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It’s time to move on.

“Move On” è il concetto che percorre l’intero episodio, forse anche troppo: continuare a dirlo non giova di certo alla fluidità ‒ già scarsa ‒ dei dialoghi, anche perché il fil rouge delle idee degli sceneggiatori è comunque chiaro anche senza continuare a sottolinearlo. Qui si ha il primo e unico stravolgimento di una trama che aveva fatto dei colpi di scena scialbi e telefonati (alcune volte al limite del ridicolo) la sua ragione d’esistenza: il ribaltamento dell’impressione che si ha guardando un flashforward quando si credeva fosse un flashback è abbastanza forte da lasciare stupiti, anche perché finalmente non ci viene gridato in faccia da dialoghi-spiegoni ma attraverso dettagli che ci fanno comprendere piano piano, senza rovinare l’effetto sorpresa.

Chester’s Mill un anno dopo è una cittadina felice, senza problemi, e qui cominciano i primi guai con una sceneggiatura che, di nuovo, non convince: succede tutto troppo in fretta, scelta dettata anche dal fatto che gli autori non sarebbero stati capaci di riempire più di una puntata con il “finto futuro”, per colpa di una caratterizzazione banale e indecente (sia dei personaggi che del luogo, vero e proprio protagonista) fatta negli anni precedenti.
Anche il mistero della morte di certi personaggi che ricompaiono e la mente del protagonista che assimila la notizia inventandosi un passato che non esiste sono gestiti male e in maniera troppo frettolosa e superficiale, per non parlare del personaggio di Ben Drake, portatore dei dubbi dello spettatore e addetto a sciogliere il mistero che viene ignorato per due stagioni salvo poi assurgere a personaggio fondamentale, per di più per una sola puntata. Un peccato che questa serie abbia degli autori così poco talentuosi nel dipanare l’intreccio, perché la New Chester’s Mill poteva essere sfruttata molto meglio, soprattutto con l’alternanza di montaggio che ha visto protagonista a latere la rossa Julia Shumway.
You were saying her name again.

La scelta di ambientare parte della narrazione un anno dopo la distruzione della Cupola non porta nessun beneficio ai personaggi, che potevano essere rappresentati in maniera molto più interessante, rendendoli diversi al punto giusto almeno da farci incuriosire. Invece i protagonisti sono piatti e monosfaccettati (la ragazza che va al college e diventa parte di una confraternita, il belloccio che fa strage di ragazze, il timido chiuso in se stesso), per non parlare di Dale Barbara, sempre con la stessa espressione e con un attore che lo impersona terrificante quando tenta di piangere ‒ la scena del ritrovamento del corpo di Julia sembra uscita da “Occhi del cuore” di Boris.

Il personaggio come sempre più interessante, anche se foriero di mille problemi di scrittura (ma ci siamo abituati), è quello di Big Jim Rennie, guarda caso interpretato dall’unico attore degno di nota di tutta la serie. Tralasciando la meccanicità e la scrittura elementare di alcune sue azioni ‒ o l’ironico “Non c’è niente da vedere in tv”, che in questo caso suona quasi grottesco ‒, Big Jim è quantomeno sfaccettato: è sì un criminale, ma è l’unico che ha capito la natura della Cupola e per questo agisce anche nel bene di tutti, non solo per tornaconto personale. Insomma, il personaggio di Dean Norris è tutt’altro che perfetto, ma quantomeno riesce a dare un po’ di dinamismo a delle relazioni altrimenti piatte e senza verve.
Questa doppia première di Under The Dome parte con un buon proposito che purtroppo viene subito disatteso, ritornando a quello standard di scrittura e messa in scena che aveva rovinato l’opera di Stephen King. Insomma, per questa serie le speranze di migliorare sono pari a zero: la curiosità a questo punto sta tutta nel vedere se, una volta toccato il fondo, si inizierà a scavare.
Voto: 4/5

Mollata a metà seconda stagione, era diventata davvero inguardabile Ahahahah
Mi confermate che lasciarla era L’ unica cosa buona da fare ? Ahahah
Confermo. Vado avanti solo per deformazione professionale. 😀
Gli occhi del cuore era mooolto meglio!