Twin Peaks – 3×05 The Return Part 5 4


Twin Peaks – 3x05 The Return Part 5Poche cose possono essere complicate come parlare di David Lynch, delle sue opere e della sua poetica che, come tutti gli autori che si rispettino, ha sempre dei caratteri ben precisi che si ripetono e sviluppano nel tempo. Il punto è che l’universo lynchano ha poco a che fare con il mondo scibile e banalmente reale, perché viaggia su altre dimensioni.

E in fondo la volontà stessa di tessere un “ritorno” indica già da sé che quello a cu stiamo assistendo è una stagione che mette in scena un vero e proprio movimento, un percorso per tornare non si sa esattamente dove. Plausibilmente la meta sembra essere Twin Peaks stessa, dove veniamo catapultati di tanto in tanto per rivedere la maggior parte di quei personaggi che abbiamo imparato a conoscere 25 anni fa. Oppure, pensando ad un livello più astratto, potrebbe essere la Black Lodge, l’entrata (o l’uscita?) definitiva nel luogo che fa da doppelganger al mondo stesso, in cui l’inversione della logica causa-effetto si mescola con l’onirico e il fantastico, mandando inevitabilmente in cortocircuito le certezze della conoscenza. Al di là delle supposizioni (e soprattutto se possono valere qualcosa per Twin Peaks), questa quinta parte è un episodio sotto certi aspetti anomalo rispetto ai precedenti perché non fa comparire in nessun momento né la già citata Black Lodge né la sua anticamera, la Red Room, cioè non fa entrare in un mondo altro. “The Return Part 5” fa qualcosa di ancora più disturbante, in un certo senso, perché inserisce in uno spazio che possiamo riconoscere come “reale” tutti gli elementi più disturbanti che abitano la serie e li collega l’uno all’altro con la metafora della macchina, “the vehicle”, un dettaglio che pervade quasi ogni scena.

Twin Peaks – 3x05 The Return Part 5 Ovviamente è impossibile scambiare il reale lynchano per un reale tout court e quindi, anche quando apparentemente sembra esserci una parentesi di sollievo da momenti assurdi – come ad esempio la prima mezz’ora di “The Return Part 3” –, l’atmosfera rimane comunque sospesa tra l’incredibile e il disturbante. Innanzitutto l’episodio si concentra fortemente su Dougie Jones e Mr. C., che sono a tutti gli effetti dei corpi in prestito, perché trasportano un carico ben diverso dalle apparenze e sintetizzano perfettamente anche cos’è il concetto di realtà in Twin Peaks. Entrambi i personaggi sono proiezioni: il primo è il ritorno di Dale Cooper che si trova a vagare sulla terra per inerzia di situazioni, costretto in movimenti che non conosce, o non sa più riconoscere; Mr. C. è Dale Cooper prestato a BOB, è la prosecuzione diretta dall’ultimo episodio andato in onda più di due decadi fa e che, non a caso, viene esplicitamente citato in una delle sequenze più belle dell’episodio. Il momento davanti allo specchio di Dark Cooper si incastra sui ricordi del passato e, oltre a sottolineare la bravura di Kyle McLachlan, diventa il passaggio di raccordo perfetto, sancito sia dall’importanza dello specchio come simbolo del doppio che dall’agghiacciante frase “You’re still with me. Good”. Altro elemento tipico e che inevitabilmente torna legato a Mr. C./BOB è il cortocircuito, la manomissione della realtà, dove il male che alimenta la Black Lodge ne trascende i confini e si concretizza visivamente nelle intermittenze, nella distorsione di luci ed ombre nelle stanze: ecco che la telefonata a Mr. Strawberry fa impazzire per alcuni minuti le attrezzature della prigione e l’unica cosa che riusciamo a percepire sono le altrettante oscure parole “The cow jumped over the moon“.

