The Handmaid’s Tale – 1×08 Jezebels


The Handmaid's Tale - 1x08 JezebelsGiunta al suo ottavo episodio, The Handmaid’s Tale continua ad arricchire di dettagli l’inquietante e attualissimo affresco distopico nato dalla mente di Margaret Atwood, e lo fa procedendo su un doppio binario: da un lato con la lenta ma inesorabile scoperta dei meccanismi (istituzionali e non) che governano Gilead, dall’altro con l’ampliamento dei punti di vista attraverso i quali il racconto prende forma.

“Jezebel” prosegue sulla strada intrapresa dal meraviglioso “A Woman’s Place” e da “The Other Side” –  il capitolo più debole fino ad ora; dopo una prima metà di stagione interamente filtrata dagli occhi di Offred/June, gli autori hanno infatti operato una scelta rischiosa ma al tempo stesso necessaria per dare più ampio respiro alla narrazione e favorire così la serializzazione del materiale letterario, concedendo spazio, con risultati altalenanti, alle storie di Serena, Luke e Nick.

I don’t have any choice.

The Handmaid's Tale - 1x08 JezebelsAl contrario dei capitoli precedenti, l’episodio presenta però una struttura ibrida, in apparenza poco coesa ma che trae la sua forza proprio dal continuo alternarsi tra la prospettiva di Nick (e, in seconda battuta, di Fred) e quella di June: l’apparente reazione di gelosia di Nick di fronte a quello che è a tutti gli effetti uno stupro, per giunta spogliato del rituale della Cerimonia, così come la convinzione di Fred di aver compiuto nei confronti della sua ancella un gesto di gentilezza vestendola di tutto punto e portandola al club delle Jezebel, si scontrano con la reale condizione di totale oppressione e sottomissione in cui si trova la donna, e che entrambi gli uomini sembrano incapaci di mettere del tutto a fuoco. Sia l’autista che il Comandante emergono come figure ambigue e sfuggenti: se nel caso di Nick è ancora difficile decifrare quanto le sue azioni siano dovute a una sincera preoccupazione, al senso del dovere o a sentimenti incontrollabili, la figura di Mr. Waterford assume contorni sempre più inquietanti proprio per il modo in cui si ostina – con quale grado di consapevolezza non ci è dato sapere – a mascherare la dominazione e la violenza con le sembianze di un rapporto paritario, chiedendo un consenso che sa che non gli potrà essere rifiutato – “Enjoying that?” “Yeah”.

It’s like walking in the past, don’t you think?

Al centro del discorso troviamo di nuovo, naturalmente, il rapporto impari tra l’uomo-soggetto (dotato di potere e libertà d’azione) la donna-oggetto (costretta a interpretare i rigidi ruoli di moglie, ancella e prostituta che le vengono imposti), vero e proprio perno concettuale su cui si fonda il regime di Gilead; “Jezebels” però fa un ulteriore passo avanti, mettendo in scena in maniera quanto mai esplicita non tanto le differenze, quanto i punti di contatto tra il passato e il presente, e quindi, indirettamente, tra la nostra realtà e la distopia. Il rasoio, i trucchi, i vestiti e lo stesso club divengono infatti al contempo simboli di un passato di (maggiore) libertà e un richiamo al controllo operato, prima come ora, sul corpo della donna, sottolineando così un’inquietante continuità tra il “pre” e il “post” Gilead.

The Handmaid's Tale - 1x08 Jezebels“Tutto cambia perché nulla cambi”: scavando sotto la complessa architettura di regole e cerimonie di Gilead troviamo infatti l’ipocrisia dei potenti, che infrangono le leggi che loro stessi hanno contribuito a creare, nonchè la conferma di come questa non sia altro che una struttura vuota, creata appositamente per controllare le donne in maniera più efficace. Emblematico in quest’ottica è il flashback in cui assistiamo alla nascita della Cerimonia: la sconvolgente naturalezza con cui il rituale prende forma, quasi per caso, durante un breve tragitto in macchina, riassume infatti alla perfezione non solo il totale disinteresse nei confronti del punto di vista femminile (“That’s a non issue”), ma anche il modo in cui gli uomini dello show amano dipingersi, come degli eroi che, in nome della sopravvivenza della razza umana e forti della giustificazione fornita dal “precedente biblico”, si sentono autorizzati a negare al genere femminile i più basilari diritti umani – “Sounds good. Nice and godly”.

I will not be that girl in the box.

L’unico barlume di luce in questo affresco dai toni sempre più cupi e disperati è rappresentato dall’inaspettato incontro con Moira: la gioia e la capacità di scherzare delle due donne nonostante l’incubo in cui sono costrette a vivere rappresentano una vera e propria boccata d’aria fresca per lo spettatore, la quale viene però subito bilanciata dai cambiamenti che il tempo e gli eventi hanno avuto sulla donna. Se in passato era stata Moira a credere fermamente nella possibilità di una fuga e di riacquistare la libertà perduta, ora la vediamo totalmente priva di speranze, ormai incapace di reagire anche di fronte alla notizia che Luke è vivo e rassegnata all’idea di essere una “ragazza intrappolata nella scatola”. Lo stesso non può dirsi invece di June, la quale sembra anzi sempre più determinata a scardinare la sua prigione: il fatto che stia apparentemente ripercorrendo le orme dell’ancella che l’ha preceduta – la relazione con Waterford, la scritta all’interno dell’armadio – gettano un’ombra allarmante sul suo futuro ma, parafrasando le parole che lei stessa rivolge a Nick, la possibilità di tornare a sentirsi una persona, e quindi di avere qualcuno che si ricorderà di lei, forse valgono più di qualsiasi pericolo.

Nel complesso “Jezebels”, pur non rappresentando un’eccellenza all’interno della stagione, porta avanti in maniera coerente ed efficace le tematiche cardine della serie, confermando come The Handmaid’s Tale sia senza ombra di dubbio uno degli show più rilevanti di quest’anno televisivo.

Voto: 7/8

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