BoJack Horseman – Stagione 4 5


BoJack Horseman - Stagione 4“You should give up on looking for enough because it will never be enough” dice BoJack in “Commence Fracking” rivolgendosi a  Hollyhock, una frase che, estrapolata dal contesto, potrebbe applicarsi al destino dell’intero show. Nonostante il talento dimostrato da Raphael Bob-Waksberg nel disegnare una Hollywoo struggente, la scrittura in grado di superarsi ogni stagione e le lodi sperticate ottenute dalla critica, BoJack Horseman continua a faticare nel dischiudere le porte del grande pubblico.

Il ritorno di un prodotto complesso e stratificato come il “cartone animato” di Netflix aveva aperto una serie di interrogativi: se le prime tre stagioni erano state un doloroso viaggio tra le ceneri del passato e i relitti del presente, in che modo portare avanti un racconto che sembrava aver raggiunto il proprio culmine in una terza stagione memorabile? La risposta si è rivelata tanto semplice quanto efficace, traducendosi in una leggera virata verso una narrazione  più corale e attenta a connessioni ed implicazioni temporali.

And I’m trying to hold on to my past
It’s been so long
I don’t think I’m gonna last.

BoJack Horseman - Stagione 4Dopo una première  caustica e strettamente collegata alla situazione politica degli Stati Uniti, “The Old Sugarman Place” rispolvera i toni agrodolci riportandoci dove avevamo lasciato BoJack più di un anno fa, invischiato nel profondissimo lutto per Sarah Lynn e alla ricerca di motivazioni alternative. Nello spazio di pochi minuti il martellante “Where’s BoJack?” della campagna pubblicitaria si trasforma in un “Chi è BoJack?”; e, soprattutto, chi o che cosa lo ha portato a diventare egoista, depresso, autodistruttivo, un veleno per tutti coloro che entrano in contatto con lui? Si introduce, quindi, il tema principale della stagione, il tempo, il quale sarà declinato e analizzato in vari modi e che per BoJack è un passato ingombrante e tentacolare che, anche a distanza di decenni, non molla la presa sul presente.

L’influenza del passato sul presente è resa concretamente dalla presenza di Beatrice Sugarman, la madre del protagonista che, per quanto inconsapevolmente, ritorna ad essere parte della vita del figlio. Anch’ella si ritrova a scontare il proprio debito con il tempo, afflitta da una demenza che nell’intenso e commovente “Time’s Arrow” contribuisce a raggiungere uno dei tre picchi espressivi della stagione. La tormentata rievocazione della gioventù che era iniziata in “The Old Sugarman Place” continua raccontando le forzature e le imposizioni di una vita borghese, l’apparente impossibilità di sfuggire alla coercizione della realtà, riecheggiando le parole di David Foster Wallace in occasione del famoso discorso alla cerimonia di laurea del Kenyon College. Parlando dei benefici degli studi umanistici lo scrittore definisce la libertà come “to exercise some control over how and what you think”, una possibilità inconcepibile per Beatrice, costretta dalla realtà ad adattarsi alle proprie configurazioni di base (default-settings). Le idee di libero arbitrio ed autodeterminismo sbiadiscono, affondate ed annegate dalle delusioni quotidiane.

BoJack Horseman - Stagione 4La convinzione ed il timore di ripercorrere lo stesso circolo vizioso dei genitori, di non essere in grado di elevarsi, fanno precipitare BoJack nei consueti abissi di autocommiserazione resi con singolare efficacia da “Stupid Piece of Sh*t”, il momento migliore del doppiaggio di Will Arnett (e il secondo picco stagionale). Tramite il monologo interiore di BoJack, nelle discrepanze tra pensiero ed azione, capiamo come la sola percezione di stallo e caduta non sia condizione sufficiente a modificare gli atteggiamenti del protagonista che, in assenza di uno scopo, convinto di aver messo in fuga ogni volto amico e disilluso dalle speranze di cambiamento, si lascia cadere nella solita spirale di egoismo alcolico ed incapacità di dare valore al tempo.
Il personaggio di Hollyhock diventa quindi l’ancora di salvataggio, il punto di partenza di un percorso di redenzione di cui possiamo immaginare gli sviluppi solo a partire dal finale di stagione. Il sorriso disteso sui cui iniziano a scorrere i titoli di coda di “What Time is it Right Now” è ben più consapevole e maturo di quello speranzoso con cui aveva riabbracciato la vita dopo il tentativo di suicidio nel finale della scorsa stagione. In attesa di essere smentiti dall’ennesimo ribaltone o gesto di autolesionismo, un epilogo così ottimista fa pensare ad un protagonista finalmente in grado di capire come la felicità dipenda soprattutto da lui, indipendentemente dalle ingerenze di un passato ingombrante e traumatico.

