Midnight Diner: Tokyo Stories – Le notti giapponesi e il comfort food


Midnight Diner: Tokyo Stories - Le notti giapponesi e il comfort food“Quando le persone giungono a fine giornata e si affrettano verso casa, inizia la mia giornata. La mia tavola calda è aperta da mezzanotte alle 7 di mattina. La chiamano “la tavola calda di mezzanotte”. Questo è tutto ciò che ho in menù. Ma preparo qualsiasi cosa mi chiedano i clienti, se ho gli ingredienti necessari. È questa la mia politica. Se ho abbastanza clienti? Più di quanti ci si aspetterebbe.” 

Con queste parole si apre ognuno dei dieci episodi di Midnight Diner: Tokyo Stories, la dramedy di Netflix che ci trasporta non solo in un altro continente, ma nel bel mezzo di una serialità completamente diversa dalla nostra e che, proprio per questo, rappresenta un’imperdibile occasione di confronto.
Midnight Diner (in originale Shinya Shokudō) non è la prima serie nipponica della piattaforma di streaming: preceduta da Hibana – Spark, rappresenta infatti il secondo esperimento giapponese di Netflix su scala internazionale. Ma non è nemmeno una novità per lo stesso Giappone: la serie ha infatti una lunga storia alle sue spalle, che parte dall’omonimo manga di Yarō Abe e passa attraverso tre stagioni della serie tv e due film. La decisione di Netflix di farne un progetto proprio porta in realtà pochissime modifiche allo show, tra cui l’aggiunta di Tokyo Stories al titolo; per il resto, la serie può contare sullo stesso regista, Joji Matsuoka, e persino sullo stesso protagonista, il cuoco della tavola calda, che prende il nome di Master ed è interpretato da Kaoru Kobayashi (presente anche in Hibana).

Midnight Diner: Tokyo Stories - Le notti giapponesi e il comfort foodLa novità che questo prodotto rappresenta, soprattutto per noi occidentali, si trova nella sua natura di non-serie: senza alcun tipo di trama orizzontale, Midnight Diner ci racconta semplicemente le vicende degli avventori casuali di una tavola calda, accomunati da storie e situazioni ma soprattutto dai cibi che vengono preparati dal Master e che danno il nome ad ogni episodio della stagione.
Tra personaggi di passaggio e clienti abituali, in ogni puntata ci addentriamo – con profondità, eppure sempre per pochissimo tempo – nelle vite di persone qualunque, che si ritrovano a condividere un pasto allo stesso bancone e che danno così il via al loro personalissimo racconto, che nasce da lì, si sviluppa all’esterno (a Tokyo, e non solo), per poi ritornare sempre alla tavola calda, dove tutto è cominciato e dove tutto trova una (non sempre naturale) conclusione.

Midnight Diner: Tokyo Stories - Le notti giapponesi e il comfort foodÈ qui, proprio nell’ambientazione, che si trova il tratto caratteristico di Midnight Diner: seguendo l’antico adagio (probabilmente universale) per cui si parla meglio della propria vita con una persona ad un bancone che con un amico, la serie mette in scena un popolo notturno che scopriamo essere ricco di debolezze e contraddizioni, ma anche di numerosi punti di forza. Questo è il Giappone del lavoro senza sosta, degli orari inesistenti, e di conseguenza di persone che vivono in modo perfettamente normale un’esistenza frenetica che scambia il giorno con la notte; ma è anche il Giappone dei tempi lenti e dei rituali, dell’attenzione per il cibo e della lenta ciclicità con cui si continua a versare il sake in mezzo a degli sconosciuti. Questa doppia velocità si rispecchia anche nelle vite dei protagonisti, che arrivano nel distretto di Shinjuku solo per mangiare e finiscono con lo scoprire qualcosa in più su se stessi e sugli altri. È così che la “meshiya” (la tavola calda, appunto) diventa un crocevia di incontri, ma anche e soprattutto un luogo dell’anima, dove il tempo è sospeso e si possono fare i conti con i propri sogni, problemi, ambizioni e ossessioni.

