Il formato di trasmissione degli episodi portato avanti da Netflix – ossia la messa in onda on demand dell’intera stagione – mai come in Sense8 ha una necessità pratica assoluta: siamo di fronte ad uno spettacolo che non segue i più canonici stilemi della serialità, perché appare molto più come un prodotto unitario e compatto.
Arrivati al quinto episodio, le intenzioni degli autori si fanno sempre più chiare: con Sense8 siamo di fronte ad un prodotto dalla struttura estremamente atipica per la serialità televisiva. Ciò che abbiamo davanti, infatti, può essere più correttamente assimilabile ad un complesso film che ha inizio con il pilot e che terminerà solo con il finale di stagione. Si tratta di una struttura che soltanto una modalità di rilascio come quella di Netflix riesce a valorizzare: infatti, quale serie dalla trasmissione regolare, che deve tener conto di ascolti e dell’attenzione del pubblico, potrebbe permettersi di entrare nel vivo solo al quarto episodio (nel nostro esempio significherebbe un mese dopo l’inizio)?
Ecco perché i primi episodi, ed il pilot in particolare, sono riusciti solo in parte: la serie sembrava non essere in grado di dire a sufficienza, puntate mutile di troppi elementi per riuscire a comprendere la portata del racconto dei fratelli Wachowski. Solo con uno sguardo più inoltrato nel prodotto – che raggiunge con “Art is like Religion” quasi la metà della stagione – è possibile cominciare a farsi un quadro più delineato delle intenzioni degli autori. Nonostante permangano alcuni dei difetti riscontrati nei primi episodi, è chiaro ormai come i due fratelli abbiano ripreso con più convinzione l’esperimento cinematografico di “Cloud Atlas” – che condivide moltissimo con questa serie – e siano tornati a raccontare del mondo interiore dei personaggi mediante un escamotage “fantastico”.
Gli otto personaggi principali di questa serie, che condividono tra loro un legame che viene meglio puntualizzato in questi due episodi, sono tutti esseri umani provenienti da parti diverse dal mondo, accomunati, però, dalle stesse istanze: sono persone che non riescono a venire a patti con il mondo che li circonda, tutti uniti dalla speranza di una vita migliore e più soddisfacente. Sono pieni di difetti e mancanze, e sembrano proprio le interazioni tra loro a dare un nuovo respiro alle rispettive vite, porto sicuro in una tempesta di paure ed ostacoli. Come affermerà lo stesso Jonas nel ruolo di guida spirituale, “you are no longer just you”: da quando Angelica ha dato loro la “vita”, essi hanno smesso di essere degli estranei che non si sarebbero probabilmente mai incontrati nella loro esistenza, e sono stati accomunati da una condivisione di emozioni e capacità. E infatti, uno dei momenti a più forti a livello emozionale finora riguarda la riuscita sequenza di “What’s going on” dei 4 Non Blondes, il primo vero momento di totale condivisione. Pregio di questo momento musicale è anche la capacità di saper trasmettere, almeno in parte, il turbinio di sensazioni che i Sensate condividono tra di loro, trasformandosi nel vero punto di forza del racconto.
Più che sul lato riguardante la trama generale, pur accennato nel pilot ed ancora lasciato pressoché in disparte, gli autori concentrano la loro attenzione sul lato umano e migliorano il lavoro fatto finora, che aveva prestato troppo il fianco alle giuste critiche su una facile stereotipizzazione (e di conseguenza, banalizzazione dei personaggi). Non che questi problemi siano risolti, ma non possiamo negare che una maggiore cura nella scrittura dei dialoghi abbia saputo dare nuova linfa ad alcuni di questi esempi di umanità.
Prendiamo Sun: al momento appare come uno dei più affascinanti tra gli otto. La sua descrizione iniziale sembra essere tratta direttamente dal manuale dello stereotipo: coreana, sottovalutata dal padre in quanto di sesso femminile e grande esperta di arti marziali. Questi pochi elementi erano stati sufficienti a tratteggiare quella che appariva come una personalità estremamente banale, ma che in questi due episodi inizia a muoversi in maniera più indipendente. Si ritrova, infatti, di fronte alla difficile scelta di dover confessare un crimine che non ha commesso per salvare l’onore della famiglia (e rispettare la promessa fatta alla madre) o vendicarsi per tutti i maltrattamenti e le crudeltà subite. Una posizione estremamente scomoda ma che acquista maggiore centralità anche in concomitanza con il toccante incontro con Capheus.
Quest’ultimo è a sua volta divorato dal dubbio: cosa è disposto a fare per aiutare sua madre? Accettare l’offerta di lavorare per un uomo pericoloso pur di ottenere le medicine di cui la donna ha bisogno? Quando sia lui che Sun si ritrovano privi di certezze, la loro “interazione” stabilisce un precedente di importanza capitale: nel momento di una forte emozione i Sensate si avvertono, si avvicinano e si confrontano. Il legame è spirituale e crea dei ponti tra di loro superando ogni ostacolo materiale – inoltre con Capheus e Sun che parlano rispettivamente coreano e swahili ci viene finalmente chiarita la questione linguistica.
La forza e la portata di questa connessione si rende ancor più evidente in altri due casi: il primo è la fuga di Nomi dall’ospedale grazie all’aiuto di Will, i due unici personaggi che, al momento, sembrano avere un legame deciso con la trama principale. Già nel terzo episodio ne avevamo avuto un assaggio con l’ottima scena d’azione di Capheus, ma qui si fa un passo avanti perché Will agisce con piena coscienza di sé. Dopo l’incontro con Jonas (che chiarisce anche l’esistenza di più “cerchie” e più Sensate) Will non subisce più passivamente le connessioni con gli altri, unico nel suo genere, ma riesce a “scivolare” dentro Nomi per portarla fuori da quel luogo di terrore. La morte della blogger viene sventata, ma le condizioni del suo appartamento sembrano voler confermare la teoria che il dottor Metzger sia fortemente implicato in qualcosa di più. Quella di Nomi, comunque, si rivela la storia più ampia e per questo al momento riesce a catturare l’interesse dello spettatore grazie anche all’ottima chimica tra Jamie Clayton e Freema Agyeman.
