanto omesso dalla docuserie, più sulla sua personalità che sul caso, la certezza non c’era, e c’erano qui 36 milioni di buoni motivi per incastrarlo. Lo hanno fatto una volta e alla fine sono stati beccati; lo hanno fatto una seconda volta, gli stessi, che si erano autoproclamati in conflitto di interessi. Leggere il dolore negli occhi dei genitori è una roba straziante. Bellissima serie, che ti tiene col fiato sospeso per tutto il tempo. Grazie di averne parlato ))