The Handmaid’s Tale – 2×03/04 Baggage & Other Women 3


The Handmaid’s Tale - 2x03/04 Baggage & Other WomenDi culti e di sette ne è pieno il mondo e ne è stata piena la storia, anche quella recente. Lo ricorda amaramente Wild Wild Country, il recente documentario dei Duplass sulla vicenda Osho che ha scosso l’America degli anni Ottanta, per esempio. Dalla realtà alla fiction il passo è breve, anzi brevissimo: The Handmaid’s Tale, infatti, ha messo in scena in modo egregio tutte le caratteristiche dell’isteria religiosa nella forma narrativamente vincente – e avvincente – della distopia, dipingendo la macabra rappresentazione di un mondo dove la figura femminile è oppressa e privata di ogni diritto naturale.

Nella prima stagione il mezzo attraverso il quale raccontare questa storia è stato lo sguardo di Offred, il cui nome porta in sé già la definizione di un’identità che non appartiene a se stessa ma a qualcun altro. Come fosse un’incubatrice vivente, l’ancella deve difatti vivere in virtù del suo ruolo di procreatrice e null’altro, annullando ogni caratteristica propria e ogni desiderio di libero arbitrio. La crudeltà di questa schiavitù istituzionalizzata è stata sempre più mitigata, nel corso della prima annata, dalle speranze crescenti che hanno portato infine Offred a fuggire nel primo episodio della seconda stagione e a riappropriarsi del proprio nome e del proprio corpo, come dimostrano i gesti che compie (brucia gli abiti, si auto-mutila). “Baggage” riprende la narrazione proprio da June, non più Offred, che si libera dalle catene del regime di Gilead e comincia ad assaporare la possibilità di fuggire definitivamente in Canada.

2×03 “Baggage”

The Handmaid’s Tale - 2x03/04 Baggage & Other WomenNon è tuttavia così facile liberarsi dei “bagagli” a cui allude il titolo dell’episodio. La fuga da Gilead deve essere prima di tutto una liberazione della mente, un lasciarsi alle spalle il dolore e i traumi del periodo vissuto nella gabbia della teocrazia monoteista. È un percorso difficile anche per chi si trova già fisicamente al sicuro come Moira che, pur non dovendo temere più per la sua vita e potendo vivere la sua sessualità in completa libertà e autonomia, non riesce ancora a farsi una ragione della sofferenza indicibile a cui è stata costretta fino a pochi mesi prima. Anche in questo caso torna prepotente il discorso sull’identità: Moira è ancora in parte Ruby e, per quanto possa sperare di liberarsene, probabilmente non ci riuscirà mai del tutto.

Il bagaglio di June è principalmente la sua maternità: se la fuga infatti diviene per lei una possibilità sempre più tangibile, lo stesso non si può dire per Hannah, che rimane prigioniera di Gilead. Da qui si origina la dolorosa scelta della protagonista nel finale dell’episodio, costretta ad abbandonare le pochissime chance di rivedere la figlia in virtù dell’abbandono di quella terra maledetta che l’ha privata anche di tante altre cose, tra cui la dignità.

Prima di arrivare a questa decisione, però, la traiettoria del viaggio di June passa attraverso la vita della famiglia di Omar, utile soprattutto a mostrare un aspetto della società che ancora mancava nella serie, e il ricordo di Holly, quest’ultima nell’ottica di un parallelismo un po’ forzato sul rapporto madre-figlia. Dal primo incontro il personaggio di Elisabeth Moss entra in contatto con un punto di vista nuovo sulle figure delle ancelle (la moglie di Omar, infatti, dice di non capire come si possa cedere il proprio figlio, dimostrando come non sia ben chiaro all’esterno ciò a cui le ancelle sono sottoposte e soprattutto la loro impossibilità di decidere a riguardo); allo stesso tempo June capisce anche la difficoltà di un nucleo familiare – che oltretutto è molto simile a quello di cui faceva parte lei – a sopravvivere, essendo costretti a crearsi una routine “di facciata”, che lasci tutte le pratiche considerate anti-regime ben nascoste sotto il letto. Il ricordo di sua madre, invece, vuole in parte raccontare per la prima volta la dimensione di “figlia” di June – dopo che l’abbiamo vista in tutti i modi in quella di genitore – e in seconda battuta mostrare la delusione delle aspettative che Holly, attivista e convinta femminista, aveva per lei.