What if […] all the dentists were clowns?

Se da un lato il cambio di rotta verso un’impostazione maggiormente corale ha scongiurato il rischio della ripetitività, dall’altro non è riuscito ad impedire la sensazione di una – appena percepibile – diluizione delle idee migliori. Allontanare BoJack, fisicamente e moralmente, dal fulcro degli avvenimenti hollywooiani ha reso più difficile gestire i personaggi scritti in supporto al protagonista. Eccezion fatta per Princess Carolyn che in “Ruthie” esplora un’altra delle vette stagionali, a pagare il prezzo più salato sono Todd, Diane e Mr. Peanutbutter.
BoJack Horseman è sempre stato uno show dalle due anime, comico-satirica e drammatica, e ha tratto buona parte delle proprie fortune dalla capacità di integrarle in un prodotto coeso. Dopo il successo di una terza stagione in cui la vena umoristica era stata la spalla perfetta per la caduta rovinosa di BoJack, la convivenza tra le due identità si è rivelata più complessa, con una maggiore rilevanza concessa alla “linea comica”. Ferme restando le ottime idee sulle ambizioni politiche di Mr. Peanutbutter, le critiche alla società maschilista e guerrafondaia di “Thought and Prayers”, i clown dentisti o l’introduzione di Courtney Portnoy con l’unico scopo di costruire gli scioglilingua più incomprensibili, a mancare è stato un progetto comune, un fulcro su cui costruire un senso per le varie peripezie.

“And when I think about that, I think about how everything is going to work out”. […]
“But it’s fake”.
“Yeah, well. It makes me feel better”.

BoJack Horseman - Stagione 4Con “Ruthie” assistiamo alla migliore eccezione a quanto detto sopra, un episodio fedele allo spirito dello show che si lega a doppio filo al tema portante, ampliando il discorso sul tempo con un ulteriore punto di vista. Non è un caso che l’episodio stand-alone più riuscito tra quelli riguardanti i coprotagonisti sia anche quello che intrattiene il rapporto di continuità più stretto con il percorso di BoJack. Dispersa tra le ambizioni lavorative Princess Carolyn si ritrova a dover venire a patti con il tempo, o meglio con la sua esiguità, per poter continuare ad accarezzare il sogno di una famiglia; come si diceva più sopra non sempre abnegazione e preparazione sono sufficienti e il finale asprigno e malinconico è un’altra stoccata ai cuori pieni di speranza.

Grazie ad episodi come “Ruthie” BoJack Horseman sprigiona ottimismo per il prosieguo dello show. Pur mantenendo intatto il suo focus, la serie ha dimostrato di sapersi aprire ad un mondo più vasto e stratificato, inserendo nel suo habitat i crucci di altri protagonisti senza perdere in affilatura e precisione. Anche in “Time’s Arrow,” che si inscrive in una tradizione di meravigliosi penultimi episodi (“Downer Ending” e soprattutto “Out of L.A.” e “That’s Too Much, Man!”), la figura di BoJack è quasi completamente assente. La puntata si preoccupa di dare una chiusura al ciclo narrativo stagionale; costruita in una dolorosa commistione di passato e presente sui frammentari ricordi e sui rimorsi di Beatrice, è una perla di crudo e straziante realismo, in grado di centrare ed esplorare le conseguenze di un’epoca di silenzi e di odi gelidi e sussurrati, in cui i sentimenti andavano celati sotto un’ipocrita coltre di educazione e convenzioni.

Al netto dei piccoli inciampi nella gestione del palco dei personaggi, BoJack Horseman continua ad essere molto di più di un cartone animato su un cavallo antropomorfo. Capace di svariare lungo i punti dolenti del dibattito politico ed ambientale, dipinge l’insensatezza e la disillusione con pennellate che farebbero invidia ad un Grande Romanzo Americano.
Nel corso dei dodici episodi lo show non rinnega il percorso intrapreso, confermandosi una serie perturbante e catartica, in grado di far male raccontando le piccolezze e le infermità della vita di tutti i giorni.
“I grandi e gli umili hanno gli stessi accidenti, gli stessi dispiaceri, le stesse passioni; ma l’uno è al culmine della ruota, l’altro invece vicino al centro e così meno agitato da quel medesimo movimento” scrive Blaise Pascale nei suoi “Pensieri”. Ribaltando la prospettiva interessata del filosofo francese, è destino di ogni uomo restare invischiato in un pantano di sofferenze e delusioni. L’unica via di fuga, una volta imparato a conviverci, è riuscire a governare sé stessi e il proprio pensiero, contrattando col Tempo la propria felicità.

