Banshee, dopo aver iniziato la sua terza stagione con un episodio che aveva il dovere di chiudere il ciclo narrativo portato avanti nelle scorse annate, ci trascina ora nel vortice di ultraviolenza che l’ha sempre caratterizzato – riuscendo persino ad alzarne il livello.
Nel microcosmo della Pennsylvania non è mai esistita la dicotomia tipica del buono e del cattivo; nessun personaggio è portatore di caratteristiche che possano farlo identificare in un senso o nell’altro, poiché anche lì dove dovrebbe esserci la conservazione dei valori assolutamente umani si nasconde in realtà l’intransigenza e l’intolleranza verso l’altro. In questi due episodi, che inaugurano ufficialmente la nuova stagione e iniziano a mettere in scena anche personaggi inediti, questo aspetto dell’impossibilità di discernere i confini tra bene e male ne rimane il protagonista incontrastato.
3×02 – Snakes and Whatnot
Tra le novità principali introdotte sin dallo scorso episodio c’è il misterioso colonnello Douglas Stowe. Il casuale incontro con una disorientata Ana/Carrie lo ha più o meno naturalmente traghettato all’interno del debole equilibrio del trio (quartetto) di ladri, identificandolo non a caso come la loro nuova vittima. Nonostante gli venga dato un maggior spazio, soprattutto in questo episodio, Stowe non si sposta sostanzialmente dalla prima impressione: un militare rigido e inflessibile, eppure corrotto, intollerante nei confronti della disobbedienza e per questo anche del rifiuto – di qualsiasi tipo, probabilmente. Anche lui quindi rientra esattamente nell’atmosfera ormai delineata in Banshee: ogni ruolo, ogni individuo, ogni personaggio emerge esclusivamente nei suoi lati peggiori, i più negativi che ha, ribaltando l’etichetta sociale che possiede.
La differenza con le passate stagioni sta nella mancanza di un antagonista a tutto tondo: Rabbit è stato l’unico character che poteva davvero essere identificato come l’assolutamente malvagio, il nemico tout court. Con la sua morte, viene a mancare un catalizzatore fondamentale ed è probabilmente per questo che ora la scrittura di Jonathan Tropper ha deciso di assottigliarsi e frantumare le opposizioni/inimicizie su più fronti con varie storyline. Lo stesso Kai Proctor, da sempre identificato come nemico pubblico dell’intera città di Banshee, ha visto via via diminuire la sua impenetrabilità fino ad essere delineato soprattutto dal punto di vista familiare. Quello che all’inizio era il modo per descriverne l’evoluzione diventa ora il centro focale delle dinamiche che lo riguardano: le origini e i problemi irrisolti che si era lasciato indietro, nel natio villaggio amish abbandonato da anni, gli tornano adesso davanti e lo costringono in un certo senso a fermarsi davanti alle sue stesse azioni. E nel momento in cui Kai si inginocchia e prega, l’incestuoso rapporto tra lui e Rebecca sembra funzionare per i due in maniera inversamente proporzionale: al “ritorno” all’umanità dell’uno, inginocchiato a pregare per la madre morente e per le sue mancanze, corrisponde la freddezza nel giovane cuore della nipote, ormai capace di uccidere a sangue freddo.
3×03 – Fixer of Sorts
“Fixer of Sorts”, invece, mette parzialmente da parte le dinamiche personali e riflessive dei vari protagonisti per immergerci profondamente nell’occhio del ciclone di azione e violenza – a tratti anche eccessivamente randomico. Basterebbero i primi minuti per capire cosa ci aspetta nei successivi quarantacinque: lo scontro tra Nola e Burton è forse uno dei momenti più lunghi, cruenti ed asfissianti che la serie ci abbia proposto, e non solo per la quantità di sangue versata. Complice una colonna sonora sempre elettronica ed opprimente, la scena ha le sembianze di un vero e proprio videogioco; la resa finale è una sfida paradossalmente paritetica (come sempre, in Banshee) tra i due, coinvolti in una crescente e dettagliatissima faida venuta praticamente fuori dal nulla, ma in un certo senso giustificata anche solo dai virtuosismi registici: una macchina da presa così dinamica, fluida, onnipresente, che porta all’estremo le qualità visive della serie.
