The Americans – 4×07 Travel Agents 7


The Americans - 4x07 Travel AgentsÈ un The Americans denso e coraggioso quello del giro di boa di quest’anno; e così la stagione forse più incerta della serie imbocca definitivamente la strada giusta, preparando una seconda parte che si preannuncia ricca di sorprese.

“Travel Agents” è uno di quegli episodi che meglio racchiudono l’anima della serie: da una parte c’è l’introspezione, la riflessione, la cura delle relazioni tra i personaggi; dall’altra, invece, una costruzione della tensione che si realizza in 40 minuti ricchi di potenza narrativa, che ricordano quasi, nella loro composizione, quell’”Open House” davvero difficile da dimenticare.

Talk? You’ll just tell me some version of the truth that’s not very true.

The Americans - 4x07 Travel AgentsLa situazione con Martha è solo una delle tante ad aver raggiunto il punto di rottura in questa stagione, ma è di sicuro quella che ha provocato gli effetti più devastanti per tutti i personaggi coinvolti. Martha stessa, in primis, è il centro assoluto di questo episodio, divisa tra il terrore verso un mondo che non conosce e che l’ha sempre sfruttata e la paura della solitudine, con la consapevolezza che l’unica alternativa possibile allo schierarsi col KGB è la morte. La movimentata regia di Dan Attias e la straordinaria interpretazione di Alison Wright hanno la difficile (ma riuscita) funzione di mostrare uno stato emotivo quanto mai alla deriva, incapace di decidere da sé per via, appunto, della personalità stessa di Martha, da sempre bloccata in un limbo schiacciante eppure impossibile da evitare. Infatti, la conclusione della vicenda non può che avvenire per mano di altri: prima di Elizabeth che riesce a riportarla a casa, poi del KGB e di Philip, che la convincono ad abbandonarsi ad una vita solitaria ed isolata in Russia. Che quest’ultima possibilità si realizzi davvero è ancora da vedere, ma è certo che la vita di Martha sia ormai giunta ad un vicolo cieco.

The Americans - 4x07 Travel AgentsSi diceva, comunque, che l’effetto della crisi di Martha non riguarda solo l’evoluzione del singolo personaggio: il grande pregio di “Travel Agents” consiste nel riunire tutte le storyline presenti nella serie sotto un unico comune denominatore, catalizzando l’attenzione dello spettatore verso un evento fondamentale per tutte le pedine del gioco – compresi Paige, Henry e il figlio di Stan, indirettamente coinvolti perché abbandonati da genitori troppo impegnati per sorvegliarli.
Fra questi, si può dire che uno degli individui toccati maggiormente sia l’agente Gaad, questa volta definitivamente sconfitto perché colpito in uno dei punti più sensibili: come dice lui stesso, dopotutto, Martha non era solo la sua segretaria, ma lo era da un numero elevatissimo di anni. Il fatto che anche la fiducia verso le persone più ovvie sia messa in discussione instaura una crisi personale fortissima, e il passo verso la paranoia è più breve di quanto si possa pensare.

Would you go with her?

The Americans - 4x07 Travel AgentsQuella che però potrebbe essere la conseguenza più devastante della crisi di Martha riguarda il cuore assoluto dello show, le sue fondamenta; la relazione tra i coniugi Jennings si è sempre mossa nell’incertezza e nella paura, certo, ma a partire dalla seconda annata era difficile dubitare della potenza del legame tra i due.  Ora, invece, la situazione ha già cominciato a scricchiolare: l’ultima sequenza di “Clark’s Place” e la rivelazione di “The Rat” hanno messo in moto il tutto, ma è proprio questa puntata a costruire la crisi, a proseguire su un cammino che si fa sempre più pericoloso per la stabilità dei Jennings.
Tutto parte, chiaramente, dalla perdita dell’intimità, qualcosa che, nonostante le relazioni sessuali e le azioni necessarie per compiere il loro lavoro, Philip ed Elizabeth erano sempre riusciti a conservare. Martha si è posta nel mezzo catalizzando l’attenzione di Philip, fornendo un’alternativa (la fuga è sempre stata un suo sogno) sicura e confortante alla vita turbolenta e movimentata che conduce ora; si è sempre trattato, con tutta probabilità, di un desiderio irrealizzabile, come l’uomo conferma quando gli viene posta la fatidica domanda da Elizabeth, ma il danno ormai è fatto. La rivelazione del vero io di Philip ad un altro essere umano costituisce il tradimento più grande che può essere compiuto in una situazione del genere, e, nonostante l’intenzione di porvi rimedio, tornare indietro sarà praticamente impossibile.

