American Horror Story: 1×01 “Pilot” 1


American Horror Story: 1x01 "Pilot"Già creatori di “Nip/Tuck” e “Glee”, Ryan Murphy e Brad Falchuck provano ad adattare la loro schizofrenia drammaturgica alle paure dell’America media, confezionando un prodotto peculiare che probabilmente scatenerà odii o amori improvvisi. La mancata compattezza della series premiere è dunque un preludio ad una potenziale cult series, di quelle che o si amano o si odiano.

La premessa (melo)drammatica è piuttosto semplice: una moglie vittima di aborto spontaneo, un marito infedele ed una figlia emo-tivamente instabile si trasferiscono, per un nuovo inizio ma carichi dei loro rancori, in una villa a Los Angeles, luogo di celebri massacri e casa di tutte le case dell’orrore. L’uomo di casa riprende il suo lavoro di psichiatra con un teen-killer psicolabile (che entra in scena rammentandoci Kill Bill), la figlia è presa da un traumatico trasferimento in una nuova scuola, mentre la moglie ripulisce la casa stantia e si occupa di convenevoli con gli strani personaggi che le aleggiano intorno.

Se si ha voglia di sobbalzare sulla sedia probabilmente questo pilot deluderà. Il modo più corretto per approcciarsi a questo racconto è piuttosto l’apertura ad uno sconvolgimento disturbante. Più thriller psicologico che horror vero e proprio, American Horror Story si ciba di archetipi dell’orrore in un coacervo di sequenze inquietanti che inquadrano le paure dei protagonisti, anziché stimolare la nostra. Non si tratta quindi di una serie che fa paura, quanto di una serie sulla paura; sull’orrore drammatico della famiglia americana, che la casa archetipica avverte e amplia.

Il manierismo stilistico è a dir poco coraggioso. Il montaggio ellittico, la regia psicotica e le sequenze perverse danno una sensazione disturbante comprensiva delle ansie dei protagonisti. L’apparente confusione, a mio avviso, ci restituisce proprio le turbe psichiche e i grandi drammi dell’ensemble, giocando sui tagli spiazzanti, sullo stupore destabilizzante e, ovviamente, sulle citazioni. Più debole l’approccio drammatico, con dei dialoghi non sempre riuscitissimi e delle reazioni (volutamente) esagerate o inappropriate che, pure, partecipano ad aumentare il nostro mindfuck.

L’aspetto più intrigante nel novero dei personaggi riguarda la presenza di comprimari che avvertono i protagonisti dell’anima oscura della casa, ma di cui allo stesso tempo fanno irrimediabilmente parte (in primis l’invasiva e camp Jessica Lange con figlia impertinente a seguito e Frances Conroy, l’inquietante governante dalla figura incerta e gli occhi di David Bowie). Come in “Shining” (e lasciate correre questo titolo, perché il mio non è un vero paragone) l’edificio vive di time-lines differenti, in una costruzione a specchio dove passato e presente, realtà e allucinazione sussistono in contemporanea, in un continuo ciclo orrorifico di materializzazione delle psicosi. Una mitologia citazionista per una storia sulle paure, de e verso l’America media.

Se la paura di Connie Britton (la moglie) è ritrovare familiarità con il suo corpo, arriverà un fantasma succinto in latex a compiacerla. Quando la paura maggiore del poco espressivo Dylan McDermott è tradire ancora la moglie e perdere la sua famiglia, di seguito strisceranno sulla sua ingordigia le avances della governante, che al tempo stesso è giovane e vecchia, viva e morta, realtà e proiezione. La consequenzialità tra ansie covate e vissute, però, è pressappoco inesistente: tutto il perturbante è restituito nello stile sincopato e nelle consuete scene ad effetto, che spiazzano più che spaventare o provvedere ad una progressione graduale del terrore.

Non c’è quindi una tentativo di strutturazione della sceneggiatura per passi, in questo insolito pilot, ma si viene immediatamente catapultati nel caos dei disturbi sociali del mondo odierno con fare pop e barocco. Soltanto l’incipit (ambientato nel 1978) è il segmento più smaccatamente classico dell’intero episodio, con i due ragazzini impertinenti che, pur avvisati da una bambina con la sindrome di down ossessionata dalla casa gravida di incubi, entrano a sfidare la morte.

Perché a questo la casa anela: la morte. Uno dei suoi precedenti proprietari (l’incomparabile Denis o’Hare), infatti, preannuncia al marito fedifrago proprio il suo eterno intento, che è quello di trafugare le instabilità dei suoi abitanti, farsene forza e spingerli alla follia e al massacro.

Una storia di terrori umani, dunque, trasfigurati in possessioni e spiriti irrequieti che portano i protagonisti in ogni remoto angolo del loro inconscio, piuttosto che ad un nuovo inizio.

VOTO: 8 ½

Perché normal people (and things) scare me.

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