Superata la metà della prima parte di stagione, Better Call Saul amplia il raggio d’azione della sua narrazione: gli autori infatti decidono di concentrare un intero episodio sulla storyline dedicata a Mike.
Fin dal suo fortunato esordio lo show si è dimostrato un prodotto fortemente influenzato dalla serie di cui è una diretta derivazione: Better Call Saul sembra nascere dal desiderio degli autori di Breaking Bad di poter ampliare l’universo narrativo della serie madre e approfondire alcuni aspetti specifici lasciati in sospeso a causa della conclusione dello show. Quella di Mike è una delle figure per cui gli appassionati della creatura di Vince Gilligan avevano manifestato maggiore interesse, e che ora in Better Call Saul può trovare una propria dimensione al fianco del protagonista della serie.
La chance di focalizzare l’attenzione sul passato di quello che diventerà il sicario alle dipendenze di Gus Fring permette di fare luce su un personaggio molto misterioso, ma allo stesso tempo particolarmente amato, anche grazie allo straordinario spessore scenico di Jonathan Banks.
Dopo questo episodio il ruolo di Mike all’interno dello spin-off sarà sicuramente più rilevante di quanto lo sia stato fino ad ora e di conseguenza anche le interazioni con Saul e il minutaggio on screen aumenteranno vertiginosamente.
You go along to get along.
“Five O” è un episodio splendidamente orchestrato, in cui Gordon Smith, autore dell’episodio, riesce a destrutturare la storia di Mike e a giocare sapientemente con i vari livelli temporali, costruendo in maniera perfetta quello che sarà il crescendo narrativo della puntata, che troverà il suo culmine nelle due sequenze finali. La difficoltà di raccontare il passato di un personaggio di cui la maggior parte degli spettatori conosce il percorso futuro viene aggirata concentrando l’attenzione su quelle che sono state le motivazioni per le quali Mike si è trasferito da Philadelphia ad Albuquerque. Smith approfondisce alcune debolezze inespresse di un personaggio, di solito controllato e spietato, in maniera intima e introspettiva, senza rinunciare alle cifre stilistiche e alle soluzioni peculiari che caratterizzano la serie e che permettono alla tensione narrativa di rimanere alta e pressante per l’intera durata dell’episodio.
Matt wasn’t dirty.
Come per la maggior parte dei personaggi dell’universo creato da Vince Gilligan la questione morale che li tormenta è centrale per comprendere fino in fondo la dimensione delle loro qualità umane: Mike è un uomo segnato da un senso di colpa che tenta di nascondere, mentre prova a chiudere definitivamente i conti con un passato che gli provoca un gran dolore. La necessità di ricucire il rapporto con sua nuora Stacey, anche per non rischiare di perdere la possibilità di continuare a vedere sua nipote, lo costringe a riaprire questo varco temporale che avrebbe preferito lasciare sigillato; sembra emergere per la prima volta la vera essenza di un character la cui reale dimensione all’intero dello show ci era stata fino ad ora nascosta. La morte di suo figlio è un evento di cui comprendiamo la portata tragica solamente a fine puntata, anche perché non è possibile capire le responsabilità di Mike fino all’ultima struggente sequenza.
I know. I know it was you.
La questione dell’omicidio di suo figlio e la conseguente vendetta ai danni di Hoffman e Fenske fanno emergere due soluzioni ampiamente utilizzate e discusse in Breaking Bad, che ritroviamo anche nel suo spin-off: l’utilizzo di macchinazioni articolate per risolvere in maniera imprevedibile alcune sequenze e la critica feroce nei confronti di aspetti specifici della società americana. Il lungo flashback in cui Mike attua il suo piano vendicativo ai danni dei due sbirri colpevoli dell’omicidio di suo figlio ‒ oltre a permettere a Jonathan Banks di dare vita ad una splendida interpretazione lodata da tutta la critica specializzata (e per cui già si avanza la candidatura per i prossimi Emmy) ‒ è una sequenza con un enorme impatto emotivo, in cui l’ex poliziotto dosa la sua rabbia per i due assassini del figlio e la sfoga compiendo una vendetta chirurgica. Nonostante l’organizzazione nei minimi dettagli, trova un piccolo spazio anche la casualità, quando Mike viene ferito alla spalla sinistra.
You know what happened. The question is… can you live with it?
Tutta la tensione accumulata durante l’episodio viene liberata nella confessione finale di Mike a Stacey, dove è preponderante la frustrazione di un padre che non riesce a perdonarsi per aver deluso suo figlio, costringendolo a svilirsi di fronte a quelle regole auto-imposte che governano gli equilibri all’interno della polizia di Philadelphia. Quello descritto da Mike è un microuniverso in cui è impossibile non cedere la propria integrità morale a favore della sopravvivenza comune e dove non vengono sopraffatti solamente i più deboli. La centralità della questione morale di fronte a certe scelte viene ulteriormente ribadita nel finale, in cui Mike sembra porre alla nuora quello stesso dilemma con cui non sa se sarà in grado di convivere.
“Five O” è l’episodio più completo e riuscito tra quelli mandati in onda dalla AMC fino ad ora: viene confermata la capacità degli autori di Better Call Saul di usufruire di una cifra stilistica riconoscibile e apprezzata come quella di Breaking Bad, per dare vita ad una serie in grado di ampliare un intero universo di riferimento e sviluppare delle trame di supporto a quella principale ugualmente accattivanti, costruite con una coerenza formale e narrativa invidiabile.
Voto: 8
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Episodio e recensione entrambi stupendi. Un 9 ci stava tutto però!
Magari un 8,5, ma un nove mi pare un po’ esagerato, come trovo affrettata la candidatura all’emmy per un personaggio che fin’ora si è visto ben poco
Questo episodio poteva benissimo essere inserito nella serie originale. Saul riprende il suo ruolo marginale ma di spessore e divertente, sembrava davvero di guardare b.b.
Episodio magistrale, 45 minuti meravigliosamente costruiti!
Ormai la serie e’ cosi’ rodata (e siamo solo al sesto episodio) da potersi permettere una “digressione” come questa senza sbrodolare o annoiare o farti dire “cavoli ma che e’? cosi’ presto? ma dov’e’ Saul che son 30 minuti che non lo vedo?”. Vi confesso, temevo un po’ che un episodio interamente incentrato su Mike risultasse in qualche modo pesante o fuori luogo, invece sono riusciti a evitare tutte e due le cose (e parlo da non-fan sfegatata di Mike) con un episodio scritto, girato e interpretato come solo dagli autori di BB ci di puo’ aspettare (ok, magari gli Emmy sono un po’ troppo, ma Jonathan Banks mi ha stupita). Ottime le scene con Saul e ottimo il lavoro fatto su un personaggio controverso e misterioso (cosa che e’ ancora) come Mike.
Molto brevemente:
banks almeno da candidatura emmy.
serie che stupisce per tutta la struttura originale che gli è stata conferita nonostante ai tratti di apinoff.
gilligan un maestro.