Se la prima stagione di Inside No. 9 era iniziata con “Sardines”, un episodio in cui tutti i personaggi venivano lentamente ma inesorabilmente fatti entrare dentro un armadio, con questa puntata le dimensioni si ingrandiscono ma non di molto: abbiamo di nuovo un posto angusto la cui funzione è quella di mettere le persone in condizioni di forte disagio per vedere cosa può accadere.
“La Couchette”, premiere di questa seconda stagione, prende le mosse proprio dal pilot della serie, ma in un certo senso fa anche l’esatto opposto: se allora ad essere rinchiuse nell’armadio erano persone che si conoscevano tutte, e che in alcuni casi erano anche parenti, qui a dominare è l’elemento dell’estraneità. La non conoscenza dell’altro, che raggiunge con lo scambio di persona il suo punto più alto, unita alla ristrettezza dello spazio e dunque all’abbattimento di qualunque forma di riservatezza, acuisce la non tolleranza verso il prossimo, portando all’estremo forme di mal sopportazione, di violenza e di totale mancanza di rispetto (persino nelle forme più basiche, come appunto quella nei confronti dei morti).
Oh, fuck. I keep forgetting there’s other people in here.
Lo scopo di Shearsmith e Pemberton sembra quindi simile a quello già analizzato in precedenza, ma al contempo diverge proprio perché i due decidono di lavorare con tutti – tutti – i cliché legati alla frequentazione dell’altro, che vanno dall’incomunicabilità di lingue diverse fino alle trivialità peggiori, a base di doppi sensi e fenomeni fisiologici di qualunque specie.
Le intenzioni sembrano dunque chiare: la lenta ma continua introduzione dei personaggi costituisce un climax il cui apice non è, come potrebbe sembrare, la scoperta del cadavere, ma la scena del mattino successivo e la grottesca spirale di eventi che coinvolge gli uomini della couchette numero 9.
La divisione tra uomini e donne, infatti, è un altro dei punti nodali dell’episodio: in modo forse fin troppo netto, e per certi versi scontato, le uniche persone ad avere un minimo di dignità morale davanti alla scoperta del cadavere sono proprio le due donne, l’australiana Shona e Kath Cook (Julie Hesmondhalgh, Cucumber, Banana & Tofu). Sono infatti solo gli uomini a mostrarsi, per motivi diversi, i più restii a fermare il treno; sono loro quelli che, davanti alla morte di un’altra persona, optano per uno spudorato egoismo e cercano di autoassolversi partendo dal presupposto che tanto non ci sia più niente da fare per l’uomo in questione.
Non sembra dunque un caso che al mattino successivo Kath sia assente dalla scena (benché ritenuta probabile suicida) e Shona si isoli dal contesto guardando fuori dal finestrino per cercare di capire cosa stia accadendo: è agli uomini che viene riservato il momento più esagerato di tutti, in cui il dottor Maxwell e Les arrivano alle mani, mentre il tedesco (ma ancora sconosciuto) dottor Meyer rischia di liberarsi esattamente sulla faccia del morto.
Ci si chiede quindi il perché di una scelta simile, dato che non sembra proprio nello stile di Shearsmith e Pemberton risparmiare alle donne ruoli moralmente più complessi: se in questo caso si esclude una certa sfacciataggine iniziale della ragazza australiana (che comunque non costituisce certo una colpa), decidere di dividere in questo modo il gruppo sembra voler dare una matrice di genere alla relazione dell’individuo con la morte – seguendo l’antico adagio che conferisce solo al “gentil sesso” la delicatezza e la sensibilità adeguate per cogliere ciò che è più o meno opportuno.
“What’s the other fella coming in at and how can I undercut him without looking like a twat?”
Do you know what I mean?
Arriviamo quindi al “twist” finale, non esattamente un colpo di scena: il personaggio del dottor Maxwell, con il suo atteggiamento precisissimo e pignolo, risulta senza troppe sorprese il responsabile della morte dell’uomo, mentre il volgarissimo tedesco – secondo un gioco di specchi ad ogni modo piuttosto intuibile – si rivela come il vero dottor Meyer, evidenziando l’inutilità di quanto compiuto dal personaggio di Reece Shearsmith – e dunque aggravando, se mai possibile, le conseguenze dell’omicidio.
L’evidente prevedibilità della vicenda, pur non influenzando l’elaborazione di un episodio che ha su altri temi le basi della sua costruzione, contribuisce tuttavia ad alimentare una sensazione di già visto che di fatto permea tutta la puntata. La scelta di lavorare sui cliché tipici della costrizione ambientale è già di suo abbastanza pericolosa, proprio perché il rischio è quello di esagerare e di andare oltre il significato che si vuole trasmettere per assestarsi su una comicità facile e dall’impatto sicuro – è dimostrato, del resto, che l’umorismo più diffuso al mondo sia quello che coinvolge morte, sesso e deiezioni fisiche, ovvero i tre tabù degli esseri umani. Non è sbagliata di per sé l’idea di lavorare su questi temi e di rivederli alla luce di una voluta esagerazione, ma avrebbe contribuito maggiormente alla riuscita dell’episodio una svolta che appunto, dopo tutto questo, destabilizzasse il pubblico: come a dire “dopo aver messo in scena quanto di più scontato l’umanità possa offrire, ecco qualcosa che invece può ancora colpirci, stupirci, farci male”. Questo non avviene, e la sensazione che rimane è che in questa premiere si potesse osare un po’ di più.
Shearsmith e Pemberton inaugurano dunque la seconda annata di Inside No. 9 con un episodio che ha nelle performance degli attori – loro due in primis – il suo punto più alto; le intenzioni di base sono molto interessanti, ma lo stesso non si può dire della messa in pratica, che appare piuttosto scontata nella sua elaborazione. “La Couchette” risulta ad ogni modo una puntata godibile, anche se sappiamo benissimo che da una coppia creativa di quel calibro possiamo aspettarci molto di più.
Voto: 7
D’accordissimo con la recensione: è sempre bello vedere Pemberton e Shearsmith, ma si spera che con i prossimi episodi sapranno tirare fuori le loro cartucce migliori 🙂 anche perché questo “La Couchette” è inferiore a tutti quelli della prima annata, soprattutto per originalità e scrittura. Vedremo!
Credo di essere l’unico che non si aspettava un finale simile, nonostante ripensando alla prima stagione ci stava tutto. L’episodio comunque mi è molto piaciuto, vado per il 7,5.
Poi è chiaro che da questi due ci si aspetta qualcosa di ancora meglio.