Ancora oggi nel 2015, specialmente in Italia, è difficile trovare un prodotto più sottovalutato delle serie animate: se oltreoceano le distinzioni con le loro sorelle più “concrete” si stanno sempre più assottigliando, nel nostro caso la stragrande maggioranza della popolazione vede l’animazione come qualcosa di più leggero e meno impegnativo.
Si tratta di un pregiudizio che, nonostante l’avvento ormai consolidato di serie come I Simpson e South Park (tutt’altro che semplici e dirette ai bambini), stenta ancora ad essere abbandonato, e la peggiore conseguenza di questa mentalità sta proprio nell’aver ignorato due tra le serie comedy più importanti di questo nuovo decennio, portatrici di un’eredità che fin troppi hanno cercato nei posti sbagliati. È infatti noto a tutti come i due show forse più importanti per l’evoluzione della comicità televisiva recente siano Arrested Development e Community, fondamentali nella creazione di un genere di comedy più intelligente e referenziale, in grado di mescolare una scrittura perfettamente calibrata e di richiedere in grande quantità l’attenzione dello spettatore.
Ma le creature di Mitchell Hurwitz e Dan Harmon hanno fatto il loro tempo: nonostante il salvataggio da parte di Netflix, il potenziale rivoluzionario della prima si è esaurito con le sue prime tre stagioni, e lo stesso vale per Community, che è nota per aver brillato in maniera indiscutibile solo fino al 2012. Rimane, quindi, un vuoto da riempire, un testamento da recuperare e rielaborare, un po’ come avvenuto sul versante drama con Mad Men (che ha seguito The Sopranos), Homeland (che ha fatto lo stesso con 24) e moltissime altre. Nel nostro caso le due serie che, più di tutte, hanno saputo far tesoro delle eredità delle precedenti sono proprio animate, e condividono la stessa capacità di sfruttare gli insegnamenti dei propri prequel ideali per costruire qualcosa di nuovo.
Archer – Now the story of a wealthy family…
La creatura di Adam Reed è senza dubbio la più longeva delle due presentate ed è ormai andata in onda per ben sei stagioni. La premessa, oltre ad essere molto semplice, rende chiara fin da subito la scelta di optare per un format più dinamico come quello animato: Sterling Archer, infatti, fa parte di un’organizzazione privata di spionaggio che lo porta, insieme ai colleghi, a viaggiare nelle parti più disparate del mondo, in una serie di missioni e avventure che solo uno show di questo genere poteva rendere al meglio senza necessitare di un budget esorbitante. In questo modo si crea una routine che garantisce la varietà di temi ed idee di cui la serie ha bisogno per poter affrontare quello che è il suo cuore: i personaggi, o meglio i disfunzionali e problematici rapporti che li legano. Non è un caso che il creatore stesso della serie l’abbia definita come “James Bond meets Arrested Development”, e fin dal pilot tale componente viene fortemente sottolineata: il legame freudiano tra Archer e la madre e la travagliatissima relazione tra i colleghi Lana e Cyril fanno parte di un filo conduttore che prende le mentalità distorte e quasi malate dei personaggi e le convoglia in storyline sempre fondate sull’evoluzione di chi ne è protagonista.
Ed è su questo che si fonda la prima, grande rivoluzione del genere apportata dalla serie: in Archer non esiste un individuo che rimane per una stagione uguale a se stesso, non esiste quel ritorno allo status quo alla fine di un episodio che ha caratterizzato gli show animati più classici. Il percorso svolto dalla serie si muove costantemente in avanti, e questa maniacale attenzione per i personaggi ha portato a dei risultati incredibili, spesso senza paura di osare pur di raggiungere gli obiettivi preposti. Si pensi, ad esempio, ad alcuni archi pluri-episodici cominciati a partire dalla seconda annata, o ancor di più alla svolta grazie alla quale come quinta stagione della serie è arrivata Archer: Vice, in cui i protagonisti abbandonano il loro lavoro per spacciare – a parole loro – “literally, not figuratively, a ton of cocaine”. Non si tratta di uno spin-off dello show, ma semplicemente di una stagione atipica, in cui gli archi narrativi seguono un ritmo più rilassato e quasi drammatico e i percorsi dei personaggi vengono alterati definitivamente; la sesta annata sarebbe tornata sul tono più classico della serie, ma le conseguenze di quella precedente vengono tutt’altro che ignorate, a dimostrazione della maturità raggiunta dallo show.
