Sulla carta, le probabilità che Mr. Robot si rivelasse qualcosa di più di un semplice procedurale erano decisamente basse: USA Network non spicca certo per la qualità dei suoi prodotti e il suo creatore, l’esordiente Sam Esmail, non era un nome in grado di fornire alcuna garanzia o aspettativa a riguardo.
Tuttavia, come ci ha già dimostrato NBC con Hannibal, a volte i canali generalisti riescono a stupirci: giunti a tre episodi dalla fine di questa sorprendente stagione d’esordio, Mr. Robot può infatti considerarsi a tutti gli effetti come una delle più interessanti novità del panorama televisivo. Nel corso degli episodi lo show è riuscito a sviluppare un’identità personale, fatta di citazioni, eleganti soluzioni registiche e, soprattutto, una scrittura dei personaggi pressoché impeccabile. “Brave traveler” e “View source” non fanno che confermare queste ottime impressioni, presentandosi come due episodi profondamente diversi nell’impostazione ma entrambi in grado di colpire dritto allo stomaco lo spettatore, regalandoci delle sequenze dall’enorme impatto visivo ed emotivo.
Le due puntate divergono in maniera sostanziale nei blocchi centrali che le compongono, ma le scene d’apertura e chiusura dialogano tra loro molto da vicino, andando a comporre un interessante gioco di rimandi il cui filo rosso è Shayla, o meglio la sua assenza e il suo ricordo. Durante l’incontro – che poi si rivelerà essere l’ultimo – tra Elliot e Shayla alla tavola calda, è lei a ricordargli il loro primo incontro; ed è proprio con questo che si apre l’episodio successivo. Pur raccontando un evento già noto e quindi in apparenza superfluo, il flashback, nella sua dimessa quotidianità, riesce ad amplificare la sofferenza e il senso di colpa di Elliot per la morte della ragazza mettendo in scena l’intima connessione instauratasi fin da subito tra i due. Sono i sentimenti di Elliot a farla da padrone nelle devastanti sequenze finali, le quali non fanno che confermare ulteriormente la bravura di Rami Malek: in entrambi i momenti la camera indugia in modo spietato sul suo volto, su cui riusciamo a leggere tutto il dolore per la perdita di Shayla e per la consapevolezza della sua profonda solitudine.
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Evitando accuratamente il format del procedurale, Esmail è riuscito a dare vita a un racconto incredibilmente coeso, in cui ogni tassello ricopre un ruolo ben preciso nell’economia generale della storia, senza però rinunciare a una diversificazione narrativa che gli permette di sperimentare e spaziare tra generi diversi. Continua così la rilettura di alcuni topoi dell’heist movie, i quali vengono organicamente inseriti nella più ampia cornice del percorso di formazione che vede protagonista Elliot. Ne risulta un episodio adrenalinico, attraversato da cima a fondo da una tensione costante e segnato da un’imprevidibilità figlia del personaggio di Vera, la cui follia porta Elliot – e lo spettatore – a sottovalutarne la spietatezza fino al tragico epilogo.
Come si diceva poco sopra, la vocazione action dell’episodio non impedisce però agli autori di mettere in scena l’anima più intimista della serie, affondando a piene mani nella psicologia di Elliot fino a giungere a un punto di rottura.
“Fight or flight?”: è questa la domanda che Elliot continua a porsi lungo tutto il corso dell’episodio, durante il quale lo vediamo costantemente annaspare alla ricerca della mossa giusta che permetta a lui e Shayla di sopravvivere. Quello in cui si ritrova invischiato suo malgrado è però – per usare le parole di Mr. Robot – un “gioco a somma zero”, in cui la vittoria, ovvero la sopravvivenza di entrambi, non è un’opzione contemplata. Elliot, che ne sia o meno consapevole, è un (anti)eroe destinato al fallimento, ma nonostante ciò decide di combattere, tentando di essere il “brave traveler” di cui parla Vera. Questo non gli impedirà di scontrarsi con la cruda verità del corpo senza vita di Shayla, davanti alla quale non potrà fare altro che scappare; ciò che conta però è la strada che il suo personaggio ha percorso finora, e che lo ha portato a mettersi in gioco e a scoprire cosa significa avere a cuore qualcuno.
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Il settimo episodio, pur indagando le conseguenze della morte di Shayla su Elliot, mette coraggiosamente da parte il suo protagonista – assente per tutto il blocco centrale della puntata – per dare spazio agli altri personaggi e storyline, organizzandole intorno al tema dell’accettazione della verità.