Laddove Kari Skogland, regista sia di questo episodio che del successivo, fa un ottimo lavoro – non facile visto che ci si allontana dalle atmosfere e dagli ambienti tipici della serie –, è la scrittura di Dorothy Fortenberry a difettare, rendendo questo episodio, seppur buono e in linea con la qualità media dello show, meno scorrevole e meno interessante di quanto avrebbe potuto essere. Per esempio, avrebbe avuto senso esplorare maggiormente la mitologia interna che regola la vita delle famiglie medie di Gilead – cioè quelli che non appartengono all’èlite, come Omar – e la figura semisconosciuta per i non lettori delle Economogli, che nell’episodio viene a malapena accennata; allo stesso modo sarebbe stato meglio donare maggiore profondità e armonia alla combinazione tra la fuga di June e i flashback sul rapporto con la madre, alle volte poco utili e pesanti sull’economia dell’episodio.

2×04 “Other Women”

The Handmaid’s Tale - 2x03/04 Baggage & Other WomenÈ chiaro dunque che questa seconda stagione si vuole configurare come una lotta per la riappropriazione di sé, laddove il continuo passaggio di identità di June/Offred è paragonabile a quello di un tiro alla fune. Dove la forza d’animo e la volontà di essere libera spingono la donna a cercare la fuga, la forza soggiogante e psicologicamente temibile delle gerarchie di Gilead cerca di riportarla nel proprio sistema di rigide leggi volte ad annullarne l’umanità. Queste forze sono rappresentate da Lydia e Serena, le donne di cui si parla nel titolo dell’episodio.

Il ritorno in casa Waterford può sembrare un vero e proprio reset narrativo, ma chi pensava davvero che June sarebbe riuscita a fuggire in Canada? Certo, avendo scelto di lasciar fuggire la protagonista e avendola portata ad un passo, letteralmente, dalla libertà, gli autori avrebbero anche potuto sfruttare il maggior tempo a disposizione – tredici episodi invece dei dieci dello scorso anno – per sviluppare una parte di racconto “on the road”; con June incinta in fuga ne avrebbe giovato un lato più action che, sebbene non sia nelle corde dello show, avrebbe rappresentato una divertente variazione di ambienti e di narrazione.

Niente da fare, dunque; con la promessa di buona condotta June – che rivendica con forza il suo vero nome anche nel faccia a faccia con Aunt Lydia – può tornare a vivere nella casa da cui era fuggita, con la famiglia a cui sarà costretta a lasciare il bambino che porta in grembo. Forte della protezione garantitale dal suo stato interessante, la protagonista è un personaggio più sicuro di sé – si permette addirittura di contro-minacciare la signora Waterford – ma anche disilluso, sapendo che non avrà facilmente un’altra possibilità di andarsene da Gilead. In questo precario equilibrio psicologico si insinua la scaltrezza e l’opportunismo del regime che estrae una delle armi più potenti che ha a disposizione: il senso di colpa.
Un cadavere appeso non è un’apparizione rara per June, ma in questo caso si tratta di qualcuno che si trova in una situazione conseguente ad una sua azione. La donna comprende che ogni suo passo, ogni suo desiderio, per quanto legittimo, ha portato con sé una serie di conseguenze inimmaginabili per qualcun altro; esattamente come i flashback riportano alla sua storia d’amore con Luke, che distrusse la vita della moglie.

The Handmaid’s Tale - 2x03/04 Baggage & Other WomenA far scattare qualcosa nella psiche, già messa a dura prova, dell’ancella si aggiunge l’inquietante baby shower organizzato da Serena, volto a celebrare la miracolosa gravidanza. La moglie del comandante appare nel suo momento di massima tensione, sull’orlo di una crisi e di un’invidia sempre crescente nei confronti di June; da brividi la scena in cui accarezza il ventre della protagonista per poter provare quelle sensazioni che la natura le ha precluso.

