Il ritorno di Better Things – dopo una prima annata che ci ha stupiti in positivo per la cura con la quale ha rappresentato la vita di Sam Fox nel suo triplice e arduo ruolo di attrice, madre e figlia – riesce a superare le nostre aspettative alzando ancora di più l’asticella della qualità, attraverso una perfetta esplorazione di momenti profondi e introspettivi, capaci di donare alla narrazione un nuovo spessore. La rappresentazione della famiglia Fox torna infatti a farci divertire ed emozionare senza alcuno sforzo, perfezionando ulteriormente le proprie caratteristiche.
La struttura stessa della serie non si concentra sulla costruzione di una trama coerente e lineare, tutt’altro: ciò che viene messo in scena sono infatti singole esperienze quasi sempre separate dalle altre attraverso cui viene riversata sullo schermo la caotica quotidianità della protagonista. Brevi momenti, dunque, a cui la regia della Adlon riesce a donare un’intensità che trascende le stesse peripezie dei personaggi, aprendosi a un gran numero di letture e legandosi a temi spesso delicati e universali.
Dalle dinamiche di genere e relazionali fino al controverso rapporto fra madre e figlie, Better Things esplora dunque con rinnovata maturità il percorso della sua protagonista che, grazie alla spinta autobiografica di Pamela Adlon, si riconferma come uno dei personaggi più autentici fra quelli ora presenti nel panorama della serialità.
Pur seguendo la scia della prima stagione, il lavoro di quest’anno si dedica con molta più attenzione alla messa in scena degli scontri e delle incomprensioni che caratterizzano la realtà della famiglia, concentrandosi sugli stati d’animo contrastanti che ne conseguono. Molti, infatti, sono gli aspetti paradossali che Sam affronta nelle dinamiche familiari, in quanto l’amore per le proprie figlie si accompagna quasi sempre alla frustrazione che la protagonista prova nel prendersene cura: le ragazze – in particolar modo Max e Frankie – sono spesso difficili, incontentabili e crudeli. Affrontare ogni giornata cercando di dare il massimo per loro, ma con la consapevolezza che non è mai abbastanza, porta la nostra Sam all’inappagamento e alla stanchezza messi in luce nei primi episodi.
“I’m gonna rise up before I die, I die…” – Release Me (Corrina Repp)
“Rising”, in particolare, esprime bene quella voglia di staccare la spina e di liberarsi dalle continue e insistenti richieste delle figlie con la decisione di Sam di partire per la festa organizzata da Sunny: quale migliore occasione per godere di momenti tranquilli? Inaspettatamente, però, vediamo la protagonista abbandonare la festa e isolarsi in un motel vicino al mare; non è chiaro il motivo di questa decisione improvvisa, ma si comprende ben presto che, nella sua solitudine, tutto ciò che Sam vorrebbe è proprio la compagnia delle figlie.
Quei momenti armoniosi passati con le ragazze sulla spiaggia si rivelano essere infine solo una fantasia immaginata dalla protagonista che, sulle note di Corrina Repp, chiude la puntata con un’espressione pensierosa e indecifrabile. La delicatezza di questo finale privo di parole ci offre un episodio intenso e squisitamente introspettivo, che dimostra quanto Better Things possa raggiungere senza fatica vette qualitative molto alte. I pensieri che affollano la mente di Sam negli ultimi secondi della puntata si offrono bene alla libera interpretazione degli spettatori, ma ciò che senza dubbio “Rising” (e non solo) vuole suggerirci è che essere un genitore – specialmente un genitore single – è un ruolo da cui non ci si può mai davvero prendere una pausa. Anche nei momenti di maggior spossatezza o di maggiore “odio” nei confronti di Max, Frankie e Duke, la protagonista non riesce a tenere la propria mente e il proprio cuore lontani da loro nemmeno quando ne ha la possibilità, tradendo così quella solitudine e quell’intimità tanto agognate in precedenza.
Alla luce di ciò, l’espressione finale della Adlon potrebbe essere letta come una totale presa di coscienza di una situazione dai toni forse contraddittori: la protagonista non può e non deve annullarsi totalmente nel ruolo di madre, tuttavia l’individualità di Sam non sarebbe completa ora senza l’impegno e la fatica dedicati alle proprie figlie. Riuscire a conquistare un equilibrio fra questi due poli è dunque la sfida che la donna è chiamata ad affrontare ogni giorno della sua vita.
There’s no good end to this. It doesn’t get better.
L’analisi del rapporto madre/figlia è ampliata, in questa seconda stagione, dal decadimento fisico di Phil (Celia Imrie) e dalla vita lavorativa di Sam. Con “Phil” la serie si è rivelata in grado di riversare sullo schermo un argomento tremendamente triste e delicato con una leggerezza e un’autenticità che non si incontrano spesso. Qui, per la prima volta, la narrazione prende l’avvio dal punto di vista della madre di Sam: questa decisione permette agli spettatori di afferrare appieno la paura, la confusione e il disorientamento provati dalla donna di fronte alla consapevolezza di star perdendo parte del controllo del proprio corpo, ormai provato dalla vecchiaia.