The Americans - 4x07 Travel AgentsLo conferma il montaggio finale dell’episodio, in cui ogni personaggio viene mostrato da solo, separato dagli altri, come a raccontare la disgregazione sempre più definitiva dei rapporti creati nella serie. Non a caso, infatti, la costante della puntata è che gran parte delle comunicazioni avvengono tramite un telefono – sotto il punto di vista dell’immagine uno dei simboli più eclatanti del distacco tra due individui; ed ecco che forse il gioco si ribalta, e la minaccia verso la famiglia Jennings non arriva più solo dalla possibile scoperta dell’FBI, ma anche dall’interno, che si tratti della situazione con Paige, della crisi tra Philip ed Elizabeth o (più probabilmente) di un intrecciarsi delle due cose. Ci si trova, quindi, davanti ad un percorso quanto mai scuro, minacciato da armi batteriologiche che simboleggiano il diffondersi di una malattia interiore che non risparmia nessuno; impossibile stabilire il come, ma il futuro della serie è tutt’altro che roseo, e la portata degli eventi finora mostrati (la morte di Nina, l’esilio di Martha) lascia davvero pochi dubbi a riguardo.

“Travel Agents” è forse l’episodio più compatto di questa quarta annata di The Americans: tra pochissime sbavature ed una costruzione della tensione sempre eccellente, la serie coinvolge tutto e tutti, rilanciando la storia verso una seconda parte di stagione ricchissima di spunti. Certo è che la situazione non è mai stata così opprimente e priva di speranze, ed è difficile non vedere questa fase della serie come un fondamentale punto di non ritorno.

Voto: 8½

Nota:

Non ci sono ancora conferme ufficiali per la quinta stagione, ma dopo questo tweet di Joel Fields possiamo stare piuttosto tranquilli.

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7 commenti su “The Americans – 4×07 Travel Agents

  • Gaia

    Prima di tutto, complimenti per la recensione!
    Ho amato moltissimo questo episodio (anche se mai effettivamente raggiunge il citato “Open House”), fino ad ora il migliore della stagione.
    La tensione costante in tutto l’episodio, una sorta di stillicidio continuo ed inesorabile, va di pari passo ad un disegno dei vari personaggi che diventa sempre più particolareggiato e pieno di sfumature.
    Davvero complimenti, perché con le vostre parole riuscite sempre a delineare la grandezza di questa serie, per me ingiustamente sottovalutata.

     
  • Iaia

    Personalemente, una delle cose che mi è piaciuta di più degli ultimi episodi è stata che l’affetto e il bisogno di sincerità di Philp nei confronti di Martha ha costretto anche la durissima Elizabeth a fare i conti con le sue emozioni e soprattutto provare a rivelarle anche parlandone e non solo “violentando” Philip.
    Quanta strada ha fatto anche lei dalla prima stagione, dove sembrava solo un’implacabile spia senza sentimenti!

