Forever – Stagione 1


Forever – Stagione 1È da diversi anni che Amazon ha iniziato ad alzare l’asticella della qualità dei suoi prodotti seriali, non solo dal punto di vista del budget (la serie su Il signore degli anelli sarà sigillo definitivo) ma anche e forse soprattutto riguardo alle personalità autoriali coinvolte. Da Jill Soloway a Matthew Weiner, da Nicolas Winding Refn a Sam Esmail, gli autori e le autrici ingaggiati dall’azienda di Jeff Bezos fanno pesare il proprio talento e anche Forever non sembra fare eccezione.

Lo show è creato da Alan Yang e Matt Hubbard, due autori dotati di grande talento e formatisi nella comedy generalista dimostrando le loro eccezionali doti creative, in particolare nella writers’ room di Parks and Recreation sotto la guida di Michael Schur. Hubbard ha lavorato ad altre workplace comedy come 30 Rock e Superstore mentre Yang è noto al grande pubblico per essere il co-autore insieme ad Aziz Ansari di Master of None.
Prima di andare in profondità nell’analisi della serie bisogna dire che Forever sarà ricordata anche per una efficacissima strategia di self-promotion. La stagione, composta da otto episodi, è infatti ricca di twist narrativi molto forti, soprattutto nella prima parte, che hanno offerto l’occasione agli autori di suggerire a tutti i critici (che hanno ricevuto gli screener in anteprima per realizzare le recensioni) di non parlare assolutamente degli sviluppi della trama per non rovinare la sorpresa agli spettatore. Come appena anticipato, è sicuramente vero che il racconto prevede delle forti svolte narrative, ma non è certo il primo nella storia e pertanto tale scelta, oltre a tutelare gli spettatori ha avuto anche una funzione di marketing molto importante che a conti fatti, piaccia o meno, si è rivelata efficace perché ha aumentato notevolmente la curiosità nei confronti dello show.

Forever – Stagione 1Forever è presentata come una serie incentrata su due personaggi, Oscar e June, interpretati dai formidabili Fred Armisen e Maya Rudolph, la cui chimica è già stata testata in passato. A giudicare dal trailer e dalle poche informazioni a disposizione si sa che si tratta di un racconto sulla coppia a tratti molto divertente ma non privo di note malinconiche. A visione ultimata è possibile affermare con certezza che la serie si inserisce in quel particolare sottogenere dalla comedy che Vulture attraverso una serie di approfondimenti ha definito post-comedy, in cui il disagio è una delle cifre preferenziali per raccontare il rapporto tra il soggetto e la contemporaneità, i protagonisti sono spesso tormentati e alle prese con un mondo la cui inspiegabilità riflette quella dei loro tumulti interiori e la quotidianità prende il posto dell’eccezionalità mostrandosi foriera di paradossi interessanti.
I minuti iniziali del primo episodio sono tra i momenti più belli dell’intera stagione: Forever cita esplicitamente Up per raccontare il tempo che passa, per narrare il bello e il brutto dello stare in coppia, mostrando senza ipocrisie quanto possa essere labile il confine tra le gioie condivise e le abitudini usuranti. In queste scene da un matrimonio la vita rompe il muro della rappresentazione, risultando a tratti anche volutamente estenuante, ribaltando la famosa frase di Hitchcock secondo cui il cinema sarebbe “la vita senza le parti noiose”.
È la sensazione di definitività a essere ispezionata dalla serie, inseme a tutti i fantasmi che questa condizione porta con sé. I due coniugi reagiscono a essa in modo totalmente diverso, sapendo però entrambi che per quanto possa a volte levare l’aria, esserci l’uno per l’altro rappresenta una certezza a cui è difficile rinunciare, soprattutto per due persone che stanno insieme da una vita come loro.

