Homeland – 7×01 Enemy of The State


Homeland – 7x01 Enemy of The StateAll’interno di un panorama televisivo in costante evoluzione, Homeland rappresenta uno degli ultimi baluardi di una tipologia di racconto legata per molti aspetti a un modo di fare televisione che sta cambiando radicalmente. Nonostante ciò, dopo sette stagioni e dopo innumerevoli passi falsi, Homeland resta ancora uno dei migliori prodotti in circolazione per osservare criticamente la nostra contemporaneità, sia in campo politico che sociale.

L’intento di approcciarsi alla realtà contemporanea con un taglio dichiaratamente fantapolitico ha spesso indotto gli autori della serie a costruire le ultime annate in maniera quasi antologica, in modo da poter allargare il più possibile lo spettro d’indagine. Questa stagione invece sembra una sorta di ritorno alle origini, nel senso che prosegue linearmente la narrazione a partire dallo scorso season finale, ma pare anche inaugurare un nuovo corso dello show: per la prima volta il nemico da combattere sembra essere interno allo Stato. Carrie Mathison, fulcro propulsore del racconto, è sempre stata – anche quando non lo era più – un’agente della CIA, agenzia governativa che per definizione ha il ruolo precipuo di operare all’esterno dei confini statali; a rigore di ciò le tematiche narrate hanno sempre avuto uno stretto legame con criticità e nemici provenienti dall’esterno.
Questo cambio di rotta, oltre a sviluppare una coerenza interna al racconto e all’evoluzione della protagonista, riesce anche a dare appello a una sensazione dominante nel nostro oggi: la degenerazione del meccanismo di terrore instauratosi a partire dall’11 settembre 2001 ha creato terreno fertile per il ritorno di un anacronistico totalitarismo? È solo una sensazione, oppure farsi questa domanda è semplicemente un meccanismo di difesa per non accettare che stia succedendo davvero?
Il finale della scorsa stagione e questa premiere tessono le fila di un racconto che prova a dare uno scenario concreto a queste domande, ponendo un’ulteriore questione: il vero nemico dello Stato è lo Stato stesso? Ma cosa ancora più interessante è che tutto ciò viene analizzato anche attraverso le derive che tali timori creano all’interno del tessuto politico e sociale: la ricerca spasmodica della verità – intesa come concetto assoluto – e la tendenza a cedere a un cospirazionismo fine a se stesso. Usare questa duplice prospettiva narrativa – analizzare i timori e la loro degenerazione – è stata una delle più importanti intuizioni della scorsa annata, purtroppo sviluppatasi solo sul finire della stagione; se – come questa premiere sembra confermare – ci si addentrerà in questa modalità narrativa, magari perfezionandola, Homeland potrebbe davvero iniziare un suo nuovo corso, potente quanto il primo, ma forgiato e spossato dal peso dei sette anni trascorsi.

You better hope it’s your illness.

Homeland – 7x01 Enemy of The StateI sette anni trascorsi sono oltremodo evidenti anche per la nostra protagonista, che non ha perso minimamente il suo smalto ma si ritrova in una condizione completamente diversa dagli esordi. Ciò è evidente se notiamo che Carrie è tornata nella sua posizione ideale: sola contro tutti, persa nella ricerca di qualcuno in grado di ascoltare la sua voce e concretizzare le sue intuizioni. Nonostante ciò, c’è qualcosa di molto diverso tra questa Carrie e quella delle prime stagioni: il ritrovato ruolo di madre, la presa di consapevolezza della sua malattia, ma anche il peso di una vita vissuta in trincea, a cui son seguiti una serie di eventi emotivamente debilitanti. Niente di tutto ciò è esplicito, anzi; la vediamo correre per la scena con addosso la stessa frenesia di sempre, vagare con la stessa testardaggine e quella punta di dispotismo che la definiscono alla ricerca di un pulpito da cui sgominare una delle più estese violazioni dei diritti civili nella storia degli Stati Uniti. Tuttavia, c’è qualcosa che non funziona: non solo non riesce a convincere la sua fonte a collaborare con il senatore Paley, ma per provarci mette sua nipote e sua figlia in una condizione di insicurezza. Due errori di valutazione che né la vecchia (l’agente della CIA) né la nuova (la madre equilibrata) Carrie avrebbero mai fatto.
Carrie sembra come sperduta in un bipolarismo non solo clinico, ma emotivo, una sorta di crisi esistenziale dovuta alla perdita di tutti i suoi punti di riferimento: lo Stato, la democrazia, la CIA, Saul e soprattutto Quinn. Dato che per tutto l’episodio non c’è un solo riferimento alla morte di Quinn, è difficile pensare che sia una scelta narrativa fine a se stessa, quando sembra invece un’omissione tesa ad amplificarne l’assenza: il silenzio su Quinn è come un urlo soffocato che si propaga attraverso la frenesia con cui Carrie compie più di uno sbaglio, quell’agitazione che la porta ad agire – sebbene in maniera speculare – con la stessa qualità energetica che connatura l’ansia di ‘giustizia’ della Presidente. Entrambe sono alla ricerca della verità, ma entrambe la cercano con una assolutezza che ne snatura il valore. È come se tutto fosse diventato una questione personale: l’attentato alla sua vita per la Keane e la perdita di Quinn per Carrie sembrano a volte più importanti di quel senso di giustizia invocato da entrambe.