     
  • Birne

    Ehi, che fine hanno fatto Caia, Maia e Zaia (nel senso del governatore del Veneto)? Non sono nel numero degli ammiratori di The Americans? Ciao Iaia e Gaia, scusate la celia, mi vengono così … Chiusa parentesi.
    Forse io sto guardando qualche cosa di diverso, ma sul serio mi sembra che questa serie che come ho già detto, e pertanto non ripeto, non mi convince nei suoi aspetti fondativi, ultimamente stia battendo la fiacca di brutto e perdendo il suo pregio migliore, cioè l’essere comunque avvincente. Forse perché ho maturato una seria disaffezione, non ho trovato per niente buono questo ultimo episodio: monocorde e lento, con qualche “tirata a campare” (vedi il ponte di mamma e papà) e sciatteria, vedi Keri Russel inquadrata tranquillamente nel suo essere vistosamente incinta e via così.
    Bravissima l’attrice che fa Martha, questo sì. Ma, a proposito del personaggio di Martha, perché – chiedo – l’alternativa alla scelta di consegnarsi ai sovietici (mettiamo che avesse scelto di telefonare all’FBI e di costituirsi nel giro di pochi minuti) sarebbe stata la morte, come si afferma nella recensione? Siamo negli anni ottanta, se non sbaglio, mica nei paranoici anni cinquanta della caccia alle streghe, quando furono giustiziati i conugi Rosemberg (anche questo s’è detto) a tutt’ora unici due civili mandati a morte per spionaggio in tutta la storia degli Stati Uniti dalla fine della guerra civile. Si sarebbe fatta trent’anni di galera, certo, perché negli States non scherzano, ma anche la scelta di andarsene a vivere nell’Unione Sovietica sola e senza radici come su un pianeta sconosciuto – e con quali garanzie, poi… – anche questo non è uno scherzo.
    E voglio anche dire che mi sembra tirata per i capelli, se non campata in aria, l’interpretazione che ho un po’ sempre letto nelle varie recensioni e commenti a The Americans secondo la quale il contenuto prevalente sarebbe la riflessione sulla famiglia, sui rapporti sentimentali e familiari sul loro crescere e complicarsi. Ora io penso che se un autore ha questo in testa può far ricorso a centinaia di spunti narrativi alternativi, molto più interessanti e pertinenti a questo scopo che non la storia di due-giovani-russi-trapiantati-in-America-dove-si-da-luogo-ad-una-famigliola-che-vive-nei-quartieri-residenziali-di-Washington, ecc. ecc. Ma dai! Il plot di questa storia è la spy-story ed è quello che secondo me – che sicuramente sbaglio – non funziona proprio.
    E sotto questo profilo e a maggior ragione ribadisco quanto ho in precedenza osservato a proposito della linea narrativa a dir poco esplosiva che riguarda il pastore Tim. Che sta facendo questo bravo cittadino americano, ancorché religioso di professione, che è venuto a conoscenza di una storia inaudita? Sta sfogliando la margherita? “Lo dico/non lo dico, lo dico/non lo dico, …”.

     
    • Pietro Franchi L'autore dell'articolo

      Ciao Birne!
      Nel risponderti partirei da una delle ultime cose che hai detto: “E voglio anche dire che mi sembra tirata per i capelli, se non campata in aria, l’interpretazione che ho un po’ sempre letto nelle varie recensioni e commenti a The Americans secondo la quale il contenuto prevalente sarebbe la riflessione sulla famiglia, sui rapporti sentimentali e familiari sul loro crescere e complicarsi. ”
      Qui secondo me sta tutto l’errore nella tua interpretazione di The Americans. Quelli che parlano della famiglia e dei rapporti interpersonali come temi fondamentali non operano alcun tipo di invenzione; The Americans parla effettivamente di queste cose, e sono gli stessi creatori a confermarlo tutte le volte che vengono intervistati. Non c’è spazio per le interpretazioni, è un fatto; che poi tale scelta piaccia o non piaccia è un altro discorso, ci mancherebbe, ma secondo me è proprio il tuo assunto di partenza che non funziona.
      Per quanto riguarda il resto, sono in disaccordo proprio per gli stessi motivi; nella recensione affermo che l’unica alternativa al consegnarsi al KGB è la morte non perché lo è in assoluto, ma perché nel percorso di evoluzione di Martha non esiste il ritorno a quella vita che conduceva prima di aver conosciuto Philip, né tanto meno esiste la prospettiva di consegnarsi all’FBI per vivere in carcere per molti anni della sua vita. La Russia è una speranza perché è convinta di poterci vivere con Philip; e infatti, quando sul finale scopre che non sarà così, la condanna è molto, molto chiara. In ogni caso, quando intendo “la morte” parlo del suicidio, suggerito appunto quando Martha si affaccia sul ponte; la minaccia di essere uccisa, semmai, arriva da parte del KGB, non dell’FBI.
      Quello che sto cercando di dire, insomma, è che secondo me cerchi di leggere la serie in una chiave che non le si addice; cerchi la spy-story pura, quando parliamo di un complesso dramma familiare che si basa quasi esclusivamente sulle piccole evoluzioni dei personaggi. E’ per questo che non ti torna il comportamento di Martha: tu cerchi la credibilità al 100% dal punto di vista narrativo, la serie invece cerca di darla dal punto di vista della psicologia del personaggio. Sono proprio due mondi completamente diversi.
      Per quanto riguarda il lato qualitativo, mi trovo in disaccordo, ma in questo caso c’è poco da dire; qui entra in gioco almeno in parte il gusto personale. Chiudo semplicemente consigliandoti di cambiare serie, se tutte le volte trovi che questa non ti soddisfi; ho sperimentato anch’io l'”obbligo” morale di seguire qualcosa che non mi piacesse solo per poterne parlare, non è una cosa piacevole e si finisce per rovinarsi la visione. Tutto qui! A presto 🙂