Voto: 8/9

Nota:
L’analisi di uno show complesso e stratificato come BoJack Horseman ha comportato la necessità di fare delle scelte per evitare una prolissità fastidiosa. Le evoluzioni di Todd e Diane, per quanto meno importanti ed integrate di quelle degli altri personaggi, e il personaggio di Hollyhock avrebbero meritato certamente qualche riga di approfondimento in più, soprattutto alla luce di un finale rimasto piuttosto aperto. Chi scrive ha preferito dare risalto alle storyline più riuscite, riservandosi la possibilità di discutere del resto nei commenti.

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5 commenti su “BoJack Horseman – Stagione 4

  • Pietro Franchi

    Bellissima recensione Davide!
    Sottoscrivo davvero tutto, anche gli occasionali difettucci che derivano anche dal fatto che si parla (senza accezione negativa) di una stagione un po’ di raccordo, per certi versi. Dopotutto con un’annata devastante come la scorsa alle spalle ci si trovava in primo luogo con un quadro molto più sparpagliato, e in più si sentiva un po’ il bisogno di tirar su BoJack (lavoro splendidamente fatto) dopo che aveva toccato il fondo. Una bellissima stagione, non perfetta quanto la scorsa, ma non ce n’era bisogno; l’unica cosa che mi è spiaciuta, come dici tu, è che avrei preferito un comparto comico più costruito e riuscito, come fatto nella scorsa ma anche nella stupenda seconda stagione (si pensi a “Let’s Find Out” e l’immortale J.D. Salinger!).

     
    • Davide Dibello L'autore dell'articolo

      Tutto giusto Pietro,
      hanno lavorato molto bene in prospettiva futura dove, oltre ad un paio di carte che non si sono giocati questa stagione (Diane e trovare una sistemazione a Todd), hanno davvero carta bianca. In un modo o nell’altro tutti i personaggi sono venuti a patti con la propria natura e, a meno di un poco profetizzabile snaturamento delle dinamiche distruzione-ricostruzione, c’è materiale per aprire un nuovo ciclo.

       
    • Francesca Anelli

      Io credo che questa stagione abbia fatto un lavoro difficilissimo, perché il finale della scorsa era arrivato ad un punto dal quale si poteva soltanto risalire (nell’ottica di un vero sviluppo narrativo, ovvio che nella vita spesso si va sempre più giù). E la risalita è la parte più difficile, perché la puoi svaccare in mille modi, non ultimo uno snaturamento del percorso precedente. Quindi sì, la stagione ha sofferto di qualche piccolo problema, e ammetto di essere rimasta inizialmente un po’ delusa dalla scelta di concentrarsi sul passato e su Bea (una scelta che a tratti ho trovato “troppo facile”), ma la conclusione di questo percorso è stata magistrale. Parlo soprattutto della soluzione scelta per Hollyhock e il suo rapporto con BoJack, ma ho trovato straordinario anche il lavoro fatto con Diane e Mr. Peanutbutter, in realtà più sul finale che “durante”.
      C’è materiale per il futuro, ma quasi vorrei che si fermasse qui. È una stagione meno d’impatto, con delle imperfezioni, ma forse più matura, e ho un po’ paura per quello che verrà dopo.

       
      • Davide Dibello L'autore dell'articolo

        Il lavoro su Diane e Mr. Peanutbutter è, secondo me, più di impatto che costruito. Non c’è un percorso che porti alla rottura o meglio c’è ma non sufficiente da giustificare la rottura. C’è proprio qualche piccola falla che pregiudica l’organicità generale (per esempio nel primo episodio in cui Hollyhock compare ha una caratterizzazione ben diversa da quella delle puntate successive e il fatto che sia una scelta legata alla costruzione dei momenti comici non giustifica) e ne hanno fatto le spese Mr. Peanutbutter e Diane che – è solo un mio parere – hanno subito un trattamento da ultimo episodio (Sceneggiatore 1: “Aiuto, abbiamo bisogno di un cliffhanger perchè la vicenda di Bojack si risolve bene”. Sceneggiatore 2: “Fermi tutti, ho un’idea: facciamoli lasciare, così, de botto, senza senso” sceneggiatore 3: “Genio!”).

         
        • Francesca Anelli

          Molto d’accordo su Hollyhock, un po’ meno su Diane e Mr. Peanutbutter. Secondo me hanno provato a costruire il loro malessere durante tutta la stagione, anche se non in maniera eccelsa. Il finale quindi ci sta, sebbene possa sembrare campato in aria. Forse non sono riusciti a rendere al meglio il disagio di Diane e quindi il tutto finisce per risultare poco sensato, però le basi ci sono ed è un discorso anche molto intelligente. Capisco comunque perfettamente il tuo punto di vista.