Homeland – 6×08/09 Alt.Truth & Sock Puppets


Homeland – 6x08/09 Alt.Truth & Sock PuppetsDopo cinque stagioni in cui si sono susseguite variazioni su uno stesso tema principale, per questa sesta per la prima volta Homeland ha una nuova sigla. Si tratta di un segnale abbastanza forte, che infatti rimanda alla discontinuità che caratterizza questa annata rispetto a quelle che l’hanno preceduta.

Il percorso complessivo è molto interessante e per certi versi può essere inquadrato come un progressivo incremento dell’entropia all’interno delle maglie narrative e del parco personaggi della serie. Dallo show di Carrie e Brody si è passati a quello di Carrie e basta (come già suggeriva il tema principale della sigla originaria) e si è arrivati a un racconto che ha per certi versi messo in discussione anche la centralità della protagonista.
Sono stati infatti spiazzanti i primi episodi stagionali, privi di quell’azione e quello scavo nei personaggi che sempre hanno caratterizzato la serie, ma intenti a costruire (seppur a volte in modo zoppicante) un mondo prismatico, fatto di tante facce diverse, in cui Carrie non rappresenta più il fulcro del discorso. Gli episodi otto e nove da questo punto di vista possono già essere inquadrati come un momento di compimento di questo percorso, in cui la compresenza di questioni molto diverse tra loro si impone forse come l’elemento più interessante, che vede uno stratificarsi di livelli che vanno dal più piccolo al più grande: i rapporti personali extra lavorativi (Quinn-Carrie), quelli professionali (Carrie-Saul), la corruzione ai piani alti (Dar Adal), gli equilibri geo-politici (gli accordi Iran-Corea Del Nord) e il ruolo dei media.
A proposito di quest’ultimo punto, non può non lasciare il segno il ritratto del personaggio interpretato da Alex Jones, uno spietato speaker radiofonico, professionista del dossieraggio mediatico e incarnazione impeccabile della macchina del fango. Attraverso la sua figura Homeland ci spinge a riflettere sul fatto che oggi nulla esiste senza i media, nulla sopravvive senza scendere a compromesso con loro e soprattutto che la realtà ormai è polverizzata in favore della rappresentazione realizzata dal sistema dei media.

My dreams have a realness. My realness, realness.

Homeland – 6x08/09 Alt.Truth & Sock PuppetsIn “Alt.Truth” gli autori sono meticolosi nel costruire in pochi tratteggi l’importanza di Astrid, personaggio che abbiamo imparato a conoscere in modo più approfondito nella scorsa stagione, ma di cui non sentivamo il bisogno in questa. Ebbene, la serie con sottili pennellate ci innesta una necessità conferendo alla donna una cardinale importanza narrativa, amplificata dalla sua prematura e tragica morte. Sarà solo quando di Astrid non rimarranno che il ricordo e il rimpianto che Quinn e gli stessi spettatori capiranno realmente quando ci fosse bisogno di lei. Come giudicare questa scelta? Si tratta di un atto di coraggio che sacrifica un personaggio per un obiettivo più grande o un auto-sabotaggio? Un giudizio definitivo si potrà dare solo a stagione terminata, per il momento però prendiamo atto di un personaggio che in poche scene è riuscito a bucare lo schermo, soprattutto grazie a una sensibilità fuori dal comune per gli standard della serie e che esce di scena in maniera tragica con un finale costruito alla perfezione, in cui dai legittimi sospetti di Quinn si passa alla rivelazione dei sentimenti di Astrid e si finisce per assistere impotenti alla dolorosa morte della donna, disarmata dall’uomo che ama. Un finale di episodio che ha anche il merito di intrecciare la fine di Astrid con la storyline di Carrie grazie al mistero nascosto dietro al vicino di casa di quest’ultima.

You really don’t know, do you? My God Saul, you have lost your powers.

Homeland – 6x08/09 Alt.Truth & Sock PuppetsLa bipolarità di Carrie è da sempre l’arma a doppio taglio di Homeland, quella medaglia dietro cui si celano le maggiori insidie della serie, ma che al contempo presenta una faccia luminosa e splendente, quella di un personaggio femminile tra i più sfaccettati degli ultimi anni. Gli autori in questo caso, dopo averci presentato il burrone e aver quasi fatto precipitare la serie dentro durante lo scorso episodio con gli effetti sulla protagonista della perdita della figlia, riescono in questo caso a tirarvisi fuori con classe. L’intreccio narrativo costruito consente a Saul di ripescare per i capelli Carrie dallo stato di totale confusione in cui versa e rimetterla in pista, dandole la possibilità di tornare ad essere performativa come solo lei sa essere. È infatti la trama geo-politica a prendere finalmente il sopravvento con incisività e a tenere insieme la protagonista, Saul, la neo-Presidente degli Stati Uniti e l’ex terrorista iraniano Majid Javadi. La missione di Carrie, se da un lato riesce a rivitalizzarla e a iniziare la ricostruzione del rapporto con Saul, dall’altro si rivela fallimentare per il voltafaccia di Javadi, il quale esemplifica l’inarrestabile opacità del potere attraverso gli accordi sottobanco, rinnegando tutto in favore della protezione di Dar Adal. Gli autori in questo caso sono spietati nel mettere in discussione la trasparenza di questo tipo di operazioni, a partire da quella degli stessi servizi segreti americani.