Better Things affronta dunque un tema di cui (forse proprio per la sua amarezza) non si parla spesso, ma che in realtà ha toccato o toccherà la maggior parte delle persone: il prendersi cura di un genitore che invecchia. La puntata esplora con tremenda efficacia i numerosi stati d’animo provati da chi, all’affacciarsi dei primi segni di declino, deve occuparsi del proprio genitore con la dolorosissima consapevolezza che, da quel momento in poi, la sua condizione fisica non potrà che peggiorare. Come se non bastasse l’immenso dolore provocato da ciò, il tutto è inoltre aggravato dalla confusione che ne consegue, dai sensi di colpa che affiorano crudeli mentre si cerca di comprendere quale sia il modo migliore di agire e, infine, dalla paura di una morte che sembra ogni giorno più vicina.
“Phil”, in meno di mezz’ora, riesce a introdurre ognuna di queste sensazioni con una lucidità e una genuinità che non possono non stupire gli spettatori: le penne di Louis C.K. e di Pamela Adlon fanno sì che, alla fine della visione di puntate come questa, ci si senta emotivamente scossi senza riuscire a capire bene come siamo stati condotti in questo stato.
Anche in “Eulogy” il tema della morte la fa da padrone; la puntata si riallaccia alla precedente in seguito a una probabile riflessione da parte di Sam scaturita dalla situazione della madre. Il trauma provato dalla protagonista viene riversato così sulle figlie: ferita dall’ingratitudine di Max e di Frankie nei riguardi dei suoi sforzi e, soprattutto, dal loro sottovalutare il lavoro di attrice, una Sam quantomai frustrata costringe le ragazze a compiere la messa in scena di un funerale fittizio. Il forte bisogno di sentirsi apprezzata dalla propria famiglia prima che sia troppo tardi (“I don’t want to have to wait till I’m dead for my kids to appreciate me”) apre un episodio dai toni lugubri e surreali che, nella sua eccentricità, riesce infine ad emozionare profondamente il pubblico e gli stessi attori.
Questa ironica tragicità non può che dipendere anche dalla grande influenza di Louis C.K., elemento fondante di questa serie. Tuttavia, è chiaro che nella nuova annata il ruolo di Pamela Adlon sia divenuto molto più incisivo rispetto al passato; e questo non solo per lo stampo autobiografico dato al personaggio di Sam, ma anche perché l’attrice si è occupata della regia di questa seconda stagione. Tenendo ciò in conto e alla luce dei recenti avvenimenti riguardanti Louis C.K., il lavoro della Adlon ha ormai acquisito una tale autonomia e maturità da permetterle di prendere totalmente le redini dello show (rinnovato per una terza stagione) senza alcuno sforzo.
I’m not scared of you.
I toni surreali accompagnano la rappresentazione della famiglia Fox verso le puntate finali della stagione, introducendo anche degli elementi sovrannaturali. In uno splendido episodio come “White Rock”, infatti, ciò che a prima vista appare come un’aggiunta bizzarra, o quantomeno slegata dal tipico stile di Better Things, riesce ad incastrarsi senza fatica nel racconto, aprendo la strada a momenti di riflessione sul significato stesso della famiglia, sulla sua eredità e, soprattutto, sull’importanza di tenerla sempre unita. Le lontananze, i contrasti e i segreti mantenuti troppo a lungo nelle dinamiche familiari non potranno che corroderne l’unità e l’armonia; e la triste storia di Marion ne è un tragico esempio. Il fantasma senza pace della donna dimenticata sarà allora la personificazione, per le nostre protagoniste, del dramma portato da quei legami spezzati e mai ritrovati.
È proprio un legame spezzato – quello provocato da Xander (Matthew Glave), l’ex marito di Sam – a causare molte delle problematiche presenti in famiglia. Le conseguenze della sua assenza si percepiscono nella frustrazione delle ragazze e anche nella profonda paura di Sam nei riguardi di una nuova relazione (presente in episodi come “Robin” e “Sick”).
In “Graduation” Xander sferra il colpo di grazia alle poche speranze che le figlie riponevano in lui; tuttavia, la splendida scena finale dimostra a Max che non c’è davvero bisogno della presenza del padre, perché ormai Sam le sta già donando tutto ciò di cui ha bisogno, sostituendo all’affetto mai ottenuto da Xander quello di colleghi e amici che costituiscono l’allargamento di una famiglia che Sam ha costruito per lei e per le sue sorelle. Anche se ben diversa dalle dinamiche quotidiane, l’armonia presente nella coreografia finale sottolinea dunque la presenza di uno stretto e profondo legame che riesce a resistere nonostante tutto il resto, proprio perché continuamente rinnovato e alimentato dall’impegno di una madre che, seppur non perfetta, è sempre presente per le proprie figlie.
Con questa seconda stagione, in definitiva, Better Things compie un importante salto di qualità che permette alla serie di conquistare di nuovo un posto di tutto rispetto fra il novero dei prodotti seriali. Poggiandosi sulle salde fondamenta di una prima annata già ottima, lo show ha dimostrato infatti di possedere la maturità e lo spessore necessari per indagare a fondo numerosissimi temi – da quelli più leggeri fino a quelli più delicati – senza mai perdere alcun colpo.
Voto: 8/9