Twin Peaks – 3x05 The Return Part 5Inoltre Mr. C. e Dougie sono a loro volta un doppio, sia perché interpretati dallo stesso attore, sia perché incarnano letteralmente l’anima della serie, quel mix di orrore e umorismo da soap-opera tanto caro a Lynch e Frost. La giornata a lavoro di Dougie ha tinte divertenti quanto amare, in cui vediamo quali sono gli effetti dal ritorno dalla Black Lodge, in cui la logica e il senso si annullano e, anche una volta usciti, questi non riescono semplicemente a riemergere ma restano ancora dispersi, lasciando in eredità un corpo ridotto a mezzo di locomozione – cosa che neanche il potere del caffè riesce a ristabilire. Un altro punto interessante e ancora da scoprire è in quale giro losco era invischiato il “vero” Dougie Jones, questione che riusciamo solo a cogliere a tratti dall’isteria della moglie Janey (Naomi Watts) e da un ingente debito che i due avevano contratto. Ma è forse intorno a questo personaggio che più di tutti vediamo come, nonostante la pervasione fitta di situazioni apparentemente sconclusionate e frammentate, ci sia sempre una perfetta architettura a sorreggere tutto. Percepiamo infatti Dougie come un uomo mediocre nel lavoro e nella vita, forse attratto da cose più grandi di lui (da qui i suoi debiti, probabilmente) e incastrato in un matrimonio insoddisfacente: si inserisce così il personaggio di Jade, la stessa che ha in mano la chiave del The Great Northern Hotel di Twin Peaks, nello stato di Washington, che decide di lanciare nel vuoto di una cassetta della posta.

Intorno a questo nucleo principale ruotano poi tutta una serie di personaggi vecchi e nuovi. Uno dei più disturbanti è sicuramente l’ingresso di un misterioso uomo che incontriamo nel Bang Bang Bar, tale Richard Horne (Eamon Farren), la cui identità rimane ancora sconosciuta ma che in poche mosse promette di essere un elemento che non dimenticheremo. Poi ci sono altri personaggi nuovi che diventano l’eco perfetto del passato, come Becky, interpretata dalla brava Amanda Seyfred, figlia della sempre bellissima Shelly (Mädchen Amick).
Twin Peaks – 3x05 The Return Part 5Becky è a sua volta la proiezione della madre, volontariamente incastrata in una storia sbagliata con Steve (Caleb Landry Jones) e che riporta automaticamente alla storia di Shelly con Leo, ricordo che si complica e crea un legame quasi perverso con il passato quando riconosciamo nello scontroso potenziale datore di lavoro di Steve, quel Mike Nelson che al liceo era fidanzato con Donna, oltre ad essere amico di Leo e suo “compagno di droga”  – al duo manca solo il terzo elemento, ovvero Bobby, anche lui passato dal lato rispettabile della società. Passato e presente si mescolano, il senso del tempo anche nel mondo reale entra in cortocircuito, altra questione molto cara a Lynch e che tende ad essere rappresentata nei modi più svariati, come ad esempio nel momento dedicato a Lawrence Jacoby. Non c’è nessuna logica nelle sue parole, o in quella sorta di sarcastica e violenta presa di posizione contro le brutture della società, ed è significativo che sia uno psichiatra a pronunciarle, seppur eccentrico e ormai ritiratosi dalla professione; intorno ad una comunicazione politico-sociale, Jacoby inserisce una specie messaggio promozionale delle sue pale dorate, che gli abbiamo visto dipingere negli scorsi episodi e che, scopriamo ora, servono a farsi strada nel fango delle bugie in cui siamo immersi. Eppure, anche in questo caso, al di là di supposizioni e apparenze, quello che rimane è una sorta di discorso diretto al pubblico, che non ha didascalie o fini didattici, che non vuole necessariamente essere interpretato o incasellato, ma deve solo rimanere impresso, affascinare – come capita alle persone che lo stanno ascoltando.