L’intero episodio continua infatti sulla lunga scia sanguinolenta del suo incipit, ma sviluppando due nuclei diversi eppure coerenti tra loro. Il più importante, in quanto ancora in odore di novità, è l’opposizione tra Proctor e Chayton, che raccoglie l’eredità della tribù Khinao per continuare la guerra all’uomo bianco; in questo senso, il loro faccia a faccia (sebbene solo sfiorato) è l’espressione di quel ritorno alle origini che sta rinnovando l’atmosfera della serie. Chayton è colui che ha scelto di mantenere la purezza delle sue radici, di abitare in mezzo ai boschi, a contatto con quella stessa natura che vorrebbe proteggere: è quindi antitetico ai progetti meramente espansionistici ed economici di Proctor. L’attacco e quindi la sparatoria del night club di Proctor è la prima vera azione a mano armata che gli indiani decidono di condurre, e non a caso a perdere la vita sarà proprio Tommy, fratello del nerboruto Chayton. Due morti eccellenti quindi: un fratello e Nola, entrambi per mano indiretta di Proctor, annunciano a chiare lettere che questa parte sarà sicuramente centrale per tutto il resto della stagione.
E di “ritorno” alle origini si può parlare anche per il nostro protagonista, in quanto tutto torna a ruotare vorticosamente intorno alla sua identità mentre è costretto da Deva a prendere finalmente coscienza anche del suo ruolo di padre. Chi è Lucas Hood? Quanto può ancora durare la sovrapposizione tra il suo passato sconosciuto e innominabile (se non tramite i flashback con Ana) ed un presente che si articola sempre di più intorno a lui? Il lungo viaggio che inizia con l’apparizione di un inedito agente dell’FBI, Robert Phillips (Denis O’Hare), ormai a conoscenza dell’appropriazione di identità fatta da Hood, si confonde con un altro tarlo nel passato che, non a caso, derivava dal vero Lucas Hood, che poi si era direttamente riversato sul nuovo e sembra terminare davvero solo adesso. I guai di Jason, quel figlio apparso dal nulla, tornano a far capolino per diventare ora un’enorme corsa sull’asfalto. Tra identità rubate e segreti nascosti che tornano a galla, la puntata si chiude con un attesissimo punto di non ritorno: la busta dell’FBI che arriva nelle mani di Siobhan.
L’aria che tira su Banshee, Pennsylvania, sa di ancestrale, primigenio, originario, di tasselli che continuano a rompersi o ricomporsi, ad emergere o nascondersi, supportati e valorizzati da una superficie visuale che è il fiore all’occhiello della serie targata Cinemax – ormai sinonimo di particolarità, accuratezza, qualità.
Voto “Snakes and Whatnot”: 7
Voto “Fixer of Sorts”: 8
Io ancora non ho capito quanto mi piace questa serie … la trovo esaltante in tutto dalla colonna sonora alle varie inquadrature alla fotografia! Nello scontro tra Nola e Burton io ho trovato un po di Kill Bill di Tarantino … speriamo che mante questi Livelli!
La 3×02 come la premiere mi avevano fatto un po’ dubitare della tenuta della serie scomparso Rabbit.. Ma la terza puntata, una delle migliori in assoluto! Tra Botte da orbi, sparatorie parallele, una trachea strappata e pugni elettrici ci piazzano un po’ di drama, job e sugar simpaticissimi inseparabili, 2 personaggioni come l’agente strafottente e il gentiluomo obeso pazzo e un funerale indiano! Una delle migliori ore televisive di questi mesi.
Il bello di questa serie è che sulla vendetta di Nola , sull’improvvisa apparizione dell’agente FBI in tandem con una specie di Jubba the hutt altri telefilm ci avrebbero marciato per metà stagione.
Invece qui dritti al punto.
Quando vedi Benshee sai quello che ti aspetta e non ti delude mai.
Questa terza stagione di Banshee è cominciata davvero alla grande (la 3×03 è stata una puntata davvero splendida), questa serie ormai sta dimostrando di essere diventata matura. The Walking Dead, impara da Banshee come diventare un prodotto d’intrattenimento puro di qualità!
Un capolavoro assoluto, questo Banshee 3X03, uno dei più begli episodi mai visti di tutti i tempi e di tutte le serie !!
Credo che se il combattimento fra Nola e Burton fosse stato inserito in un film girato da un grande regista (non a caso qualcuno ha fatto il nome di Tarantino), non avrebbe fatto fatica ad entrare nella storia del cinema: troppo ben girato, troppo straordinariamente violento, troppo emotivamente coinvolgente, troppo spietato e incerto per non meritare tutto l’assoluto possibile…grandioso !!
Uno degli episodi più belli di tutta la serie. Lo scontro Nola-Burton, il dolore di Kai per la madre, il duetto Job & Sugar, il boss ciccione con il camion, l’esecuzione dei suoi scagnozzi, l’agente FBI, l’assalto dei Kinaho al night club di Proctor, la “seduta psicanalitica” di Brock con la spogliarellista, la morte di Nola e del fratello di Chayton, l’intricato ed oscuro passato di Hood (o chi diavolo sia in realtà) che torna nuovamente a galla… Boh, non ho ancora capito come abbiano fatto a farci stare tutto in una sola ora. Ma la puntata è assolutamente cazzuta e perfetta. Applausi a scena aperta.