Forever – Stagione 1Dopo un primo episodio che dà l’idea di una stagione breve tutta incentrata su uno studio di caso sulla coppia borghese di mezza età, il secondo inizia con June improvvisamente vedova, portando il pubblico a riflettere sulla tenuta della coppia di fronte all’assenza permanente di uno dei due membri. Si entra così in piena zona traumedy (definizione utilizzata molto a proposito di One Mississippi), concentrandosi sull’elaborazione del lutto e cercando di capire cosa vuol dire per una coppia spezzarsi all’improvviso, in maniera totalmente indipendente dalla volontà di ciascuno.
Gli autori affrontano con puntualità il dolore di June, mettendo in evidenza la tendenza a idealizzare tutto ciò che da un giorno all’altro è stato perso, mostrando una donna emotivamente mutilata, priva di una parte che, pur con tutti i suoi difetti, era diventata un elemento strutturalmente essenziale della sua vita.
Il nostro cervello però – sembrano dirci Hubbard e Yang – è pieno di sorprese e proprio quando ci sembra tutto finito abbiamo quel colpo di coda inaspettato che, vuoi per autodifesa vuoi per indole, ci dà nuova linfa e ci porta sulla strada della rigenerazione. Ed è proprio nell’arco di questo percorso di riappropriazione delle proprie forze, di rivalsa verso la vita che le ha tolto tutto ciò che aveva, che June, subito dopo aver cominciato a guardare il modo negli occhi, improvvisamente, muore!

Dal terzo episodio Forever cambia totalmente, pescando a piene mani dalla lezione di The Good Place e utilizzando una sorta di aldilà laico come lo spazio del what if narrativo, potendo così ragionare attraverso la coppia sul concetto di seconda chance. Oscar e June si ritrovano uniti anche dopo la morte e scoprono avere una prospettiva sul loro matrimonio antipodale, che vede da un lato lui meno portato a guardarsi dentro, a interrogarsi e a farsi delle domande reali, riuscendo a concepire solo ciò che vede nel proprio campo visivo, dall’altra June sempre più oppressa, senza fiato, che di fronte a questo tracciato così netto come il bufalo di una bellissima canzone di De Gregori vuole scartare di lato ed uscire da quel binario, anche a costo di cadere.

Forever – Stagione 1In questo spazio immaginario in cui sembra possibile trovare il coraggio di fare tutto ciò che non si è stati capaci di fare in vita a un certo punto arriva Kase (interpretata da una bravissima Catherine Keener), un elemento fortemente destabilizzante e nel quale June inizia a rispecchiarsi, pur non conoscendola per niente, invidiandone l’indipendenza e la libertà. Le due donne trovano l’una nell’altra una sponda molto importante, facendo nascere un rapporto di solidarietà femminile all’interno del quale raccontarsi a vicenda per la prima volta i traumi e le paure che in tutti questi anni non sono riuscite a elaborare, simboleggiati in maniera forse un po’ troppo didascalica dal vano tentativo di bruciare i propri mobili.
Il quinto episodio, scritto da Aniz Adam Ansari (fratello di Aziz), è quello della frattura, quello in cui i due si dirigono in direzioni opposte con Oscar che si arrocca sulla sua sorda iperperformatività e June pretende un cambiamento subito. Il dialogo sulle posate nella lavastoviglie è una metafora perfetta di ciò che non va nel loro rapporto, oltre che una delle migliori scene dell’intera serie: Oscar sceglie di non affrontare il discorso (e i discorsi in generale) perché non ha più la pazienza per ragionare con lei, perché non ha più la tolleranza necessaria per accettare i suoi errori (ma vorrebbe che fossero accettati i propri) e allora decide in maniera passivo-aggressiva e un po’ paternalista di incassare, di sopportare, arrogandosi la responsabilità del bene comune, ma evitando in questo modo di guardare al di fuori del proprio personale punto di vista.