E in fondo è esattamente questo Twin Peaks. Come dice giustamente l’articolo di A.V. Club sull’episodio: “Twin Peaks isn’t, and never has been, a procedural adorned with transcendental flourishes. The meaning has always been in the arcane, in the inscrutable, in the transcendental. The procedural elements are just the vehicle they ride around in. They’re the flashy details that get us to hop in for a ride, not the engine driving this thing”.
Sappiamo che David Lynch avrebbe voluto rilasciare l’intera stagione tutta insieme, perché ciò che aveva in mente era produrre un film di diciotto lunghe ore, una vera e propria esperienza o, ancora meglio, un viaggio all’interno di un mondo fatto esattamente di cose intangibili, difficilmente commentabili o analizzabili, perché come in tutte le grandi opere che si rispettino la semplice somma è sempre minore della vera totalità. Ma così non è stato: quindi siamo qui ad attendere ogni settimana l’imperdibile appuntamento e ad arrovellarci su cotanta bellezza e complessità, cosa che non era così affascinante da tempo.

Voto: 8

Note:

– Le indagini intorno ai cadaveri stanno andando avanti e i due elementi di rilievo sono l’anello di Dougie trovato nel corpo della bibliotecaria decapitata e lo studio sulle impronte digitali di Mr. C. portate avanti dall’agente Tammy Preston;
– Altro elemento importante è la strana conseguenza della telefonata di Mr. C. in un altro luogo, per cui una grande “scatola” nera si riduce in un piccolo quadratino;
– E infine, non si può non menzionare l’altro grande momento della puntata, sintetizzabile nella combinazione Sceriffo Truman, la moglie Doris e la questione del secchio.

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Informazioni su Sara De Santis

abruzzese per nascita, siciliana/napoletana per apparenza, milanese per puro caso e bolognese per aspirazione, ha capito che la sua unica stabilità sono netflix, prime video, il suo fedele computer ed una buona connessione internet


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4 commenti su “Twin Peaks – 3×05 The Return Part 5

  • Luigi Podesta'

    Recensione stupenda! Ma piccola richiesta nerdosa: alza i voti !Se no sembra che altre serie da voi recensite siano meglio! E non e’ possibile credimi non e’ possibile!

     
    • DanieleA

      Quanta verità nelle tue parole!!!
      Parliamo di alzare almeno 1 punto a recensione.
      Il fatto che non sia fruibile dalla massa non vuol dire abbassare il voto.
      Qui si parla di una serie unica, che farà storia e che nessuno, me compreso, avrebbe mai immaginato potesse essere.
      Devo ammettere che nei miei sogni speravo in un sequel come questo, l’unico possibile, ma viste le ultime produzioni mi ero messo l’anima in pace.
      Nonostante ciò Linch e Frost mi hanno stupito, superando qualsiasi mio desiderio.
      Non esiste una serie più disturbante ma soprattutto così ANTI-COMMERCIALE.
      Ave

       
    • Sara De Santis L'autore dell'articolo

      Ciao Luigi! Innanzitutto grazie. Per quanto riguarda i voti calcola che sono meramente numeri e quindi va da sè che un 8 dato a TP non può essere conforntabile con il voto dato ad una serie di tutt’altro genere! E poi dai, 8 è un voto di tutto rispetto 🙂

       
  • Genio in Bottiglia

    Mi permetto di aggiungere una riflessione a quelle che ho letto nella brillante recensione. TP 1 e 2 nella filmografia lynchiana nascevano in una fase maggiormente mainstream rispetto ad adesso. C’erano stati Velluto Blu e Cuore Selvaggio nei quali gli inserti onirici (un marchio di fabbrica per DL) erano al servizio della storia. TP 3 viene dopo (seppur molto distante da) Inland Empire, dove quegli inserti diventano la storia. L’impressione è che, sebbene vi sia un canovaccio da seguire, Lynch sia ormaii deciso a mediare di meno quello che probabilmente è lecito definire come il nucleo centrale del proprio cinema. In questo già mutato contesto, si inserisce il fatto che questa serie è anche la terza stagione di una selle serie più discusse e storiche della serialità. Lynch utilizza i perlopiù attempati attori (Madchen Amick e Peggy Lipton giocano in un’altra categoria da questo punto di vista) della vecchia serie come delle figurine, per ricreare una sorta di humus. Probabilmente è a TP che stiamo tornando, ma ho come l’impressione che il detour Lynchiano (e conseguentemente del suo feticcio MacLachlan) durerà ancora un po’.