Dopo una première confinata in uno spazio “neutro”, Looking torna ad abitare la caustica San Francisco immergendosi in quella placida quotidianità che ci porta a fare i conti con i cambiamenti seguiti alla prima stagione. Il senso di precaria introspezione aleggia su entrambi gli episodi sollevando parecchie domande e pochissime risposte.
Nella stragrande maggioranza dei prodotti cinematografici o televisivi, il punto di vista sulle relazioni, le gioie e i dolori di un singolare rapporto interpersonale sono spesso scandagliate secondo una prospettiva che poggia il suo focus centrale su un personaggio femminile; questa tendenza ha creato una sorta di equivalenza tra il genere “al femminile” e il vasto immaginario filmico che si concentra sul racconto “di coppia”. Looking, senza creare per questo una ramificazione di genere “al maschile”, attua una lucida riflessione sui meccanismi che regolano l’intricata gamma dei rapporti interpersonali riuscendo ad ampliare e ad arricchire il filone narrativo, innanzitutto liberandolo da qualsiasi tipo di “ghettizzazione” di genere. La levità e l’eleganza con cui si perpetra il racconto conferiscono alla materia trattata un carattere molto particolare che, se non si può definire prettamente universale, riesce comunque ad andare oltre la prospettiva omosessuale per diventare, semplicemente, individuale: per quanto il mondo gay sia il perno tematico del racconto, ciò che viene veramente indagato è l’individualità dei singoli caratteri, nelle mille diversificazioni proprie dell’animo umano.
Just try and see it from my perspective, okay? Don’t speculate, don’t judge, just be supportive.
L’attento lavoro di caratterizzazione messo in atto dallo show trova la sua punta di diamante nella rappresentazione di Patrick, certamente il personaggio più complesso ed interessante. Le mille domande che affollavano la sua mente nel corso della scorsa stagione hanno mutato forma e spessore, ma non l’hanno di certo abbandonato: la deriva paranoica di “Looking for Results” è una sorta di palliativo per tutte quelle domande che “adesso” non può farsi. Lo stadio in cui si trova la sua relazione con Kevin non gli permette di mettere in atto quella miriade di proiezioni mentali con cui è stato capace di distruggere i germogli delle sue precedenti storie. Paradossalmente, vivere una tresca come se fosse una relazione diventa il modo migliore per evolvere da quei cliché che finora l’hanno bloccato sull’orlo della soglia, impedendogli di lasciarsi andare davvero. L’essere equamente diviso tra il desiderio di trasformare l’affair in qualcosa di sincero e ufficiale e la matura consapevolezza che tutto potrebbe dissolversi da un momento all’altro lo bloccano in uno stato di attesa che conserva inalterato il dolce sapore della possibilità: Patrick vive in un fantastico “Sabato del villaggio”, sperando che la domenica arrivi il più tardi possibile.
Nel weekend passato insieme a Kevin, la tresca perde tutte le connotazioni che la definiscono tale: spariscono gli hotel e i bed bugs, il sesso diventa “premeditato” e le interazioni sociali esulano dal contesto lavorativo; in questa lenta estensione del tempo il mondo reale si trasfigura in una sorta di dimensione parallela, un universo immaginato che rappresenta la più idilliaca tra le possibilità sottese. Tuttavia, come una bussola che segna la reale direzione dello spazio percorso, lo spettro di Jon è comunque sempre presente, ed in chiusura di “Looking Top to Bottom” diventa persino ingombrante per via della splendida giornata trascorsa. Lo sguardo con cui Patrick percepisce l’assenza di Kevin è come quello di un bambino di fronte a un costume di Babbo Natale dismesso: non ha la certezza che non esista davvero, ma il dubbio è forte, nonostante i regali siano ancora lì sotto l’albero luccicante.
«I’m just trying to help»
«I didn’t ask for help».
