Il problema principale di Ringer è il suo traballare tra soap e thriller, tra mistero e sentimenti pronunciati troppo espressamente. Dopo un Pilot abbastanza interessante, dove molte caratteristiche da “giallo” quasi hitchcockiano (una donna in fuga, come “Pyscho”, uno scambio d’identità reso possibile dalla grande somiglianza fisica, come “La donna che visse due volte” e altri capolavori del maestro, che giocano spesso sul tema del doppio) rendevano la vicenda della nuova Sarah Michelle Gellar (sempra brava) abbastanza appetibile, a poco a poco il mash-up con i toni tipici del drama hanno un po’ confuso la direzione che questa serie sembrava prendere.
“Ringer” sembra cavarsela bene nel momento in cui decide di abbandonare uno dei due generi, e anziché mescolarli li separa nettamente: o mystery o soap opera, una via di mezzo è poco incisiva.
Questo quarto episodio si muove più sul versante del drama, per cui lo spettatore sa bene cosa aspettarsi. Allo stesso tempo, probabilmente è anche l’episodio finora più bello proprio perché vive, come la protagonista, una “doppia vita”, che però viene, per così dire, “svelata” solamente nel finale: nel colpo di scena conclusivo (anche se sarebbe meglio parlare di colpi, al plurale, poi vedremo perché…), la storyline thriller ritorna preponderante. Questa scelta potrebbe quindi risultare ancora una volta una cattiva mossa (come accaduto, appunto, negli episodi precedenti), ma sfruttata in questo modo ha un che di convincente.
Il vero colpo di scena non è forse la rivelazione finale di Bridget (la quale evidentemente, più che non avere più scuse da inventare, semplicemente non ne poteva più!) all’amica: in realtà stiamo aspettando un momento del genere dall’inizio della serie e gli autori non hanno fatto una cattiva mossa a presentare un incipit di risoluzione in questo quarto episodio. Sembra troppo presto, ma bisogna dire che altre 10 puntate di segreti, bugie e doppio gioco (presentati come lo sono in questa serie, intendo) non avrebbero retto. La rivelazione finale, quindi, è un passo azzardato, sicuramente intelligente, forse un po’ forzato (in ogni caso, una liberazione, per Bridget, ma anche e soprattutto per noi!)
La vera sorpresa, però, come dicevo, sta nel personaggio di Siobhan: per tutta la puntata ho avuto l’impressione che gli autori avessero commesso un grossissimo errore delineandone una fragilità che, se da un lato la rende più umana, dall’altro, quello più propriamente drammatico, non è affatto convincente. Se questa donna è la “cattiva”, le sue titubanze e le sue debolezze, i suoi sentimenti e le sue mosse anche più normali, non possono essere rimbalzate per trasformarla quasi in una vittima. Ci ha pensato la scena in cui fruga nella cartella dell’amante a rimettere tutto in gioco, e anche a farci capire di essere stati ingannati fino a questo momento (e a farci tirare un sospiro di sollievo): Shioban è un’abile doppiogiochista, una manipolatrice e profittatrice, ed è anche decisamente brava nel fingere di essere quello che non è (e del resto, la sorella non è forse bravissima anch’ella ad interpretare lei? Questi film e serie su attrici che interpratano attrici…).
A questo punto la domanda da porsi è quindi: cosa può averla resa quella che è? I flashback (tecnicamente non molto ben fatti) servono anche a questo, a mostrarci una apparente infanzia felice delle due sorelle, che stona completamente con la situazione in cui vivono nel presente.
“Ringer” non sarà una grande serie, ma qualcosina per continuare a seguirla ce l’ha (anche se forse potrebbe essere semplicemente la mia natura curiosa: voglio proprio vedere come mi risolvono certi inghippi apparentemente irrisolvibili, come la gravidanza!) .
In definitiva, un episodio discreto di una piccola serie un po’ anomala.
Voto: 6/7