Il finale di questo ottimo episodio, che richiama le atmosfere più canoniche dello show, lascia presagire un futuro quanto mai incerto sulla condizione di June. È possibile che casa Waterford torni ad essere il palcoscenico privilegiato della serie come lo scorso anno, ed è ancora più probabile che tutta questa annata sarà concentrata sull’intero periodo della gravidanza dell’ancella. Per quanto riguarda la sua salute psicofisica, nulla è pronosticabile.

Voto episodio 3: 7 –
Voto episodio 4: 7/8

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Informazioni su Davide Tuccella

Tutto quello che c'è da sapere su di lui sta nella frase: "Man of science, Man of Faith". Ed è per risolvere questo dubbio d'identità che divora storie su storie: da libri e fumetti a serie tv e film.


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3 commenti su “The Handmaid’s Tale – 2×03/04 Baggage & Other Women

  • Gioele

    Bella recensione. Non riesco comunque a comprendere come mai continuate a dare voti relativamente bassi a una stagione che personalmente trovo (finora) tra le migliori viste in televisione negli ultimi anni…

     
    • Davide Tuccella L'autore dell'articolo

      Ciao Gioele, sono contento che tu abbia apprezzato l’articolo 🙂

      Guarda, per quanto riguarda i voti, tolto il fatto che come assegnarli è sempre appannaggio dell’autore dell’articolo quindi io posso parlare solo per quanto riguarda i miei metri di giudizio, io considero oltre che quella che per me è la qualità in sè dell’episodio a livello di struttura, caratteristiche tecniche e scrittura anche il tipo di serie che sto guardando. Cerco di essere consapevole di quello che un prodotto è e quello che vorrebbe essere, o che aspira ad essere. Ad esempio The Handmaid’s Tale si pone come obiettivo non solo quello di raccontare la storia di un’ancella che cerca di sopravvivere e scappare da un regime distopico di stampo religioso, ma vorrebbe essere un’allegoria del ruolo della donna nella società contemporanea; in generale è una delle tante serie che aspirano a raccontare la nostra realtà attraverso la finzione. Da questo punto di vista questa seconda stagione, a mio parere, non è mai andata oltre un 8 (e infatti ho dato un 7/8 in questo articolo) un po’ per la ripetitività di certi temi, affrontati quasi sempre nello stesso modo, un po’ per la minore incisività rispetto alla prima annata nel saper gestire genuinamente e senza presunzione i caratteri dei personaggi.
      Per farti un esempio diametralmente opposto, dovessi recensire Game Of Thrones, il giudizio prenderebbe in considerazione una scala di valori molto diversa.

      Il discorso è stato forse un po’ confuso, ma spero che tu abbia capito il mio punto di vista 😀

      A te come mai questa stagione sta piacendo così tanto?

       
      • Gioele

        Capisco il tuo punto di vista. In effetti nel valutare un’opera credo che abbiamo priorità diverse. Importante per me non è tanto come e in che misura una serie rispecchia la nostra società, ma piuttosto quanto la regia scava nell’animo umano. Se magari a sprazzi The Handmaid’s Tale non eccelle nella scrittura, in questa stagione la regia l’ho trovata curatissima (soprattutto nelle puntate dirette da Mike Barker) e, contrariamente alla tua opinione, i caratteri dei vari personaggi sono davvero ben gestiti e la messa in scena ne è al loro servizio. È incredibile quanto lo stato d’animo di June/Offred in particolare sia reso così bene!
        Oltre a ciò questa stagione ci continua a regalare una fotografia stupenda e dei singoli episodi azzeccatissimi (ma magari in questo caso il merito va al libro che non ho letto).
        Insomma, paragonata ad altre serie di qualità ma comunque troppo “commerciali” (hai citato GoT, ma anche Westworld e altre), The Handmaids Tale non può che spiccare per la sua qualità artistica.