Philip K. Dick’s Electric Dreams – Stagione 1 Episodi 7-10


Philip K. Dick’s Electric Dreams – Stagione 1 Episodi 7-10Dopo una prima metà di stagione soddisfacente – ma non eccellente – vengono rilasciati, nei primi giorni del 2018, i quattro sogni elettrici rimanenti di questa prima annata dello show di Channel 4 distribuito da Amazon, la serie antologica basata sui racconti di Philip K.Dick. Il progetto, che ha fatto parlare di sé nei mesi passati, vorrebbe porsi come alternativa credibile nell’universo delle anthology series contemporanee, anche se pare destinata a rimanere in ombra rispetto alla sorella maggiore Black Mirror.

L’articolo si comporrà, come il precedente, di un’analisi singola per ogni episodio e, alla fine, di alcune considerazioni generali sull’intera stagione.

Kill All Others

Dick ha sempre avuto un debole per le distopie e le ucronie; lo dimostrano alcune delle sue opere più famose come “The Man In The High Castle – il quale è stato anche recentemente adattato da Amazon – ma anche, per rimanere all’interno di Electric Dreams, il pilot dello show stesso, “The Hood Maker”. “Kill All Others”, episodio scritto e diretto da Dee Rees (Mudbound, When We Rise) è ambientato proprio in un mondo distopico, nel quale il Nord America è un’unica nazione retta da un sistema monopartitico da tutti – o quasi – accettato e sostenuto. Philbert Noyce si mette in pericolo quando tenta di dimostrare come l’unica candidata (interpretata da Vera Farmiga) istighi i cittadini alla violenza verso chi la pensa diversamente dal regime istituito. Da sottolineare come l’autrice prenda nettamente le distanze dal materiale di partenza: il racconto del 1955 “The Hanging Stranger” presta pochissimo al plot di questo episodio, convergendo solo in parte sulla tematica trattata.

Philip K. Dick’s Electric Dreams – Stagione 1 Episodi 7-10 L’attenzione principale su cui la Rees lavora è evidente: Philbert è una mosca bianca che, accorgendosi di un’ingiustizia, vuole denunciarla con il rischio di destabilizzare l’equilibrio comodo e apparente nel quale vivono le persone che conosce e che, infatti, si schierano contro di lui. La critica sociale del controllo delle coscienze – con richiami orwelliani evidenti – è, tuttavia, macchiata da una risoluzione frettolosa e poco intrigante, una trama che segue binari fin troppo prevedibili e dei personaggi che non offrono alcuno spunto interessante, oltre a seguire una caratterizzazione poco convincente. La parabola discendente che travolge la vita di Philbert è rapida e raccontata in modo insipido, frutto di eventi che si conseguono senza una vera logica e che si concludono con un epilogo amaro, che vorrebbe colpire e indignare lo spettatore ma che, alla luce del reale contenuto dell’episodio, non riesce nel suo intento. Sembra quasi un episodio incompleto, che manca di fondamenta credibili sulle quali costruire il messaggio politico di cui vuole essere portatore: la società rappresentata, per esempio, viene mostrata solo in alcuni aspetti: il lavoro quasi interamente sostituito da macchine, la ricerca della felicità degli individui in surrogati virtuali come possono essere degli spot pubblicitari, il sistema politico – su cui si basa l’intera storia – che è, forse per scelta dell’autrice, raccontato in maniera molto vaga e confusa.

Voto: 5/6

Autofac

Interessante come “Autofac” sia stato più volte accostato dalla critica all’universo asettico e post-apocalittico di “Metalhead”, il controverso quinto episodio della quarta stagione di Black Mirror; in realtà, per chi scrive, a parte la collocazione temporale – che rimane comunque ambigua in entrambi i casi – e, vagamente, le ambientazioni spoglie e detritiche i due episodi non potrebbero essere più diversi. Se il primo fondava la sua trama esclusivamente sulla fuga per la sopravvivenza di una donna, il secondo attinge ad alcune tematiche classiche della fantascienza che non si basano esclusivamente sul confronto uomo/macchina. Scritto da Travis Beacham, diretto da Peter Horton e tratto dall’omonimo racconto di Dick, “Autofac” vede un gruppo di sopravvissuti affrontare una fabbrica auto-funzionante che, nonostante il disastro nucleare, continua a sfornare beni di consumo sopprimendo le risorse naturali della Terra di cui gli esseri umani avrebbero bisogno per la ricostruzione.