What was under attack that day wasn’t just me or the office of the Presidency, but our very democracy
itself.

Homeland – 7x01 Enemy of The StatePiù volte la Presidente accenna al suo attentato come a un attacco alla democrazia stessa, appigliandosi a questo assunto per dare una giustificazione alla severità della sua condotta. Ma è proprio l’irrazionale accanimento mostrato nel perseguire i possibili responsabili dell’attentato che pone in serio dubbio la difesa della democrazia, soprattutto perché un atteggiamento del genere non mina solo il principio di legalità, ma degrada completamente le stesse istituzioni democratiche. C’è come una dirompente paura di base legata in maniera ambivalente a quell’ossessiva ricerca della verità assoluta che degenera in cospirazionismo di cui abbiamo già parlato. Se da un lato abbiamo un O’Keefe, perseguitato politico che vaga da una parte all’altra del paese urlando in streaming le sue teorie complottiste – riscuotendo anche l’ammirazione di parte delle forze dell’ordine che lo salvano dalla cattura –, dall’altro lato abbiamo la Presidente degli Stati Uniti d’America, il capo del mondo libero, che cerca la sua verità e, conformemente al suo stato, è decisa di imporla all’intero Paese. O’Keefe e la Keane sono come due facce della stessa medaglia, con la sola differenza che Elizabeth ha in mano il potere di ergersi a giudice supremo degli eventi.
L’evoluzione di Madame President è tutt’altro che lineare, e – sebbene la sua caratterizzazione pecchi di alcune frettolosità riscontrate nella scorsa stagione –, è difficile pensare che la linea di governo paventata agli esordi non sia il suo reale obiettivo; tuttavia la piega presa dal corso degli eventi ha instillato una radicale mutazione, non d’intenti ma dei mezzi utilizzati per ottenerli, snaturando completamente il valore delle sue stesse intenzioni. Non c’è alcuna lucidità nelle sue azioni, e – soprattutto alla luce del finale dell’episodio – non le è rimasto neanche un minimo di umanità. Se è vero che per costruire bisogna distruggere, la Presidente ha forse dimenticato di chiedersi: con quale criterio? A quale prezzo?

Put the country first.

Homeland – 7x01 Enemy of The StateC’è qualcuno che invece, molto presumibilmente, queste domande se le fa ogni giorno e, in termini meno espliciti, le fa anche alla stessa Elizabeth: David Wellington. Nuovo chief of staff, personaggio ambiguo, riesumato dalla Presidente da un esilio politico di cui non ci è data notizia, è una delle new entry più interessanti della stagione. Mosso costantemente dalla preoccupazione per il comportamento della Presidente – più volte chiamata semplicemente Elizabeth, fino a quando non arriva l’ammonizione –, la sua apparente funzione è quella di far da ago della bilancia, alla ricerca di un equilibrio continuamente in pericolo. Sembra proprio questo il suo intento quando nega di poter aiutare la Presidente a “risolvere” il problema di McClendon e si reca da Saul in cerca di un sostegno. Tuttavia, questo candore potrebbe anche essere una facciata, soprattutto alla luce delle indagini di Carrie e della pista su di lui che avrebbe voluto condividere con il senatore Paley. Ma al di là delle diramazioni tematiche, il personaggio di Wellington sembrerebbe essere il medium strutturale per la creazione di un nuovo cortocircuito che, molto probabilmente, investirà sia Saul che Carrie.

Per quanto questo episodio conservi il carattere proprio di un inizio di stagione, l’aver creato un continuum diretto con lo scorso season finale dà alla narrazione un ritmo più sostenuto rispetto alle premiere delle ultime annate della serie.
“Enemy of the State” è un episodio introduttivo, cadenzato, ma allo stesso tempo atto a ridefinire le posizioni nello scacchiere di un conflitto che ha le qualità necessarie per erompere in tutta la sua potenziale forza. Tuttavia, la chiave dei possibili dubbi su questa nuova annata sta proprio nell’aggettivo ‘potenziale’, perché, sebbene sia troppo presto per poter additare difetti, resta il timore che, ancora una volta, Homeland possa sprecare delle buone intuizioni peccando in una grossolana realizzazione.

Voto 7+

 

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