Castle Rock – Stagione 1 1


Castle Rock - Stagione 1Quella che si pensava essere una serie estiva di puro intrattenimento si è trasformata in uno dei fenomeni di quest’annata televisiva. Castle Rock ha vinto la scommessa in cui forse pochi credevano (complici gli infelici adattamenti, soprattutto televisivi, delle opere di King), trasformandosi nella più fedele trasposizione della poetica dello scrittore originario del Maine.

Ci volevano due semi-esordienti come Sam Shaw e Dustin Thomason, sfegatati fan del re dell’horror, e un nerd come J.J. Abrams (che già in Lost e nel suo Super 8 strizzava l’occhio a qualche tematica dell’universo kinghiano), per mettere insieme qualcosa che restituisse l’anima della bibliografia dello scrittore americano, e che non fosse solo un gioco a trovare i riferimenti a storie che ormai popolano anche il nostro immaginario collettivo. L’operazione messa in scena da Hulu (già protagonista del solo parzialmente riuscito adattamento di 11.22.63) potrebbe ricordare vagamente Penny Dreadful, nel suo mettere insieme echi di storie e personaggi diversi tra loro, ma si parla forse di un prodotto più vicino a quello che FX ha fatto con Fargo e la poetica dei Fratelli Coen: creare una storia indipendente e coerente, che esalti però le tematiche care all’autore di riferimento.

Alla base, è innegabile un lavoro di studio e analisi che ha permesso ai due autori di omaggiare lo scrittore non solo a livello superficiale, ma scandendo la storia con i suoi stessi ritmi narrativi (il lento costruirsi della narrazione, le digressioni narrative) e rendendo giustizia al suo immaginario descrittivo. I più attenti lettori sapranno, infatti, quanto per King la luce sia importante, soprattutto nel dare un’aura irreale e quasi metafisica ai suoi luoghi (basti pensare alle eclissi, le tempeste, gli incendi che cambiano completamente i colori di una cittadina); allo stesso modo il lavoro fatto sulla fotografia dalla produzione nel dipingere i luoghi di Castle Rock è esemplare, così come quello eseguito con la luce sul corpo e il volto di Bill Skarsgard nel renderlo in ogni inquadratura ancora più inquietante.

Castle Rock - Stagione 1Con il suo finale, Castle Rock completa un percorso non certo privo di imperfezioni, ma che riesce a chiudere il cerchio in maniera soddisfacente, lasciandoci con un senso di disagio tipico dei lavori più riusciti di Stephen King.  I romanzi dello scrittore sono sempre caratterizzati da una morale che viene messa in discussione: pensiamo a Dolores Claiborne, che altro non è che una lunga confessione di un omicidio scritta in prima persona, che ci spinge a chiedere se la donna protagonista sia davvero da condannare per ciò che ha fatto. Anche Shaw e Thomason riportano sullo schermo un’umanità che ha bisogno di creare innocenti e colpevoli, vittime e carnefici, un sistema di giudizio (e di giustizia), che però in ogni occasione sembra crollare di fronte al demono più pericoloso: il dubbio. E con questo la serie di Castle Rock ci lascia: non sapremo mai se The Kid sia un innocente strappato ad un altro mondo o il diavolo in persona. Quello che ci rimane è una storia in cui i ruoli di vittima e carnefice si invertono di continuo, lasciandoci un senso di inesorabile ciclo senza fine che tende a ripetersi in eterno (“The best place to end a story is where it began”).

Il dubbio è ciò che ha consumato Lacey per 27 anni, fino a spingerlo al suicidio forse proprio per il timore di aver tenuto prigioniero in una gabbia un innocente per così tanto tempo (e il finale ci lascia intuire che un giorno anche Henry possa andare incontro allo stesso destino). Nessuno dei due riesce ad uccidere quel ragazzo, perché il peso del dubbio sulla decisione che dovrebbero prendere è più forte di qualsiasi altra cosa (“How much doubt are you folks comfortable with?”). La tridimensionalità dei personaggi di King nasce proprio dalla carica malinconica dei loro dilemmi morali, dal peso delle conseguenze che devono sopportare per le decisioni prese (o non prese) e il fardello di dover rimanere sempre con l’incertezza se abbiano fatto o meno la scelta giusta. Ed è questo che Shaw e Thomason hanno saputo riportare nei loro protagonisti, da Ruth che guarda se stessa nel passato e la implora di scappare via dal marito, fino a Molly che si chiede come sia la versione di se stessa nell’altro mondo, se lì sia stata capace di sconfiggere le proprie debolezze e paure.