Philip K. Dick’s Electric Dreams – Stagione 1 Episodi 7-10Ciò che funziona molto bene in questo episodio, e che lo rende tra l’altro uno dei più riusciti della stagione, è la coesione narrativa che lega tutte le componenti che ne fanno parte, dalla trama – né troppo articolata ma neanche banale – ai personaggi – non indimenticabili ma adatti al tipo di racconto. Può essere stato un vantaggio l’aver sfruttato ampiamente il materiale di partenza: il racconto da cui è tratto, più lungo rispetto agli altri adattati in questi primi dieci episodi, segue principalmente le stesse fasi narrative, dal rapporto con l’interfaccia dell’Autofac al tentativo di controllarla. Beacham integra quanto di buono c’era nel materiale di partenza con un focus quanto mai azzeccato sul rapporto che si instaura tra la protagonista Emily – ottimamente interpretata da Juno Temple e Alice (Janelle Monáe), l’IA della fabbrica; un confronto che fa riflettere sul significato di umanità e che si interroga sulle possibilità di poter “creare” i sentimenti, chiedendosi se questi derivino o meno dalla componente biologica dell’uomo in quanto tale. Non è un tema originale – cinema e televisione sono pieni zeppi di produzioni fantascientifiche e non che si pongono lo stesso quesito, basti pensare in tempi recenti a show come Westworld o Humans –, ma “Autofac” riesce a creare un punto di vista per certi versi inedito e, soprattutto, che si presta perfettamente per la trama dell’episodio, il quale per forza di cose non può prendersi troppo tempo per esplorare la questione. Si può trovare fastidioso un finale forse troppo ottimista, che certifica la vittoria assoluta dell’uomo sulla macchina e che non lascia spazio ad eventuali dubbi di sorta.

Voto: 8

Safe And Sound

Bisogna contestualizzare questo episodio nel presente per capire al meglio l’obiettivo dei suoi autori: Kalen Egan e Travis Sentell, infatti, scrivono “Safe And Sound” pensando alla presidenza Trump e al ruolo degli USA nella lotta al “terrore” sul proprio territorio, riuscendo solo in parte a rappresentare un futuro possibile e, soprattutto, credibile.
In un domani non meglio identificato nel quale la società è divisa in caste, Foster e sua madre si trasferiscono in una grande metropoli; la ragazza tenta di inserirsi in una realtà nella quale lo Stato, per un controllo capillare del territorio che garantisca la sicurezza degli individui, utilizza dei bracciali che permettono di ottenere ogni informazione possibile da chi li indossa. È chiaro fin da subito come Foster cerchi la via dell’accettazione in questo nuovo mondo tentando di omologarsi alle sue regole, scontrandosi però fin da subito con l’idealismo della madre, fervente attivista politica che combatte proprio l’ingerenza esagerata dell’entità statale nelle vite dei cittadini.

Philip K. Dick’s Electric Dreams – Stagione 1 Episodi 7-10Omologazione o esclusione, il baratto della privacy per la sicurezza, la paura del diverso, l’emancipazione di una ragazza dalle sue origini, il controllo delle coscienze; sono queste alcune delle tematiche introdotte da un episodio che vuole essere troppe cose insieme e finisce per non identificarsi completamente in nessuna. La sceneggiatura, difatti, punta tutto sull’isolamento di Foster, che ripone cieca fiducia in quella che crede sia una semplice interfaccia virtuale ma che, con un flashback assolutamente inutile e non necessario, si scopre essere il collegamento diretto con un ufficiale governativo che la persuade ad incastrare la madre – probabilmente innocente – come terrorista. Questo finale, che dovrebbe completare l’episodio, non fa che renderlo ancora più vuoto di contenuti: il messaggio politico che gli autori vogliono lanciare è evidente – lo Stato crea il terrorismo, costruisce la minaccia e offre allo stesso tempo le misure di prevenzione per combatterlo chiedendo in cambio la privacy del cittadino – ma è talmente piatto e superficiale, raggiunto grazie a forzature narrative e scelte discutibili, da risultare fastidioso. Nemmeno la regia di Alan Taylor, apprezzato nel mondo televisivo per il suo contributo a show di grande livello come Mad Men, The Sopranos e Game Of Thrones, riesce a risollevare “Safe And Sound”, un episodio pretestuoso che naviga nella mediocrità e che condivide quasi nulla con il racconto da cui trae spunto (Foster, You’re Dead, 1955), il quale funzionava alla grande anche perché ambientato in un’epoca del tutto diversa.