Midnight Diner: Tokyo Stories - Le notti giapponesi e il comfort foodA guidare questi viaggi personali, oltre al cibo che caratterizza ogni episodio e la cui preparazione è sempre accuratamente mostrata, è lo chef, la figura più interessante della serie grazie alla sua natura di personaggio-narratore-spettatore. Spesso sullo sfondo, mai alla ribalta, il Master è in realtà una presenza fondamentale, e non solo perché, come dice lui, “apre e chiude la tavola calda”: il suo è un ruolo fluido, che prevede l’ascolto, il consiglio, la narrazione degli eventi allo spettatore (soprattutto quando passa qualche tempo tra una scena e l’altra) e qualche volta anche l’azione, solo ed unicamente quando si rende necessaria – ossia quando le vicende dei protagonisti rischiano di rimanere in uno stallo doloroso. Ragionando secondo i canoni del teatro occidentale (e l’impostazione della serie è a tutti gli effetti teatrale), il Master acquisisce in questi casi il ruolo di deus ex machina, che interviene in situazioni altrimenti irrisolvibili e che, proprio per questo, non può abusare del suo ruolo. In tutti gli altri casi il suo rimane un personaggio di sfondo ma sempre presente, e ciononostante senza una caratterizzazione vera e propria: una cicatrice sul volto è l’unica cosa che sappiamo di lui, e solo nel finale ci viene donato qualche breve minuto che lo riguarda.

Midnight Diner: Tokyo Stories - Le notti giapponesi e il comfort foodÈ insomma un personaggio ibrido, che agisce nella storia ma al contempo comunica con lo spettatore, andando oltre quella quarta parete che anche tantissimi personaggi abbattono sul finire degli episodi: spesso, infatti, i protagonisti della puntata si girano in favore di camera e salutano gli spettatori, coinvolgendoci come fossimo anche noi degli avventori casuali, seduti allo stesso bancone a mangiare udon, cotolette di prosciutto o tofu all’uovo.
Anche le tematiche affrontate rendono questa serie un’occasione importantissima di confronto. Lutto, sesso, infanzia, amore, sessualità: ciascuno di questi elementi, nel bene e nel male, viene affrontato in modo completamente diverso da quello a cui siamo abituati, e questo di sicuro richiede una certa apertura mentale al nuovo; ma è interessante soprattutto come ognuno di questi temi consenta alla serie stessa di sperimentare tra i generi, puntando (sempre con ironia) sulla rom-com, sull’horror, sul dramma sociale e su quello familiare.

Midnight Diner: Tokyo Stories è un’occasione imperdibile per imparare a conoscere un modo diverso di fare serialità, godibilissimo e divertente ma anche capace di far riflettere fuori dai nostri schemi precostituiti. Dieci episodi da venti minuti rappresentano un concentrato di Giappone allo stato puro, irrinunciabile proprio per la capacità di mostrare le sue diversità e, perché no, anche le sue similitudini con il nostro mondo. Perché in fondo il cibo unisce le persone, ovunque e da sempre.

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Informazioni su Federica Barbera

La sua passione per le serie tv inizia quando, non ancora compiuti i 7 anni, guarda Twin Peaks e comincia a porsi le prime domande esistenziali: riuscirò mai a non avere paura di Bob, a non sentire più i brividi quando vedo il nanetto, a disinnamorarmi di Dale Cooper? A distanza di vent’anni, le risposte sono ancora No, No e No. Inizia a scrivere di serie tv quando si ritrova a commentare puntate di Lost tra un capitolo e l’altro della tesi e capisce che ormai è troppo tardi per rinsavire quando il duo Lindelof-Cuse vince a mani basse contro la squadra capitanata da Giuseppe Verdi e Luchino Visconti. Ama le serie complicate, i lunghi silenzi e tutto ciò che è capace di tirarle un metaforico pugno in pancia, ma prova un’insana attrazione per le serie trash, senza le quali non riesce più a vivere. La chiamano “recensora seriale” perché sì, è un nome fighissimo e l’ha inventato lei, ma anche “la giustificatrice pazza”, perché gli articoli devono presentarsi sempre bene e guai a voi se allineate tutto su un lato - come questo form costringe a fare. Si dice che non abbia più una vita sociale, ma il suo migliore amico Dexter Morgan, il suo amante Don Draper e i suoi colleghi di lavoro Walter White e Jesse Pinkman smentiscono categoricamente queste affermazioni.

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