       
      • Birne

        Grazie di aver risposto, Seriangolo è uno spazio in cui si scambiano opinioni e io, quando ce l’ho, ho anche piacere di condividerla e dibattere. I punti di vista della Redazione sono sempre di grande qualità, anche quelli i cui giudizi non condivido e mi rendo conto che non si possa dire la stessa cosa dei miei commenti, anche se faccio sempre uno sforzo per offrire argomenti di supporto.
        Non mi sembra giusto, però, che si possa dire “ti consiglio di cambiare serie”. Che vuole dire? Io guardo un po’ quello che mi pare, e mi pare di guardare un sacco di roba e molte cose mi piacciono molto, altre così così, altre no, qualche cosa l’abbandono tout court, altri prodotti – e fra questi c’è sicuramente The Americans – ambiziosi e di un certo rango li seguo molto volentieri e quindi, se si può, dico la mia. Neanche troppo spesso, direi, visto che è la seconda volta che mi capita di postare un commento su questa serie che è alla sua quarta stagione (ne ho parlato soltanto in occasione del precedente episodio con recensione di Diego Scerrati).
        Ciò detto, sul merito si potrebbe parlare ancora a lungo (non mi hai convinta e io non spero ne’ voglio convincere nessuno) ma preferisco lasciar perdere e gustarmi i commenti positivi.

         
        • Pietro Franchi L'autore dell'articolo

          Mi dispiace che tu abbia inteso in questo modo, ma non voleva assolutamente essere un attacco di qualunque tipo; era solo un consiglio in buona fede, a indicare che se quello che cerchi veramente sono appunto le spy-story a mio parere ci sono prodotti che incontrerebbero meglio i tuoi gusti. Poi è chiaro che ognuno guarda quello che vuole, ci mancherebbe altro 🙂 e sono il primo ad essere contento di discutere quando ci sono opinioni diverse, credimi!

           
  • Writer

    L’episodio mi è parso potente, affascinante e molto ben calibrato. Condivido le notazioni di Pietro quando scrive ” La movimentata regia di Dan Attias e la straordinaria interpretazione di Alison Wright hanno la difficile (ma riuscita) funzione di mostrare uno stato emotivo quanto mai alla deriva, incapace di decidere da sé per via, appunto, della personalità stessa di Martha, da sempre bloccata in un limbo schiacciante eppure impossibile da evitare.”. Tuttavia, c’è un elemento che mi pare un po’ stridente. Martha, quando apprende che Clark è un agente del KGB mostra smarrimento, paura, fantasie anticonservative, rabbia nei confronti del supervisore, ma non rabbia nei confronti di Philip. Eppure, dovrebbe essere la prima, naturale reazione, dovrebbe pensare e dirgli “pezzo di mer…, mi hai avvicinata, mi hai sedotta, ti sei sposato con me, unicamente per usarmi come fonte informativa, mi hai manipolata per acquisire informazioni riservate in favore dell’Unione Sovietica. Il tuo amore è stato solo uno specchietto per le allodole”. Niente di tutto questo: lei scappa dalla casa del KGB quando si accorge che Clark-Philip non è accanto a lei, accetta rassegnata di andare in Russia e di non vederlo più. Se il rapporto con lui è così vitale, mi sarei aspettato una reazione più forte, direi quasi violenta. Invece, pare quasi che l’energia vitale l’abbia abbandonata. Questo passaggio mi pare poco credibile, anche se la recitazione di Alison Wright è veramente superba.