Forever – Stagione 1Nel momento di massima crisi tra i due protagonisti Forever si ferma, guarda il trampolino davanti a sé e invece di saltare prende una svolta inaspettata e porta i propri spettatori da un’altra parte. Si tratta di una tendenza in espansione negli ultimi tempi, cioè quella di interrompere bruscamente l’azione per dar vita a un momento di riflessione, di pausa del racconto, quasi a mettere tutto il resto in prospettiva, cambiando il punto di vista in modo da poterlo poi riprendere con una nuova consapevolezza. Lo ha fatto Stranger Things con il settimo episodio della seconda stagione, lo ha fatto Atlanta con il penultimo sempre della seconda annata, lo ha fatto GLOW con l’ottavo episodio quest’anno.
Forever sceglie di concentrarsi su due personaggi mai mostrati fino a quel momento, Andre e Sarah, mettendoli al centro del proprio mondo per raccontare un’altra faccia dell’amore. I due sono apparentemente molto diversi l’uno dall’altra, ma improvvisamente si trovano ad avere un’alchimia unica, un’intesa perfetta fatta di grande curiosità reciproca, apertura totale nei confronti dell’altro, ascolto e fiducia.
La storia di Andre e Sarah è però anche una storia sul coraggio di credere davvero nei propri sogni, una riflessione sulla paura e sulle sue conseguenze. Per quanto tutto sembri perfetto tra loro, gli autori ci dicono che se l’amore non è anche quell’energia grazie alla quale potersi lanciare giù da un precipizio credendo di poter fare anche l’impossibile, allora semplicemente non è. “Andre and Sarah” è quindi soprattutto un episodio sui treni persi, sulle occasioni mancate, sulla storia di due persone innamoratissime che hanno visto le occasioni passare davanti ai loro occhi e le hanno perse.

Forever – Stagione 1Solo dopo questa pausa, solo dopo che June ha assistito alla storia di Andre e Sarah metabolizzandone l’ovvia lezione è possibile avviarsi verso la fine della storia dei protagonisti di Forever. La donna decide di mollare definitivamente il marito e stavolta è Oscar a fronteggiare il suo personale lutto, scontrandosi con tutti i limiti del proprio carattere: da una parte infatti decide di gettare il cuore oltre l’ostacolo sfidando l’ignoto e abbandonando per la prima volte le proprie certezze (ed è bellissimo che gli autori abbiano rappresentato questo percorso attraverso il passaggio dalla dimensione urbana a un contesto sempre più selvaggio che vede il protagonista completamente fagocitato dalla natura); dall’altro però, una volta faccia a faccia con June, Oscar non riesce tradurre la sua determinazione in un diverso atteggiamento e finisce ancora una volta, guidato dal proprio miope orgoglio, per comportarsi nel modo più sbagliato.
Per quanto il finale di stagione cerchi di riportare il registro del racconto su toni più leggeri, dopo che per lunghi tratti l’ironia ha lasciato il posto a una sensazione di impotente rassegnazione, i due protagonisti dimostrano finalmente a loro stessi di aver imparato la lezione, riuscendo per la prima volta ad avere una conversazione sincera, mettendo da parte la competizione, l’insofferenza e la voglia di far pesare all’altro quanto ciascuno si sacrifica per la causa, scegliendo invece di virare verso un dialogo costruttivo in cui si ascolta prima di parlare, ci si prende per mano e si cammina dalla stessa parte, perché anche se dopo tanti anni si rischia di darlo per scontato, June e Oscar sanno che le cose che li uniscono sono maggiori di quelle che li dividono.

Forever è una serie piccola, un progetto intimo, che si basa su interpreti di grande talento, su una scrittura molto intelligente e capace di lavorare sia sul micro (il sesto episodio è una vera gemma, per certi versi la sintesi dell’intera serie) sia sul macro (con una struttura decisamente atipica), dando un’importanza precisa ad ogni episodio invece di scegliere la solita e spesso mortificante formula del 4-hour movie.
Non tutto è riuscito e non sempre lo show riesce ad essere acutissimo, finendo in alcune occasioni per essere ridondante e attaccato a metafore troppo esplicite, ma quando centra il bersaglio lo fa con grandissima efficacia e all’interno di un progetto originale e brillante che si posiziona come una delle novità più interessanti del 2018.

Voto: 8

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Informazioni su Attilio Palmieri

Di nascita (e fede) partenopea, si diploma nel 2007 con una tesina su Ecce Bombo e l'incomunicabilità, senza però alcun riferimento ad Alvaro Rissa. Alla fine dello stesso anno, sull'onda di una fervida passione per il cinema e una cronica cinefilia, si trasferisce a Torino per studiare al DAMS. La New Hollywood prima e la serialità americana poi caratterizzano la laurea triennale e magistrale. Attualmente dottorando all'Università di Bologna, cerca di far diventare un lavoro la sua dipendenza incurabile dalle serie televisive, soprattutto americane e britanniche. Pensa che, oggetti mediali a parte, il tè, il whisky e il Napoli siano le "cose per cui vale la pena vivere".

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