Review – Voto dunque sono 2


Review – Voto dunque sonoReview è un oggetto strano, una comedy atipica, un falso show televisivo, un racconto sul fare televisione e sul dietro le quinte del piccolo schermo e tanto, tantissimo altro. Review è soprattutto lo show in cui Andy Daly si racconta senza filtro come uomo, come professionista e come artista.

Lo scorso marzo è andata in onda la terza e ultima stagione di quella che è diventata una serie di culto per i pochi appassionati che sono riusciti a intercettarla e un potenziale amore per tutti coloro che non hanno ancora visto neanche un episodio. Perché lo show di Andy Daly, in onda per tre annate su Comedy Central, non ha purtroppo ricevuto l’attenzione che meritava, non tanto dalla stampa specialistica che ne ha sempre steso le lodi, quanto dai media di massa che l’hanno esclusa dai loro radar, finendo per farla diventare una sorta di oggetto misterioso della televisione americana.
È forse anche quest’anima di nicchia a fare della serie una mosca bianca, caratterizzata da una comicità mai banale e di grande complessità, in cui ogni intervento contiene in sé il lato ironico e il suo controcanto beffardo. Una serie tutta incentrata su un attore, autore, personaggio che si fa cartina di tornasole di ogni cosa, liquido di contrasto in grado di far emergere le maggiori contraddizioni della contemporaneità, attraverso il mestiere forse oggi più sfruttato, abusato e desiderato, in ambito professionale come in quello amatoriale: quello del critico.

Review – Voto dunque sonoCome dice la rapida e ficcante sigla della serie, Forrest MacNeil non recensisce cibo, libri o film, bensì la vita stessa, perché questa è esattamente tutto ciò che abbiamo. Suona ironico, certamente, questo ricorrente motivo d’apertura, ma solo con l’andare avanti degli episodi diviene chiaro anche il suo lato meno solare, che vede l’accettazione della propria sorte come unica via per fronteggiare l’impossibilità di essere davvero soddisfatti.
Andy Daly interpreta Forrest MacNeil, conduttore di uno di show televisivo (finto) in cui, con l’aiuto dell’altro personaggio ricorrente, A.J., recensisce le più variegate esperienze di vita sotto richiesta dei suoi spettatori (finti), i quali tramite tweet, videomessaggi o mail (anch’essi tutti irrimediabilmente finti) gli comunicano i loro desideri.
È naturalmente la finzione a regnare sovrana, come si evince anche da queste ultime righe della recensione, perché l’operazione del protagonista, del suo autore e della serie tout court non sono altro che un atto di rappresentazione che si scontra e si fonde con la realtà, un gesto creativo pensato e sviluppato a partire da un “testo”, che in questo caso è la vita reale. Andy Daly, molto prima di Charlie Brooker e Joe Wright in “Nosedive”, primo episodio della terza stagione di Black Mirror, intuisce che una delle manie ricorrenti che investono la società contemporanea è l’ansia di esprimere un giudizio, la tensione valutativa ad ogni costo, quell’atteggiamento che porta all’abuso sui social network di termini come “capolavoro” e “cagata” o alla ricerca di celebrità dichiarando opinioni fuori dal coro su ogni cosa. A partire da questa intuizione l’autore costruisce uno show che utilizza questa ossessione contemporanea non solo come metodo di lavoro, ma come vera e propria ragione di vita.

Review – Voto dunque sonoQuello presentato da Review è un tunnel senza uscita, è una discesa agli inferi che accompagna gradualmente lo spettatore nel corso delle tre stagioni. Nel primo anno ciò che viene presentato è soprattutto il carattere sperimentale dell’operazione, ovvero l’identità di una serie che crea uno storytelling originale a partire dal mockumentary, in cui un comedian di elevato talento decostruisce completamente ogni regola narrativa classica in favore di un’antologia di recensioni in cui le esperienze quotidiane e le ossessioni della nostra società sono messe sotto indagine.
Nonostante l’irresistibile ironia, la prima stagione ha senso solo se affiancata dalla seconda, la quale esaspera uno storytelling già atipico e approfondisce l’interiorità del personaggio principale realizzando una narrazione che questa volta inizia a essere prepotentemente orizzontale, spostando così il focus dai casi di volta in volta recensiti (il cui metodo ormai è familiare agli spettatori) al protagonista e al suo agire, presentandocelo come una persona sempre più ossessionata dal lavoro e dotato di un’etica indomabile in virtù della quale è disposto a sacrificare qualsiasi cosa.
Con la seconda stagione e la brevissima (tre episodi) e conclusiva terza, Forrest MacNeil inizia a interrogarsi su questioni etiche di grande rilevanza come il suicidio, sulla masturbazione, sulla violenza sulle donne, sull’omicidio, sull’uso delle armi e su temi universali come la morte, il perdono e l’amore, mettendo sempre al centro della propria indagine l’ormai isterica abnegazione che lo porterà a un commiato finale di struggente intensità, in cui il riso ha una natura immancabilmente chiaroscurale, perché alle sue spalle si cela una straziante malinconia e un inevitabile senso di impotenza.