Se due persone entrano in una connessione emozionale così potente da riuscire ad annullare le distanze fisiche, cosa impedisce ai due di innamorarsi a vicenda? Sembra questo il destino di Kala e Wolfgang: la prima incastrata in un matrimonio senza amore, nonostante il promesso sposo sembri amarla profondamente; l’altro uno scassinatore che è riuscito laddove il padre aveva fallito, ma che non ha mai superato la vergogna per quel genitore violento e terribile. Due personalità infelici, che si ritrovano in un momento di debolezza e che tornano per un attimo a sorridere mentre cantano. Il legame che si sta formando tra loro è la naturale conseguenza di due anime che si riconoscono e che vedono nell’altro la speranza della fuga da una realtà povera ed insoddisfacente. Lo svenimento di Kala al proprio matrimonio proprio per l’apparizione di Wolfgang (nudo) e la sua frase “You’re not in love with him” metterà probabilmente in discussione tutto quanto fatto da entrambi fino a questo momento.
Dopo il grande exploit dei primi episodi, Riley Blue viene in parte messa in un angolo e in questi due episodi appare solo per dei fugaci ed inconsistenti momenti; più spazio viene lasciato a Lito il quale sembra però dover assolvere il ruolo di personaggio comico ed eccessivo. La sua vicenda di attore di soap segretamente omosessuale non è né originale né particolarmente interessante; e non basta l’idea di una vendetta da parte dell’amante di Daniela per risollevare quella che risulta la storyline meno riuscita sinora.
Sul lato tecnico continuiamo ad apprezzare la resa pratica delle interazioni tra i vari Sensate, momenti spesso di ottima fotografia e di straordinaria riuscita emotiva. Ancor più efficaci, poi, le poche scene d’azione che li vedono alternarsi, con una costruzione visiva (ed un montaggio) in grado di reggere il ritmo sostenuto e la visione onirica di cui ha necessità.
Quello che i fratelli Wachowski stanno cercando di fare, ancora non completamente a fuoco, è raccontare storie di persone spezzate, divise; con un azzardato paragone con Lost (l’Isola che accoglieva persone che necessitavano di una seconda possibilità, di espiare gli errori e le sofferenze del passato), gli autori tratteggiano con delicatezza e calma degli esemplari di umanità che hanno bisogno degli altri per colmare le proprie mancanze. Nel fare questo, inseriscono anche tematiche di un certo rilievo – molto presenti gli argomenti LGBT, ma anche altri temi come il sistema politico/medico corrotto keniota, ad esempio – nel tentativo di disegnare un unico grande percorso umano.
La domanda che sorge spontanea a questo punto riguarda il successo o meno di quest’operazione: grazie a questi ultimi due episodi la risposta inizia ad essere più concretamente affermativa. Non mancano, dicevamo prima, vari difetti, soprattutto nella caratterizzazione di alcuni personaggi e nella banalizzazioni di taluni dialoghi; questi errori vengono in parte corretti in corso d’opera ed i personaggi stessi, con qualche eccezione, ne guadagnano grandemente in profondità. Ciò che però domina è una grande forza emotiva che riesce a superare gli ostacoli imposti da una scrittura non perfetta e a diventare una vera e propria calamita nei confronti dello spettatore.
Sense8 probabilmente avrà bisogno di un giudizio definitivo solo al termine della stagione; per il momento, però, si può concretamente affermare che la strada del miglioramento è stata imbracciata con decisione e se si dovesse continuare con questo percorso (anche con una verosimile ripresa della trama principale), la serie sarà in grado di dirci e darci davvero molto.
Voto 1×04: 7 ½
Voto 1×05: 7
Bellissima recensione Mario!
Il momento della canzone è forse è uno dei primi step di grande intensità della serie. Da qui in poi si va avanti per scene madri.
Dici bene quando sottolinei l’indispensabilità dell’accesso alla stagione completa, questa serie guadagna tantissimo se seguita come un flusso, anche perché dopo 3-4 episodi vien voglia di berla in un solo sorso.
Una delle cose più riuscita è il bilanciamento tra la trama principale e le storyline dei personaggi, cosa che emerge solo con l’andare avanti degli episodi, il cui equilibrio nei primi atti può sembrare privo di senso. Solo con una visione d’insieme emerge il movimento di vai e vieni tra alcune questioni affrontabili solo prendendosi una pausa dal main plot e il procedere incessante, sotto traccia, di quest’ultimo.
Queste 2 puntate segnano il punto di svolta in cui amio avviso lo spettatore non può fare altre che decidere di andare avanti e contiuare a seguire questo splendido viaggio, partito in sordina e senza botti ma che chiarisce in queste 2 puntate che la serie è una serie si misteriosa e paranoide ma soprattutto un on the road nelle vite di 8 personaggi dverssissime fra loro ma accomunati dalla connessione che li spingerà probabilmente a diventare un WE e non più un I.
La scena in cui tutti ci connettono fra loro nella canzone dei 4 blondes è a mio avviso il punto più alto fin qui raggiunto nonchè una scena resta nella mente e nelle orecchie per molto tempo.Promossa la serie per me non c’è che dire. Mi aspettavo altro ma sono contetnto di quel che ho davanti.