Hap and Leonard – Stagione 2 2


Hap and Leonard – Stagione 2“La casa dei vostri vicini era mucho mojo. Ne parlava sempre mia nonna. Mojo è un termine africano per magia”.
“Credevo significasse sesso”, dissi.
“Perché ascolti la musica blues”, disse lei. “Sì, è il sesso, o gli organi sessuali. Ma in una accezione più larga. Cioè il sesso è una specie di magia. Mojo significa magia. Mia nonna sapeva un po’ di spagnolo, e quando le cose andavano male, diceva mucho mojo. Mucho in spagnolo sta per molto. Mojo in africano per magia. Però lei intendeva dire magia cattiva. Per lei mojo è sempre stato un termine negativo.
(Joe R. Lansdale, Mucho Mojo, 1994)

Tra il 1979 e il 1981 i quartieri neri della città di Atlanta hanno vissuto nel terrore. Tutto inizia il 28 luglio del 1979, quando la polizia scopre i cadaveri di due ragazzini di colore di 14 anni, una storia che viene presto liquidata come una faccenda legata al mondo della droga e a nessuno viene in mente di collegare la sequenza di omicidi che insanguina la città nei mesi successivi. Bisogna arrivare a dodici adolescenti massacrati prima che le madri di alcune vittime formino il “Committee to Stop the Children’s Murders” e comunque le scomparse di bambini non si fermano: si arriva a 28 tra bambini, adulti (il 22enne Eddie Duncan detto Bubba, che però ha un ritardo mentale e si comporta come un bambino) e adolescenti di colore scomparsi in quelli che ormai sono già tristemente noti come gli Atlanta Child Murders. Si pensò che fosse opera del Ku Klux Klan, invece era un serial killer e per giunta di colore: il 22 maggio 1981 venne arrestato il 23enne Wayne Williams, che finì dietro le sbarre solo per due degli omicidi ma sospettato di averli commessi tutti. Per la procura, è un bigotto omofobico e omosessuale irrisolto, che odia i giovani neri delle classi basse, ma lui si è sempre proclamato innocente; il suo caso è stato riaperto per ben due volte in 40 anni, seguendo anche piste che portavano al KKK, ma senza nulla di fatto viste le schiaccianti prove forensi e il fatto che gli omicidi cessarono del tutto dopo la sua cattura.

Hap and Leonard – Stagione 2A questa macabra e poco nota vicenda – almeno in Italia, visto che De Niro ritirò l’Oscar per Toro Scatenato con un fiocco verde sull’abito in segno di solidarietà con le vittime – si ispirò Joe Landsdale nel 1994 quando scrisse uno dei libri migliori della serie di Hap and Leonard,”Mucho Mojo“, che Sundance TV mette in scena affidandosi per questo secondo capitolo della saga (dopo l’esordio con “A Savage Season”) al nuovo showrunner John Wirth; Wirth ha il compito di dare una direzione ben precisa ad una serie che non aveva totalmente fallito nell’adattamento del primo dei celeberrimi, amatissimi romanzi di Lansdale, ma che sembrava incerta sul proprio tono e priva di un carattere deciso.
C’è da dire che Lansdale, probabilmente il miglior scrittore di genere americano della sua generazione, è un autore molto difficile da portare sullo schermo – nonostante il suo citazionismo e la spiccatissima attitudine cinematic nel raccontare – a causa soprattutto dell’atmosfera unica che riesce a creare, miscela perfetta di ironia e commedia, malinconia crepuscolare e azione pulp. La saga di romanzi che racconta le disavventure dell’omonima coppia di scalcagnati detective è divenuta oggetto di culto proprio per questa unicità; come il Maine di Stephen King, il Texas Orientale di Lansdale è un luogo dell’anima per i fan e gli stessi Hap e Leonard sono così potentemente impressi nella mente dei lettori da rendere davvero impegnativo dargli un volto credibile e una contestualizzazione sullo schermo.

When you know, we been hurt, been down before, nigga
When my pride was low, lookin’ at the world like, ‘where do we go, nigga?’
And we hate Popo, wanna kill us dead in the street for sure, nigga
I’m at the preacher’s door
My knees gettin’ weak and my gun might blow but we gon’ be alright
(Kendrick Lamar, Alright – To Pimp a Butterfly, 2015)

“A Savage Season“si districava un po’ a fatica nel ricco materiale del romanzo di partenza: nel tentativo di conciliare l’ironia dei dialoghi con il malinconico decadimento della fine degli anni Settanta e il brusco risveglio dalla sbornia della Summer of Love, ma anche col difficile compito di presentare l’amicizia e le backstory di Hap e Leonard, la prima stagione finiva per sacrificare l’azione e la chimica dei protagonisti e patire un grande sbilanciamento verso il personaggio di Hap, per via della storia d’amore tragica con l’ex moglie Trudy.
La differenza tra i due romanzi aiuta però senz’altro questa seconda stagione e gli stessi titoli di testa esplicitano fin dall’inizio un leggero aggiustamento di rotta: riportando il titolo del libro, chiariscono la volontà di seguire una strada leggermente differente per ogni romanzo, che è sicuramente la via migliore per approcciare il materiale e tarare il tono e la messa in scena a seconda della base scritta a disposizione.