Angela prosegue nel suo cammino alla ricerca di giustizia, speculare a quello di Elliot, giungendo a un faccia a faccia con Colby. La violenza verbale che è costretta a subire durante il loro primo incontro rappresenta solo un prologo al ben più devastante resoconto della sera in cui partecipò all’occultamento della perdita di rifiuti tossici. La verità bramata da Angela si rivela in tutta la sua crudele banalità, fatta di mero egoismo e tattiche di rimozione: quello che si trova davanti è un uomo che solo in quel momento, ad anni di distanza, sembra prendere consapevolezza delle sue azioni e delle conseguenze che queste hanno avuto. Il confronto tra l’uomo e la ragazza riesce a portare il manicheo scontro tra Evil Corp e vittime innocenti su un piano più concreto e umano. Il desiderio di giustizia di Angela la conduce infatti di fronte a una scelta non così lontana da quella di Colby, tra i suoi interessi personali e quelli dei dipendenti dell’azienda per cui lavora.
L’altro protagonista indiscusso dell’episodio è Tyrell, il quale al contrario di Angela non sembra ancora pronto ad affrontare la verità circa la sua natura. Nonostante l’apparenza calcolatrice e infallibile l’uomo si sta rivelando, fin dall’umiliazione subita da Knowles nell’episodio precedente, sempre più disperato e fuori controllo, come dimostrano l’ennesimo scatto di rabbia nei confronti dei colleghi e, soprattutto, la sconvolgente sequenza sul tetto. L’omicidio della moglie di Scott si abbatte sullo spettatore come un fulmine a ciel sereno, amplificando la dimensione tragica e disturbante del personaggio, che in fin dei conti potrebbe trarre giovamento da quello che comunque sembra quasi sicuramente essere stato un impulso irrefrenabile e non parte di un piano premeditato.
Ad accettare in pieno la verità circa la sua natura è invece Mr Robot, che vediamo dichiarare ripetutamente a Romero la sua follia fino a trasformare la sua ammissione in una minaccia. Al di là del carattere interlocutorio delle sequenze che lo vedono protagonista, queste risultano particolarmente interessanti nell’ottica della discussione circa la vera natura del personaggio: lo vediamo infatti interagire con gli altri membri della fsociety senza che Elliot sia presente, ma ciò potrebbe sia confermare la sua reale esistenza che al contrario alludere in maniera più decisa a uno sdoppiamento della personalità del ragazzo. A ogni modo il fatto che arrivati al settimo episodio ciò sia ancora oggetto di discussione non può che essere un ulteriore punto a favore per la serie, che in più occasioni ha mostrato di saper giocare in maniera intelligente con le aspettative del pubblico.
Con la confessione di Elliot, l’accordo di Angela e Colby, l’omicidio di Sharon e l’imminente incontro tra la fsociety e White Rose, tutte le storyline sembrano essere giunte a un fondamentale momento di svolta, e sono probabilmente sul punto di intersecarsi in modo più consistente in vista degli episodi finali, a cui spetterà il compito di sancire in modo definitivo la qualità della creatura di Esmail.
Voto 1×06: 8/9
Voto 1×07: 8 ½
Superbo.
Sceneggiatura, regia, fotografia e attori di altissimo livello.
Pensavo che con il quarto episodio la serie avesse raggiunto il suo apice in quanto a drammaticità e coinvolgimento emotivo, e invece continua a non perdere colpi e a stupire settimana dopo settimana.
E con la 1×08 si va ancora più in alto!
Insomma insomma insomma
mi volete dire che sono riusciti a creare una serie che offre dei cold open che solo Vince Gilligan potrebbe superare a che al tempo stesso ci fa piombare in uno stato paranoico che neppure Shutter Island o requiem for a dream, che denuncia la società manco fossimo in un documentario di Micharl Moore o nel Fight Club di Fincher e che contemporaneamente riesce a dipingere un protagonista profondo, sofferente e sufficienetemente folle da sembrare un mix fra Gregory House, Jesse Pinkman e John Reese e dei comprimari che in un qualsiasi momento potrebbero prendersi sulle spalle tutta la scena ed il tutto con una trama più ricca di colpi di scena di qualsiasi altra serie al mondo ma dove ogni colpo di scena è strutturato e destrutturabile alla perfezione?