Castle Rock - Stagione 1Castle Rock è prima di tutto una storia sull’imperfezione umana, che fin dalla nascita è condannata a convivere con le decisioni figlie del dubbio e le conseguenze da cui non può tornare indietro. Il passato non si può cambiare (come dimostra Jake Epping in 11.22.63), l’idea di un altro mondo in cui siamo più felici rimane una speranza (“I want to” risponde Molly quando The Kid le chiede se crede alla sua storia) e i ricordi, come quelli di Ruth, costituiscono solo un rifugio destinato a cadere sotto la forza del demone più potente che aleggia su tutta la letteratura horror di Stephen King: il tempo. Nel modo di reagire al dubbio, nella necessità di sopravvivere alle scelte che facciamo, c’è tutto lo spettro morale in cui si muovono i personaggi King, che viaggiano in continuazione tra meschinità, iprocrisie, coraggio ed innocenza. Chi rinchiudere in una gabbia? Chi condannare? A chi spetta la scelta di decidere se si è colpevoli o innocenti? Di nuovo, è il dubbio a divorarci e la frase finale con cui Castle Rock si conclude lo evidenzia:  “After a while you forget which side of the bars you’re on.”

King non è mai stato un estimatore della società: ogni comunità che ci ha descritto nei suoi libri è un covo di meschinità ed egoismi, in grado di trovare una sua unità solo nel bisogno comune di lavarsi la coscienza e trovare un colpevole per il proprio fallimento. In questo, Castle Rock sembra voler parlare molto del nostro presente, e lo fa alla maniera di Stephen King, utilizzando il soprannaturale come specchio del male endemico ad un’umanità che non sa vivere insieme. Che siano vampiri, demoni, una cupola apparsa dal nulla, o l’arrivo in città di uno straniero misterioso, non importa: se il soprannaturale accende la miccia, la scia di morte che segue a Castle Rock, Jerusalem’s Lot, Chester’s Mill, Little Tall Island e Derry è sempre frutto di un’implosione della comunità dall’interno più che il reale effetto di un’azione malvagia esterna. Henry Deaver nel bosco non affronta il Diavolo, Henry Deaver affronta Henry Deaver e, nel ricordare l’omicidio del padre, improvvisamente vede riflesso il mostro che è in lui.

L’errore che molti adattamenti di King hanno commesso è lasciarsi affascinare dall’elemento soprannaturale e dal mistero che permea la narrazione, dimenticando la portata metaforica che esso possiede. The Shining (il romanzo) non è la storia di un uomo portato alla follia dai fantasmi di un albergo, ma la storia di una violenza domestica in cui l’uomo (proprio come Matthew Deaver) elabora i propri demoni e il proprio fallimento come colpa da rigettare sulla moglie e sul figlio. Castle Rock dimostra di aver imparato la lezione e, richiamando proprio The Shining (il film, stavolta), connette il soprannaturale con la frustrazione di un uomo che decide di uccidere la moglie in nome di una presunta voce di Dio che lo spinge ad eliminare la causa esterna di tutti i suoi mali.

Castle Rock - Stagione 1Henry Deaver si trasforma così in un altro degli eroi dannati della letteratura di King, la cui bussola morale è macchiata da un gesto che li perseguiterà per tutta la vita. Henry Deaver è Dolores Claiborne (e la scena della scogliera richiama molto quella del pozzo con protagonista la donna), ma Henry Deaver è anche John Smith (The Dead Zone), Paul Edgecomb (The Green Mile), Mike Anderson (The Storm of the Century) e tanti altri, eroi costretti a sacrificarsi per il bene altrui e costretti a commettere azioni che li condanneranno alla morte o ad una vita di isolamento, di rimpianto e dannazione, eroi che la società sacrifica e a cui volta le spalle per non ammettere le proprie colpe e i propri peccati.

In un mondo che per King non ha speranza, c’è però un’idea romantica di fondo di lotta e ribellione che pervade la sua letteratura, e che di nuovo gli autori di Castle Rock hanno saputo inserire all’interno della loro storia. L’amore (e ancora più importante per King, l’amicizia) non rappresenta l’antidoto o la risoluzione al male, ma pur sempre un rifugio, un conforto temporaneo che spesso ha i connotati del sogno: la felicità di Molly si realizza in un mondo che forse non esiste, così come l’amore tra Ruth e Alan si concretizza solo in un’altra dimensione o in una memoria destinata ad essere divorata dal tempo (come accade nei ricordi dell’infanzia di Stand By Me).

Nell’ultimo dialogo tra Henry e Molly (forse il personaggio più puro e innocente dell’intera serie) e nel modo in cui egli la spinge ad andare via e iniziare una nuova vita, c’è tutto l’invito di King a continuare a lottare nella nostra intimità contro un mondo pervaso eternamente dal male. Come scriveva in IT: “Get a little rock and roll on the radio and go toward all the life ther is. Be true. Be brave. Stand. All the rest, is darkness.

Voto 1×10: 8,5
Voto Stagione: 8,5

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