Cosa ci rende umani? Questa l’impossibile domanda posta da Humans, la nuova serie di Channel 4 che, giunta al terzo episodio, sembra confermare le ottime impressioni suscitate dal pilot, continuando ad approfondire in maniera coerente ed efficace le questioni poste alla base dello show.
.
Non solo, con il procedere delle puntate Humans affina costantemente la sua narrazione, rendendo il racconto più coeso e le situazioni e i rapporti messi in scena meno scontati.
Le diverse storyline che ci sono state presentate nel pilot risultano infatti sempre più strettamente intrecciate tra loro, e al centro di ciò troviamo – non a caso – Anita, la cui carica perturbante si fa sempre più intensa.
Oltre a essere oggetto delle ricerche di Leo e Hobb, il synth ha assunto innanzitutto il ruolo di catalizzatore di un’ampia gamma di reazioni e sentimenti da parte della famiglia Hawkins, ponendosi quindi fin da subito come il principale trait d’union tra l’anima intimista e quella action della serie.
Se alla fine del secondo episodio il clima di – più o meno fondata – paranoia in cui vive Laura, unito all’ambiguo sorriso di Anita con cui si chiude la puntata, rischiavano di sfociare in un clima da thriller domestico abbastanza banale, la puntata successiva rimescola ulteriormente le carte andando a dipingere delle dinamiche ben più complesse e sfumate. Il salvataggio di Toby e, soprattutto, il gesto di comprensione nei confronti di Laura e del suo ruolo di madre, non pongono fine ai dubbi della donna su Anita – anzi – ma ne mutano radicalmente la natura. Laura non scorge più (solo) una minaccia, ma riconosce in lei un tratto che reputa inconfondibilmente umano, ovvero la capacità di provare empatia. Cos’è quindi che ci rende veramente umani? Forse la capacità di provare compassione per qualcun altro, di comprendere i suoi sentimenti e di compiere un atto di gentilezza disinteressato?
Se una macchina può provare empatia nei confronti dell’uomo, allo stesso modo l’uomo non può fare a meno di provare sentimenti per una macchina che si rivela così simile al suo creatore. Rotti o malati, Odi e il dottor Millican sono entrambi vittime di una cultura usa e getta e iper-salutista che finisce col legalizzare la tanto temuta sottomissione dell’uomo alla macchina tramite la soppressione del libero arbitrio. Quella di Odi, synth di vecchia generazione ormai guasto, è un’umanità riflessa, che prende forma unicamente dall’affetto di George, riecheggiando in questo senso le parole rivolte a Laura da Anita sull’insita tendenza dell’uomo ad antropomorfizzare, e quindi a rendere umano, anche ciò che umano non è. È interessante notare come questo meccanismo finisca col coinvolgere lo stesso spettatore che, in più di un caso, si ritrova quasi inconsapevolmente a condividere le reazioni degli umani di fronte ai synth, dando vita a un interessante cortocircuito: pensiamo alla pena che non possiamo fare a meno di provare nei confronti di Odi abbandonato nella foresta, ma anche all’impressione suscitata dalla sequenza in cui Anita si perfora l’iride con uno stuzzicadenti.
Essere umani però non significa solo nutrire sentimenti come l’affetto e la compassione: la possibilità di provare odio e infliggere dolore sono caratteri altrettanto peculiari dell’uomo e a Niska spetta il compito di rappresentare questo più oscuro risvolto della medaglia. Dopo aver coscientemente subito innumerevoli soprusi, la ribellione al suo stato di asservimento infatti non può che passare per la violenza. L’uccisione di un cliente da parte del synth si pone come un momento di svolta fondamentale nella narrazione, in quanto costituisce la prima esplicita rottura del “blocco di Asimov” atto a garantire l’incolumità dell’uomo nei confronti degli androidi – e che può essere sintetizzato in quel “Primum non nocere” che vediamo proprio sul libro donato a Niska dal suo creatore. Questo avvenimento, oltre a favorire un movimento centripeto delle diverse storyline – portando ad esempio all’incontro tra Hobb e Drummond – va a ridefinire, anche in questo caso nell’ottica di una maggiore ambiguità, le figure del villain e del synth cosciente. Appare chiaro che le preoccupazioni di Hobb, per quanto motivate innanzitutto da un tornaconto personale, non siano infondate: Niska sembra infatti lontana dal reputare conclusa la sua vendetta nei confronti del genere maschile.
Uno dei maggiori meriti di questi episodi è proprio la graduale introduzione del punto di vista dei synth come contrappunto a quello degli umani che aveva invece pervaso il pilot. Questo vale soprattutto per Niska, di cui seguiamo l’emancipazione e l’ingresso nel mondo degli umani per poi osservare i sentimenti contrastanti che prova nei loro confronti, ma in modo indiretto anche per Anita. Lentamente iniziamo a comprendere la sua situazione, scoprendo che l’ambiguità con cui ci è stata presentata corrisponde a uno stato effettivo difficile da incasellare: evidentemente non basta un reset per cancellare una coscienza, e così quella vissuta da Anita/Mia è una costante oscillazione tra lo stato di normale synth e quello di androide cosciente, in cui il lato “umano” riemerge inaspettatemente senza che lei ne sia consapevole, proprio in risposta alle interazioni con gli Hawkins.
A restare ancora ai margini della narrazione, confermando il taglio originale e intimista dello show, è proprio quella parte del racconto più vicina all’action sci-fi, che vede protagonisti da un lato Leo e dall’altro Hobb, entrambi alla ricerca dei synth coscienti. La relativa linearità e lentezza con cui si sta svolgendo mostra come questo segmento sia in buona parte subordinato all’analisi del rapporto uomo-macchina che, come abbiamo visto, per ora trova altrove i suoi fulcri di riflessione prediletti. L’amore di Leo nei confronti dei synth (di Mia in particolare), ma anche il rapporto di Hobb con questi e con il loro creatore, necessitano ancora di essere approfonditi ma mostrano comunque un ottimo potenziale che, se sfruttato in maniera adeguata, andrà ad ampliare maggiormente la riflessione e a rendere il racconto ancora più organico.
In un periodo in cui, sia sul grande che sul piccolo schermo, la fantascienza è sempre più ridotta a sinonimo d’intrattenimento, Humans ci ricorda che un’altra via è possibile, tornando a usare la cornice sci-fi per parlare di temi estremamente reali come il rapporto con il diverso e soprattutto con noi stessi.
Voto 1×02: 7½
Voto 1×03: 8
Bellissima recensione per una serie in continua ascesa. Apprezzo soprattutto la creazione di questo universo così simile al nostro ma radicalmente diverso: gli esseri umani sono dipendenti dai synth come noi siamo dipendenti dai nostri smartphone, dai nostri social network.
Il tema della tecnologia che migliora se stessa fino a creare e poi a superare la vita umana non è certo dei più originali, ma credo che solo Battlestar Galactica e I.A. siano riusciti a farmi riflettere così intensamente come quando guardo Humans. A questo punto sarei curioso di recuperare Real Humans.
Grazie Davide! Eh sì la buona fantascienza è ormai merce rara ma per fortuna non ancora del tutto scomparsa 🙂