Malgrado una trama ancora molto fumosa e una perentoria lentezza nel procedere, American Gods al suo terzo episodio dimostra di poter garantire emozioni forti. Non solo per essere punto di incontro tra una grande forza narrativa e una mise en scene stellare, ma anche per la voglia di costruire un prodotto che raggiunga con scioltezza i vertici del bello, senza comunque crogiolarsi troppo in un circolo vizioso: quello della forma senza contenuto.
La prova di questo andamento virtuoso è il confronto tra i personaggi di Salim e Jinn, in quella che è una tra le più importanti scene di sesso gay della serialità. Il tempo dedicato ai due è breve e la sorpresa è attutita dalla conosciuta attrazione di Starz per una onestà visiva che non conosce censure o mezzi termini, ma la scena rimane una scossa alla cronistoria del mondo seriale e un eccellente input artistico verso un mondo reale sempre più attento alle questioni di genere. In primis perché girata come un armonioso concerto di coraggio, coerenza e sincerità (oltre che un corposo gruppo di riflessioni e implicazioni intellettuali); in seguito perché esempio lampante della “semplice” forza della bellezza. La natura scultoria e divampante dei corpi, la presenza di quella che gli autori stessi hanno definito la “metafora di un uomo che non può essere visto e che poi, finalmente, scopre cosa vuol dire essere visto da un altro uomo” sono tutti elementi che richiamano il potere dell’immagine plastica bella e vera, unito al potere di un messaggio altrettanto bello e vero. La scena inoltre controbilancia il delirio sessuale di Bilquis, per investigare non tanto il solipsismo del divino ma la partecipazione emotiva, la comunione dei sensi che si scatena grazie a un essere superiore.
Questo incontro tra immagine e senso è il risultato della creatività a briglia sciolta di Brian Fuller, che provoca lo spettatore con intuizioni visive e metafore di rara intensità. La scrittura di “Head Full of Snow”, come i due episodi precedenti, rimarca quello che sembra l’obiettivo base dello show: la costruzione di un affresco enorme che passi attraverso dettagli in apparenza fini a se stessi. Tutto ciò avviene nel concreto con una catena composta da scene madri (indirizzate a strabiliare e ancora spoglie di qualsiasi notazione informativa) e scene minori, figlie del serpentino viaggio on the road di Snow e Wednesday. L’episodio, come i suoi personaggi, non è certo prodigo di rivelazioni, ma suggerisce un gran controllo del piano generale e del magma narrativo; ogni indizio è tenuto al guinzaglio non tanto per costruire la suspense quanto per diffondere un’atmosfera fatta di afflati misteriosi e accenni veloci alle grandezze caratteriali in campo. Non a caso, ad eccezione di un esilarante siparietto sul Cristo messicano senza green card, le informazioni sugli dei latitano e la loro assenza obbliga a deduzioni continue.
Procedendo in tal modo, non si sbandiera immediatamente il nome degli dei per mantenere sveglio il senso di meraviglia e di scoperta; in ogni caso questa scelta non inficia la narrazione generale, come si vede nelle magnifiche prime scene dedicate ad Anubi. Proprio nei primi minuti infatti si dipana la collisione tra fine della vita e inizio della morte, con tanto di sgabello pericolante, un gatto sphynx e il dio egiziano definito (sarà un caso?) “Signore degli Occidentali”. La fine della propria vita assistita in una realtà extra corporea, la salita a un deserto attaccato alle stelle, la bilancia e l’entrata in una delle porte dell’Aldilà: sono questi gli elementi che applicano la metafisica e la teologia allo spettacolo con perfetto senso della misura e dell’effettistica. Ma non solo, la stessa scena anticipa il discorso che farà da snodo principale dell’episodio, appoggiandosi a una tematica fondamentale per la serie: il ricordo della divinità.
Il dio ha bisogno di essere ricordato. I nuovi capri espiatori sono i pensieri e le preghiere che resistono a un mondo più tecnologico e laico che mai. L’America che non conosce se stessa, che è sempre da qualche parte ma mai in nessuna di preciso, che è estesa e vacua è il centro di una critica non banale: la nazione più potente è un grande corpo senza organo principale. In una terra senza vere credenze tutti gli dei cercano seguaci combattendo contro un adesso a forma di app e senza memoria. L’affanno per la sopravvivenza si traduce nel rivelarsi, nel dimostrarsi agli occhi di chi ha creduto senza cedere e senza sciogliersi alla seduzione della modernità. Sono dei che mantengono intatta la magnificenza solo se contraccambiati e sono dei con le mani sporche di normalità. Essere dimenticato è la paura di Wednesday, il rimpianto di Czernobog, il futuro probabile delle divinità antiche. A questa minaccia si risponde allora con un intervento anti maieutico, che invece di estrarre la verità la inculca e la caccia fin dentro anima e corpo mortali. L’amplesso di fuoco tra Salim e Jinn rientra in quest’ottica, così come la ricompensa di Anubi e la neve di Wednesday: eventi incredibili che superano la soglia della mente e irretiscono anche i più scettici.
Legittimata da questi presupposti, la nevicata colossale colpisce duramente il solido muro di dubbio dietro cui si nasconde Shadow, sempre più bersaglio di eventi che trasportano la normalità oltre il confine dell’incredibile. Dall’atipica gag da heist movie d’autore fino al dialogo in macchina prima di un nuovo motel (foriero di cliffhanger), i confronti tra i due personaggi principali arricchiscono l’esoscheletro della serie con aggiornamenti alla trama e notifiche alle regole di base di una partita sul punto di iniziare. Se in più si aggiunge il percorso concettuale che intreccia il tema del dubbio a quello della credenza, il livello si alza esponenzialmente: nel territorio della finzione e del cinismo scettico, l’incredibile diventa l’unica realtà a cui ancorarsi con sicurezza. È tanto paradossale quanto affascinante e spiegabile anche solo in una frase: “È una dote bella, bellissima, avere la capacità di sognare quando non si sta dormendo”.
“Head Full of Snow” è un episodio molto simile ai precedenti, ma allo stesso tempo migliore, sia perché sfrutta un aggregato sempre più consistente di immagini e semplici avanzamenti narrativi, sia perché colpisce a livello emotivo lo spettatore. Se il terzo episodio per una serie è fondamentale, questo invita a fare un passo in più, per abbandonarsi a un mondo mozzafiato, di dei e di fantasmi.
Voto: 9