Se per Patrick il cardine della crescita ruota attorno ad una “esplorazione” sentimentale, il bandolo della matassa di Dom è l’evoluzione della sua sfera professionale: la sua relazione con Lynn si nutre proprio di questa spinta propulsiva verso la concretizzazione di un progetto da protagonista. La risoluzione con cui si impegna a portare avanti l’idea del ristorante è la matrice da cui prende avvio anche il desiderio di costruire una relazione matura con un uomo completamente fuori dai suoi standard attuali: un’ulteriore riprova della voglia di lasciarsi andare oltre tutti gli stilemi in cui si era trovato imbrigliato finora. Anche il discorso sulle linee guida in fatto di gelosia e promiscuità sembra sbilanciare l’ago della bilancia a favore di un Dom che, per buona parte di entrambi gli episodi, ci appare raggiante di questa sua nuova luce. Ma sul finire di “Looking Top to Bottom”, anche Dom, come Patrick, si ritrova disorientato da un freddo bagno di realtà: l’idea di Lynn di raccomandarlo come manager del nuovo ristorante di Jack a Soma è percepita come una mancanza di fiducia, quella stessa fiducia che l’uomo aveva contribuito a far lievitare. L’immagine di se stesso che gli restituivano gli occhi di Lynn era l’immagine di un uomo “vincente” di colui che poteva anche osare di trasformare un sogno in realtà; ridimensionare il progetto, dividendolo in step successivi, è come distruggerlo, rischiando di disintegrare anche il piacevole corollario che vi gira intorno. La decisione di non mischiare relazione e business, su cui nasce il loro rapporto, includeva un tacito accordo di sostegno reciproco che Lynn ha come infranto. Anche se Pretty Woman viene tirato in ballo a proposito di Patrick, è Dom che vive nel terrore di trovare un cavallo bianco fuori dalla sua finestra: per quanto comoda e silenziosa possa essere la casa o il letto di Lynn, Dom ha bisogno di conservare inalterata la propria autonomia d’azione; non vuole essere aiutato, ma semplicemente applaudito.
It’s the new me. Huh?
Sul versante Augustin, invece, le cose si fanno leggermente più complicate: non c’è amore, né relazione, non c’è più l’Arte né Frank, e guardandosi intorno il ragazzo non riesce neanche a trovare se stesso. Il suo percorso è completamente orientato verso una decostruzione di sé che tocca il culmine proprio alla fine di “Looking for results”, quando Richie lo ritrova svenuto a vicino a un carretto di tortillas. Ma è proprio dal fondo del suo stesso barile che Augustin comincia a risalire la china: scontrarsi con il gesto non dovuto di Richie crea le premesse per una completa rivalutazione del comportamento degli ultimi mesi. Guardandosi indietro comincia a discernere con più chiarezza le dinamiche con cui ha gettato al vento tutto quello che era stato capace di costruire fino ad ora, ponendosi finalmente di fronte alle proprie responsabilità: scusarsi con Richie è la prima vera presa di consapevolezza dei suoi errori. Anche Augustin, quindi, ha il suo bagno di realtà, solo che a differenza di Dom e Patrick ciò che riesce a vedere non è il lato oscuro di una medaglia scintillante, ma la medaglia stessa pronta ad essere lanciata verso un nuovo giro di boa.
Con questi due episodi Looking riesce a entrare pienamente nel vivo nel racconto portando i suoi protagonisti, ancora una volta, lontani dal punto di partenza. L’impianto drammaturgico, sorretto da una scrittura brillante ed efficacemente dosata, appare sempre più solido, rafforzando le premesse già positive sul prosieguo dello show.
Voto Looking for Results: 7½
Voto Looking Top to Bottom: 7½
Complimenti per la recensione, mi ha colpito profondamente! Sei riuscita ad inquadrare perfettamente tutti i personaggi, le loro sfumature e le contraddizioni! Questo show si sta rivelando sempre più interessante, speriamo solo di avere anche (e finalmente!) qualche risposta in più a partire dalla prossima puntata…