Review – Voto dunque sonoReview rappresenta uno dei punti più alti della televisione contemporanea, una vetta in quanto a sperimentazione e consapevolezza del proprio ruolo. Andy Daly è capace di prendere le ormai certificate possibilità narrative della televisione – facoltà che spesso hanno spinto a paralleli col cinema e con la letteratura – e fonderle con ciò che di più specifico ha il piccolo schermo, ovvero i modelli non-scripted. Review pesca dal talk show, dalla reality TV, dalla stand-up comedy e dai programmi interattivi in cui il pubblico si fa protagonista dello spettacolo d’intrattenimento, mantenendo sempre una propria solidissima identità. A unire tutti questi modelli narrativi c’è un autore che attraverso la creazione di un personaggio come Forrest MacNeil rompe ogni schematismo e dimostra come questa sia una delle direzioni maggiormente foriere di sperimentazione per la TV contemporanea: un territorio in cui la fiction si incrocia con la non-fiction, dove la realtà si scontra con la finzione e in cui è proprio il formato comedy (ma ha ancora senso parlare di comedy oggi? Forse sarebbe meglio dire non-drama) a costituire il dispositivo narrativo principale, quello con le regole più flessibili e adatte a piegarsi in favore dell’innovazione. Un discorso ripreso e confermato da diverse serie negli ultimi anni, tra cui ad esempio Atlanta, che nel suo settimo episodio decide di piazzarsi proprio nel campo di Review, abbassando l’intensità narrativa in favore di un racconto che ibrida non-scripted TV, animazione, real tv, talk show.

Review – Voto dunque sonoReview riesce in un’impresa apparentemente impossibile, portando la cinica dark comedy di stampo British negli Stati Uniti, lì dove però ogni racconto di questo genere, anche il più pessimista, è sempre accompagnato da un’energia produttiva, un percorso di riabilitazione o almeno una presa di coscienza. Che si tratti della malinconica esistenza del comico triste di Baskets, della caustica e dissacrante rabbia di Louie o della solitudine esistenziale di BoJack Horseman, c’è sempre qualcosa di positivo ad accompagnare i toni cupi del racconto, fosse anche solo sotto forma di un fallimentare percorso di crescita. Non in Review. Come nota anche Sean O’Neil su A.V. Club, la serie di Andy Daly rappresenta un vertice tragico difficilmente raggiungibile, in cui gli elementi solari sono come dei costumi di carnevale, delle maschere dietro le quali si cela l’orrore verso un’esistenza in cui non c’è che insoddisfazione e sofferenza, a partire dalla vita privata del protagonista e dal rapporto con la sua ex-moglie.

La serie si chiude con un rapidissimo trittico di episodi, che proprio nella brutale conclusione fa sperimentare allo spettatore la condizione di continua mutilazione del piacere su cui lo show si concentra tra le pieghe del suo racconto. Andy Daly in fondo non narra altro che una storia d’amore, o meglio le conseguenze di un intestardimento patologico, una ferita aperta che Forrest non può che rimuovere, auto-convincendosi di riuscire ad asfaltarla attraverso l’immersione totalizzante nel lavoro, ma finendo inevitabilmente per scontrarsi con il proprio fallimento.
Di questo e di tanto altro parla Review, una chicca da scoprire e rivedere, in grado di far ridere, piangere e pensare come poche altre cose negli ultimi anni.

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Informazioni su Attilio Palmieri

Di nascita (e fede) partenopea, si diploma nel 2007 con una tesina su Ecce Bombo e l'incomunicabilità, senza però alcun riferimento ad Alvaro Rissa. Alla fine dello stesso anno, sull'onda di una fervida passione per il cinema e una cronica cinefilia, si trasferisce a Torino per studiare al DAMS. La New Hollywood prima e la serialità americana poi caratterizzano la laurea triennale e magistrale. Attualmente dottorando all'Università di Bologna, cerca di far diventare un lavoro la sua dipendenza incurabile dalle serie televisive, soprattutto americane e britanniche. Pensa che, oggetti mediali a parte, il tè, il whisky e il Napoli siano le "cose per cui vale la pena vivere".


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2 commenti su “Review – Voto dunque sono

  • Pietro Franchi

    Bellissimo articolo Attilio!
    Una delle comedy più sperimentali, cupe e rivoluzionarie degli ultimi anni, e in Italia (ma anche negli Stati Uniti) è praticamente sconosciuta. A partire dall’episodio dei pancakes della prima stagione, per arrivare ai fortissimi archi orizzontali della seconda e al suo meraviglioso trittico conclusivo, (più una terza stagione che recupererò e breve) Review ha lasciato il segno su come si fa televisione e come si reinventa un genere che si è espanso così tanto da non avere più bisogno di etichette. Un piccolo grande capolavoro.

     
  • Attilio Palmieri L'autore dell'articolo

    Grazie Pietro.
    Sottoscrivo totalmente le tue parole. Ora che è finita è possibile parlarne con senza dover sospendere il discorso e il giudizio aspettando la conclusione. Vedi gli ultimi tre episodi perché oltre ad essere intelligentissimi chiudono il discorso in una maniera davvero sorprendente.