Voto: 5

The Father Thing

L’ultimo sogno elettrico di questa prima stagione ci riporta ad uno dei topoi classici del genere fantascientifico: l’invasione aliena silenziosa, una certezza sin da L’invasione degli Ultracorpi (Don Siegel, 1956). Nell’episodio scritto e diretto da Michael Dinner, l’undicenne Charlie scopre che suo padre, a cui è molto legato, è stato rimpiazzato da una creatura proveniente dallo spazio; a credergli sono solo i suoi amici e, insieme, tentano di ribellarsi e fermare l’invasione.

Philip K. Dick’s Electric Dreams – Stagione 1 Episodi 7-10“The Father Thing” è il classico racconto di fantascienza che ci si aspetterebbe da una serie antologica di trent’anni fa: trama lineare per nulla impegnativa, personaggi abbozzati e vagamente stereotipati, atmosfera che ricorda i film per ragazzi degli anni 90. Eppure nella sua semplicità e quasi totale assenza di profondità l’episodio intrattiene, e lo fa grazie all’onestà della sua trama, assolutamente debole e non originale ma che ingenuamente ci riporta ad un tipo di narrazione che non esiste più. A caratterizzare parzialmente il piccolo Charlie c’è il rapporto con il padre (Greg Kinnear), che si muove anch’esso su binari prestabiliti e trova il punto di collegamento nel successo sportivo, da sempre simbolo della meritocrazia che contraddistingue la società statunitense.
Sarebbe bastato poco per trasformare l’omonimo racconto di Dick – adattato abbastanza fedelmente – in una storia più in linea con i tempi: con qualche spunto originale Dinner poteva sfruttare il contesto familiare nel quale si svolge la vicenda per parlare della contemporaneità, ma invece finisce per creare un omaggio sterile e privo di mordente che lascia perlopiù indifferenti.

Voto: 6+

Difficile riuscire a valutare l’intera stagione di Philip’s K. Dick’s Electric Dreams senza considerare la schizofrenia qualitativa che la caratterizza derivante dal fatto di avere autori e stili sempre diversi per ogni episodio, il che garantisce un’ampia varietà ma anche il dovere di analizzare ogni puntata in modo isolato. Tuttavia, se c’è una cosa non opinabile che emerge dalla totalità del progetto di Ronald D. Moore e Michael Dinner è l’estrema difficoltà di adattare i racconti di Dick, non solo perché molto brevi ma anche in quanto molto legati e radicati al periodo storico in cui li ha scritti, gli anni ‘50. Nessuno contesta l’avanguardia e il genio di un autore che ha saputo guardare al di là del proprio tempo, ma la fantascienza narrata in queste storie colpisce maggiormente un pubblico immerso nell’equilibrio del terrore del mondo bipolare, quei decenni di guerra fredda, nei quali ogni giorno poteva essere l’ultimo prima di un’apocalisse nucleare. L’opera di attualizzazione, quindi, non ha sempre funzionato benissimo: per alcuni episodi è stato peggio che per altri, e un materiale così ampio poteva sicuramente essere gestito meglio soprattutto dal punto di vista della varietà. La stagione risulta comunque godibile e può contare ottimi vertici (“The Commuter”, “Real Life”, “Autofac”) così come altrettanti fallimenti (“Crazy Diamond”, “Safe And Sound”).

Voto stagione: 7-

 

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Informazioni su Davide Tuccella

Tutto quello che c'è da sapere su di lui sta nella frase: "Man of science, Man of Faith". Ed è per risolvere questo dubbio d'identità che divora storie su storie: da libri e fumetti a serie tv e film.

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