Hap and Leonard – Stagione 2“Mucho Mojo” è davvero un gran materiale, che parte veloce e sceglie con decisione ciò che vuole raccontare e come lo vuole raccontare, una storia praticamente all-black che parte dal ritrovamento del cadavere di un bambino sotto le fondamenta della casa del defunto Uncle Chester, lasciata in eredità a Leonard. Il nuovo setting parte proprio dalla casa, nel pieno di un ghetto nero nel 1988, e si amplia fino a comprendere una serie di bambini scomparsi, la polizia corrotta, dei predicatori e la bellissima avvocatessa Florida (che poi resterà personaggio ricorrente, insieme al detective Marvin, nei romanzi della saga).
A livello narrativo la seconda stagione si concentra chiaramente fin da subito sulle tematiche razziali e sociali e, come è giusto che sia, ruota attorno a Leonard come la prima girava intorno ad Hap, presentando in maniera umana e malinconica l’indagine casalinga dei due amici, che cercano di dare giustizia ai ragazzini scomparsi pur se costantemente ostacolati dalla Legge, dai pregiudizi e soprattutto dalla loro cronica incapacità di compromesso, unita a una certa inclinazione ad attirare su di sé i guai peggiori nel raggio di parecchi chilometri.

Out of the huts of history’s shame
I rise
Up from a past that’s rooted in pain
I rise
I’m a black ocean, leaping and wide,
Welling and swelling I bear in the tide.
Leaving behind nights of terror and fear
I rise
Into a daybreak that’s wondrously clear
I rise
Bringing the gifts that my ancestors gave,
I am the dream and the hope of the slave.
I rise
I rise
I rise.
(Maya Angelou, Still I Rise – And Still I Rise, 1978)

Hap and Leonard – Stagione 2Scegliendo di focalizzarsi prepotentemente sulle tematiche sociali, Mucho Mojo si dimostra più centrato di A Savage Season, ma anche coerente con il tono del materiale originale che forse all’interno della saga di Hap and Leonard è il libro che più privilegia la detection e il realismo rispetto all’azione: è una storia di neri nel Texas Orientale degli anni ’80 che evoca potentemente l’attualità senza aver bisogno di modificare pressoché nulla della propria vicenda originale, cosa che ci fa ben capire quanto poco nella condizione degli afroamericani sia cambiato, specie quando si parla di classi medio-basse e del Sud degli USA. La serie si impegna molto nel cercare di far comprendere allo spettatore contemporaneo il contesto in cui ci si muove, in particolare quando tratta del rapporto tra i protagonisti e dei presupposti in termini di lealtà, sopportazione, mancanza di pregiudizio e amore fraterno che stanno alla base dell’amicizia tra un bianco etero e un nero gay in quella zona degli Stati Uniti e in quell’epoca (siamo nel pieno dell’esplosione della psicosi da AIDS, a cavallo tra la Presidenza Reagan e quella Bush, e mancano solo 3 anni al pestaggio di Rodney King che darà il via ai Los Angeles Riots). La chimica tra i due attori Michael K. Williams e James Purefoy non è ancora perfetta ma migliora di episodio in episodio, soprattutto per merito di un Purefoy sempre più credibile come Hap a partire da un accento texano quasi perfetto e dall’attitudine unica del suo personaggio, fallito di mezza età e donnaiolo impenitente ma allo stesso tempo impavido difensore dei deboli e detective quasi suo malgrado.

Alcune serie non trovano subito la strada perfetta e senz’altro Hap and Leonard è stato uno di questi casi; ma se la prima stagione ci aveva lasciato se non delusi, sicuramente perplessi dalle scelte di adattamento, con Mucho Mojo lo show ha fatto un deciso passo avanti, aiutato da un format che per ogni stagione adatta un romanzo diverso, che in questa seconda è passato a raccontare forse uno dei migliori romanzi della saga e che continua a puntare sul lato più umano, malinconico e meno pulp della coppia. Forse non sarà l’adattamento più scoppiettante possibile e forse non riesce ancora a trasportare davvero sullo schermo (ma riuscirci sarebbe davvero difficile) la complessità delle sfumature della scrittura di Lansdale, ma questo secondo capitolo ci lascia decisamente più soddisfatti del precedente.

Voto stagione: 7 ½

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Informazioni su Eugenia Fattori

Bolognese di nascita - ma non chiedete l'età a una signora - è fanatica di scrittura e di cinema fin dalla culla, quindi era destino che scoprisse le serie tv e cercasse di unire le sue due grandi passioni. Inspiegabilmente (dato che tende a non portare mai scarpe e a non ricordarsi neanche le tabelline) è finita a lavorare nella moda e nei social media, ma Seriangolo è dove si sente davvero a casa.


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2 commenti su “Hap and Leonard – Stagione 2

  • Travolta

    In questa seconda serie Michael K. Williams e’ come una sicurezza e James Purefoy si pone alla sua altezza.
    Concordo con il 7,5 .Da vedere.

     
  • terst

    Ciao! Devo dire che personalmente a me è piaciuta di più la prima stagione. Per quanto nel complesso anche la seconda non mi sia dispiaciuta affatto, ho trovato alcuni siparietti comici davvero fuori luogo, in particolare nei primi due episodi in cui Hap veniva raffigurato come una macchietta, in totale contrasto con come lui viene raffigurato nei libri e nella prima stagione. La scena in cui cade dal ponte per esempio mi ha fatto temere che la direzione intrapresa fosse quello di trasformarla completamente in una serie comedy. Per fortuna poi hanno “raddrizzato il tiro” e scene del genere non si sono più ripetute, e il nuovo “comic relief”, la parrucchiera, ci stava e non era troppo forzata.
    Un’altra cosa che ho trovato fastidiosamente forzata era il continuo riferimento a “BB”, “lo faccio per BB”, detto con fare piagnucoloso da Hap.
    Ho trovato la prima stagione invece più coerente con se stessa e coi libri, senza queste cadute di stile. Questa seconda stagione guadagna punti sicuramente grazie al focus sulla discriminazione razziale, sempre di grande importanza nei libri di Lansdale e in particolare in quelli su Hap e Leonard, ma per me non è sufficiente.