Tuttavia, non sono solo i temi e le caratterizzazioni dei personaggi che accomunano la serie al suo illustre genitore: l’altra qualità fondamentale a consolidare Archer come una delle comedy più riuscite degli ultimi anni sta nella sua immensa capacità di costruire i tempi comici, curati con un’ossessione quasi maniacale. Ogni battuta è scandita al millisecondo, ogni risposta non arriva mai né troppo presto né troppo tardi: sia gli interpreti (molti dei quali, tra l’altro, presenti anche in Arrested Development, come Jeffrey Tambor e Jessica Walter) che gli autori riescono ad elevare il potenziale comico della serie all’ennesima potenza, e ciò avviene perché non c’è mai una singola parola fuori posto.
Oltre a ciò, comunque, si può dire che la creatura di Adam Reed si inserisca perfettamente nella linea di show come il suo predecessore e Community per l’attenzione a quelle che sono le running jokes, ovvero battute utilizzate e riformulate nel corso della serie, in grado di garantire una continuity all’interno delle stagioni che prescinda dal mero svolgimento della trama e dei personaggi. A tal proposito, si può dire che Archer abbia raggiunto forse i risultati più riusciti in assoluto, elaborando gli insegnamenti delle due serie sopracitate: è quasi impossibile tenere il conto di quelle che sono le battute “storiche” create da Reed e dagli autori, eppure non ce n’è nemmeno una che non entri immediatamente nella testa dello spettatore, ed espressioni come “phrasing” o “Danger Zone” sono destinate ad entrare nella storia della comicità degli ultimi anni.
Consigliare la serie a tutti, però, non sarebbe una scelta saggia: Archer funziona perfettamente su chi ha amato la corrosività e la comicità di Arrested Development, ma in questo caso è ancor più necessario avere una predisposizione al politicamente scorretto piuttosto resistente. Una delle leve su cui l’umorismo dello show si fonda è proprio la cattiveria, le perversioni dell’essere umano, per non parlare di battute che toccano argomenti come il cancro e l’omicidio; per chi non ha problemi a gestire argomenti di questo genere ciò diventa un vantaggio, perché le esagerazioni della serie funzionano benissimo nel provocare risate di cui ci si pente poco dopo. Invece se cercate qualcosa di più tradizionale (dal punto di vista, in un certo senso, morale) allora il consiglio è di stare alla larga da Archer: non farete che irritarvi piuttosto spesso.
Rick and Morty – Nobody exists on purpose, nobody belongs anywhere.
Se la creatura di Adam Reed era stata da lui stesso definita come un incrocio tra Arrested Development e James Bond, nel caso di Rick and Morty i due prodotti che saltano subito all’occhio sono Community e Futurama, che non a caso è stata una delle comedy più importanti degli anni 2000. La serie è andata in onda, per ora, per una sola stagione nel 2014 (mentre la seconda comincerà il 26 luglio), ma è riuscita a lasciare subito il segno su tutto il panorama televisivo, occupando quei vuoti che le due serie sopracitate hanno lasciato dopo essersi concluse. I due creatori, ovvero Dan Harmon (showrunner, appunto, di Community) e Justin Roiland (Adventure Time), si avvalgono di una premessa come al solito molto semplice, ma ricchissima di potenziale: Rick Sanchez e Morty Smith non sono altro che la rielaborazione del rapporto storico introdotto da Ritorno al Futuro, in cui Marty (sì, la somiglianza tra i nomi è voluta) è guidato da un mentore anziano e geniale, al limite del folle. La differenza, in questo caso, è che la relazione tra i due assume dei connotati molto più ambigui: il limite tra l’insegnamento e lo sfruttamento nei confronti del ragazzo è molto confuso e spesso oltrepassato, così come tutti i rapporti all’interno della famiglia presentano delle sfumature non molto positive. Non siamo ai livelli del pessimismo acuto di Archer, ma il tono inizialmente scanzonato della serie si rivelerà presto solo di facciata, viste le numerose svolte tendenti al drammatico e al black humor.
