I Gallagher si avvicinano all’ultima parte di una stagione brillante, caratterizzata da una buona evoluzione dei personaggi e accompagnata da una critica sociale più marcata rispetto al passato. Gli episodi delle ultime settimane – per esempio – pongono l’accento su temi come disabilità e omosessualità, ma in un contesto sempre rigorosamente ironico e divertito..
3×08 – “Where There’s a Will”
“I’m home now”– Karen
“That sounds shitty” – Lip
Il ritorno di Karen non poteva avere tempismo migliore ai fini della trama, che risente da subito delle sue menzogne ed omissioni. La telefonata di Lip in The Sins Of My Caretaker era un chiaro segnale: la scottatura è recente e il ritorno della ragazza ha tutto l’aspetto di una fiamma; e se l’allontanamento (di cui come spettatori con punto di vista esterno non siamo a conoscenza) poteva rappresentare un’occasione di riscatto, appare subito chiaro che così non è stato, nonostante inizialmente Karen si presenti in maniera diversa dal passato. Molto magra, capelli lunghi, senza piercing o altre follie a cui ci aveva abituato Lip ai tempi in cui – fra le altre cose – se la spassava col padre. Ma il ruolo della pecorella smarrita dura poco, la maschera cade e a risentirne di più non è tanto Lip (che da persona intelligente e cinica se lo aspetta) quanto la generosa (quindi ingenua) Sheila.
“The Gallaghers are survivors”
Il comportamento di Jimmy è una novità se lo si pensa in rapporto alla sua reazione in tribunale, al termine dello scorso episodio: la sentenza che di fatto lo rende co-tutore di un branco di misfits avrebbe sconvolto per giorni il vecchio Steve (forse al pari della news sull’omosessualità del padre), mentre il nuovo si rimbocca le maniche ed è pronto a navigare letteralmente nel letame per Fiona. La connessione fra presente e passato avviene proprio sul (secondo) posto di lavoro, grazie a un incontro casuale: il personaggio di Justin Chatwin, durante la successiva cena con gli ex compagni, ha di fronte a sé ciò che sarebbe potuto diventare se non avesse sprecato tutto il suo potenziale. L’evento, apparentemente caricato di sola nostalgia, assume caratteri ben diversi già a partire dall’episodio successivo, nel quale Jimmy vuole riprendere il controllo della sua vita professionale e arginare quel senso di invidia e sconfitta provato durante la rimpatriata.
Il quesito universale che Shameless sembra proporre riguarda intimamente il concetto di successo. In fin dei conti cosa vuol dire avere successo? Significa far parte di un élite? Diventare sobri abbastanza da ricevere una spilla degli AA salvo poi ricascarci? Il segreto – e a rivelarcelo è stranamente Frank – non è forse in quei piccoli momenti quotidiani, le polpette, le partite alla tv? Non sono forse temporanee soddisfazioni come quella di avvelenare uno zio spocchioso, di ricattarlo per una casa necessaria alla vita di sei persone? Il problema fondamentale per la coppia Jimmy-Fiona è che i due hanno un concetto di successo molto differente. Una simile disparità di ambizione e aspirazioni li porterà prevedibilmente sull’orlo della rottura, ora che la ragazza è anche tutor dei fratelli.
I momenti più sintomatici del gran lavoro svolto nella gestione dell’altalena tragicomica sono forse quelli del support group dedicato alla sindrome di Down. Si passa da un incipit serioso, e giustamente critico nei confronti di chi agisce mosso da eccessive compassioni, a un ribaltamento ironico tipicamente shamelessiano, in cui scatta anche il parallelo fra le parole tabù “retard” e “nigger”. Il passaggio tra i due mood non è di quelli da rovinare la fiction; è repentino ma ben gestito da chi – dopo tre anni – è abituato a sceneggiare simili roller coaster emotivi. Nell’episodio c’è spazio, come sempre, per le divagazioni più o meno lucide di Frank, che si dimostra particolarmente convincente quando è sotto pressione e viene minacciato il suo status quo. Basti pensare alla magnifica e allegorica descrizione (quasi alla Kerouac) del gelido inverno in arrivo.
Voto: 7,5
3×09 – “Frank The Plumber”
In Frank The Plumber il nostro alcolista preferito è inserito in una delle situazioni più bizzarre mai viste in tre stagioni dello show. Come spesso accade per il personaggio di Bill Macy, ciò che nasce da un input annoiato (la lettura del quotidiano) e dal suo ineguagliabile opportunismo (condivisione dell’assistenza sanitaria di Chris) si trasforma in qualcosa di decisamente più grande di lui. Abbiamo spesso accennato alle mirabolanti qualità di speaker di Mr. Gallagher, che se non fosse un alcolista cronico avrebbe sicuramente sfondato come venditore, grazie alla sua capacità – alla Re Mida – di trasformare qualunque fandonia in oro colato.
Così, partendo da una sceneggiata per strada davanti alle telecamere, Frank si erge a paladino dei diritti gay (ennesimo serious topic proposto dallo show); e se da un lato John Wells stereotipa il mondo gay (il karaoke con I Will Survive per esempio), dall’altro ne mostra le sfumature più materialiste legate al marketing, rappresentate da loschi figuri alla ricerca di un testimonial della working class, per un migliore piazzamento sul mercato del loro “prodotto”. Il Frank-pensiero, riassunto dalla battuta “I am whatever I need to be at the time I need to be it”, rappresenta perfettamente il suo diabolico camaleontismo: questa innata capacità di adattamento è la stessa che ha trasferito al resto della famiglia (basti pensare a Debbie o Fiona). La frase è talmente azzeccata per l’universo Gallagher da poter essere tranquillamente il sottotitolo dello show!
“You’re better than this neighborhood”
I momenti migliori, di quello che di fatto è un episodio denso di significati e con ottimi momenti recitativi, arrivano per mano del triangolo Lip-Mandy-Karen e dal bel confronto generazionale fra Sheila e Debbie. Il personaggio di Mandy, che all’epoca della sua comparsa sembrava un po’ troppo monodimensionale e legato alla figura fraterna, vive ora di luce propria e regala all’intera vicenda una possibile e interessante “storyline universitaria”. Al dì là del violento finale, tutto sommato accettabile visto il caratterino della giovane (vedasi la fine dell’insegnante pedofila), a stupire è l’incredibile generosità (aka amore) dimostrata compilando e inoltrando le college applications per Lip.
Da quando i due sono legati si è sempre percepita una certa disparita di sentimenti e questa vicenda ne è l’ennesima conferma: gli sforzi della Milkovich sono decisamente superiori a quelli del partner. Dopotutto il più intelligente e razionale dei Gallagher, quando c’è Karen di mezzo, non sembra trovare una via di uscita dai sintomi della sua personalissima Sindrome di Stoccolma (con la bionda nella parte della bitch-aguzzina). Lip è inoltre protagonista del migliore momento dell’episodio, un pezzo sceneggiato a regola d’arte e molto ben interpretato da Jeremy Allen White: il dialogo con il reclutatore dell’MIT è superbo sia come contenuti che come interpretazione. Se questo episodio fosse un lungometraggio, sarebbero proprio scene come questa a farci esclamare che sì, Shameless vale il prezzo del biglietto.
Voto: 8+