Maybe you shouldn’t have been fucking a Russian mole.”
Well, coming from someone who fucked a guy in a suicide vest, that means a lot.”

Homeland – 6x08/09 Alt.Truth & Sock PuppetsCarrie Mathison è un’agente formidabile, che nel corso di questi anni ha dimostrato di saper portare a termine missioni quasi impossibili grazie al compromesso perfetto tra un senso del dovere vicino all’ossessione e un istinto innato. Sarebbe sbagliato però dividere in due tronconi la gestione del personaggio posizionando i pregi esclusivamente nella colonna del lavoro e i difetti in quella della vita privata, con un marcato accento sul disturbo mentale della donna. Fin da subito infatti i livelli sono stati profondamente intrecciati ed è impossibile capire davvero questo personaggio se non si prende atto di questa commistione. In “Sock Puppets” questa inscindibilità emerge in maniera palese, a partire da un prologo molto potente in cui il tumulto interiore di una donna pur fortissima come Carrie viene definito da una serie di questioni di grande complessità: la genitorialità condotta in solitudine, l’indimenticabile relazioni con Brody e i suoi effetti, il senso di colpa e protezione nei confronti di Quinn e infine l’attaccamento al lavoro e alla figura di Saul.
In questo crogiolo di problematiche emerge prepotente il rapporto con quest’ultimo, che a conti fatti rappresenta forse il principale filo conduttore dell’intera serie per quanto riguarda le relazioni tra i personaggi. Il loro legame si fa sempre più forte, aiutando Carrie a non essere divorata dalle vicende legate all’affidamento della figlia, ma soprattutto ricostruendo una coppia che per tanto tempo è mancata a questa serie. La complicità con cui tentano di incastrare Dar Adal a seguito della telefonata di Javadi ha qualcosa di romantico, tanto quanto le criticità che emergono nel finale in cui non c’è alibi possibile che riesca a coprire la ferita nel cuore di Saul.

I raised you Peter. You are my child. More than that. I would never hurt you. Never. I love you. That’s the God’s honest truth.

Homeland – 6x08/09 Alt.Truth & Sock PuppetsQuesta sesta stagione è quella che più di tutte avvicina Homeland a House of Cards, intavolando alcune delle sue storyline sull’analisi dei rapporti tra i servizi segreti, la politica estera americana e i vertici dirgenziali del governo statunitense, a cominciare proprio dal presidente degli Stati Uniti. Il nostro Frank Underwood in questo caso si chiama Dar Adal e, sebbene dal punto di vista del registro adottato manchi l’esuberanza della serie Netflix, il gioco risulta essere proprio per questo ancora più terrorizzante. L’avidità del potere, l’inaffidabilità di qualsiasi organo istituzionale, l’indistinguibilità tra “amici” e “nemici” stanno rendendo questa camaleontica stagione sempre più politica e più spietata nei confronti degli stessi Stati Uniti d’America. In queste condizioni di totale imprevedibilità Carrie e Saul appaiono come i Don Chisciotte che all’infinito combattono per un ideale, con mezzi leciti e illeciti, e che per sempre si troveranno a vincere alcune fondamentali battaglie ma a perdere la guerra, una sconfitta che di volta in volta ha la forma di una persona cara a cui dire addio o di un tradimento politico inaspettato. Keane è invece il Candido volterriano che, seppur non priva di lati chiaroscurali, appena entrata in un contesto del genere appare realmente sprovvista degli strumenti adeguati per sopravvivere in questa di giungla di palazzi luccicanti e Giuda in giacca e cravatta.

A tre episodi dalla fine, questa sesta stagione di Homeland continua ad accelerare la sua marcia, procedendo per accumulo di situazioni e temi, coltivando parallelamente il discorso sull’America contemporanea e quello sui personaggi costruiti nel corso degli anni. Rispetto a questi ultimi si distingue la variabile impazzita Quinn, forse il carattere più indecifrabile di quest’annata, simbolo di un eroe a pezzi, reso handicappato dall’orrore della lotta al terrorismo; un uomo le cui indiscutibili qualità umane sono oggi appannate da danni fisici permanenti e forme di PTSD tutt’altro che lievi.
È nel collegamento tra la storyline di Quinn e quella di Dar Adal che verranno tirate le somme finali su questa stagione, che però dopo due episodi come “Alt.Truth” e “Sock Puppets” si conferma un’annata di grande interesse, seppur tutt’altro che perfetta.

Voto 6×08: 7½
Voto 6×09: 8

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Informazioni su Attilio Palmieri

Di nascita (e fede) partenopea, si diploma nel 2007 con una tesina su Ecce Bombo e l'incomunicabilità, senza però alcun riferimento ad Alvaro Rissa. Alla fine dello stesso anno, sull'onda di una fervida passione per il cinema e una cronica cinefilia, si trasferisce a Torino per studiare al DAMS. La New Hollywood prima e la serialità americana poi caratterizzano la laurea triennale e magistrale. Attualmente dottorando all'Università di Bologna, cerca di far diventare un lavoro la sua dipendenza incurabile dalle serie televisive, soprattutto americane e britanniche. Pensa che, oggetti mediali a parte, il tè, il whisky e il Napoli siano le "cose per cui vale la pena vivere".

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