Ma quello che è il maggiore punto di forza della serie – e il modo in cui l’eredità di Community viene sviluppata e reinterpretata – è la sua capacità di rielaborare topoi appartenenti a tutti i generi in maniera personalissima, portando le situazioni fino all’eccesso. In maniera simile a quanto avveniva col paintball e le partite di Dungeons & Dragons, in Rick and Morty ogni episodio presenta uno scenario che viene esagerato e sfruttato all’inverosimile, senza arrivare a rovinarne le premesse; la componente fantascientifica dello show, inoltre, permette agli autori di arrivare ad ogni situazione possibile nel modo desiderato, senza la paura che il percorso scelto risulti inverosimile o forzato. Fin dall’inizio il nonsense e l’assurdo caratterizzano le gag e le battute della serie, che, unite ad un sempre riuscito citazionismo, riescono a creare un pastiche che calibra perfettamente l’utilizzo di una cultura già consolidata e la creazione di una propria irresistibile mitologia, formata da personaggi e mondi assurdi e surreali.
Si pensi, ad esempio, alla figura (introdotta nel quinto episodio) dei Mr. Meeseeks, alieni che vivono solo con lo scopo di risolvere i problemi degli umani, che si tratti di trovare un senso nella propria vita o di riuscire a realizzare due colpi di fila a golf; è una “specie” che si introduce perfettamente nello spirito della serie, vista, nello specifico, la loro necessità di portare subito a termine l’obiettivo preposto, pena una sofferenza sempre maggiore.
Da ciò si può intuire l’anima squisitamente ibrida che caratterizza la serie, quella capacità di introdurre elementi drammatici senza intaccare lo spirito comico che permea le situazioni presentate; in questo modo, si aggiunge profondità senza per questo sacrificare le risate, e ogni puntata scorre velocemente pur trattando temi e problemi piuttosto complessi da assimilare. È difficile concludere un episodio di Rick and Morty senza poi cominciarne un altro, e ciò deriva dalla sua comicità magnetica e mai scontata, dalla spettacolarità delle immagini, dalla sconfinata immaginazione degli autori ma soprattutto dalla loro abilità nel creare qualcosa che vada oltre il concetto tradizionale di serie animata e di comedy in generale. Così come Community aveva trasformato il genere in qualcosa di più ambizioso ed originale, la creatura di Harmon e Roiland ha portato avanti lo stesso percorso, e il fatto che lo abbia realizzato in una sola stagione lascia ben sperare per il prosieguo della serie.
Il futuro della comicità televisiva è quindi ancora al sicuro: nonostante diversi show storici si siano ormai conclusi ce ne sono altri che hanno preso il loro posto, sfruttando dei format o dei generi meno convenzionali e, per questo, riuscendo ancor di più nel processo. Visti i risultati, insomma, forse sarebbe ora di abbandonare quei pregiudizi che non hanno più senso di esistere, in modo da poter assistere in maniera più completa alla continua evoluzione di un genere destinato a non morire mai.
Nessuno dimentichi l’indimenticabili due stagioni di Bojack Horseman, grande serie fino ad adesso.
Ciao Mattia, nessuna dimenticanza: trovi la nostra recensione senza spoiler (in cui consigliamo la serie) a questo link! https://www.seriangolo.it/2015/11/bojack-horseman-back-in-the-nineties