Mah non ci credo…o meglio se non avessi visto Mr Robot non vi crederei ed invece ho visto anche la 1×08 e sono vicino all’isteria piu totale.
Serie dell’anno a mani basse. Piu che una serie ormai un evento.
Un nuovo classico. Incredibile. Bellissimo. Inatteso
Bella recensione, ma non è assolutamente vero che le serie USA network siano di dubbia qualità! Sono serie di intrattenimento, vedasi Suits, White Collar e lo sfortunato Benched, ma sono fatte bene!
Grazie Federica 🙂 Quello che intendevo dire è appunto che Mr Robot è, al contrario delle altre serie di USA Network, qualcosa di più di un semplice prodotto d’intrattenimento, in grado a mio parere di reggere il confronto con l’offerta di canali come AMC e HBO.
Si si, avevo capito cosa intendevi 🙂 Il mio era più uno sfogo generale, perché non ho mai sopportato certo snobismo nei confronti delle serie di intrattenimento.
Che ne so, un conto è la serie che aspira ad essere un’opera d’arte, un altro è la serie di intrattenimento, un altro ancora è quando si vuole fare arte in modo pop. E così via.
Quello che mi sembra di percepire, poi, è che si voglia premiare solo un certo tipo di “qualità”, ovvero quelle serie che, per dire, indugia sui silenzi, le scene oniriche o i dialoghi intimisti.
Ogni volta che vedo una serie, e rispetta questo mio stampino mentale, noto che viene spesso acclamato per la sua bellezza.
Non parlo di questo sito eh, è più un’impressione che ho girando il web.
Anche io penso che i metri di giudizio di una serie vadano sempre calibrati sui suoi intenti e che di conseguenza la definizione di “qualità” debba essere più flessibile di quanto spesso tende a essere. Questo però non deve implicare un appiattimento totale delle differenze, anche qualitative, che diversi prodotti possono avere. Mr Robot, al di là della presenza di alcuni elementi che tu individui come caratteristici dello stereotipo della “serie di qualità”, presenta una cura nella scrittura e nella messa in scena che è, se non altro, atipica per i canoni di USA Network.
Ma certo, anche se diverse, Mr. Robot ha sicuramente una regia più interessante di Suits, per dire. E’ anche normale, dato quello che sta raccontando Mr. Robot.
Ed è evidente che USA Network ha voluto osare con una serie diversa dal solito, e c’è riuscita alla grande.
In realtà però, il mio discorso non voleva essere un accusa a Mr. Robot perché vuole essere una serie di qualità “stereotipata” a differenza delle altre del canale, ma una difesa a quelle serie snobbate perché non rispecchiano una certa idea di come deve essere la serialità.
A me pare che, dopo un ottimo pilot, la serie si stia sgonfiando e perda intensità drammatica. Gli ultimi episodi mi sono sembrati deboli, slegati e pieni di situazioni improbabili, caratterizazioni eccessive e ricerca di effetti (lo strangolamento della moglie di Scott, per esempio) sopra le righe e artificiosi.
Adoro i personaggi e tutto l’aspetto tecnico della serie; Malek nel ruolo del protagonista è perfetto e dona quel tocco di intensità che contraddistingue la serie e la rende davvero coinvolgente (grazie anche al lavoro sulla voce), ma è un continuo déjà vu.
Dal primo episodio puzza già di Fight Club, American Psycho (Wellick ricordava spesso il caro Bateman prima della “caduta di stile”) e altri piccoli e grandi cult (da trainspotting a requiem for a dream).
La reputo una buona serie ma non il capolavoro di cui tanti parlano.
Mr. Robot non fa chiaramente dell’originalità il suo punto di forza (per chi, almeno, di film e serie ne guarda un po’), ma – a mio avviso – il suo vero valore si vedrà solamente nel corso della seconda stagione, senza l’ombra del segreto di pulcinella.
Se attingi da film o altro omaggiando gli stessi non stai peccando di originalità secondo me ma appunto omaggiando autori o opere a te care e se lo fai apertamente ed elegantemente come Esmail sta facendo riuscendo a camminare con le proprie gambe e produrre un persoanggio del calibro di Elliot e mettendo in scena quello che lui sta mettendo in scena allora beh stai in qualche modo facendo qualcosa di unico e irripetibile.
Non sono una grande fan di questo tipo di omaggi, preferisco quelli più sottili e ricercati che non sembrano usciti da un frullatore.
Nulla da dire sulla caratterizzazione di Elliot, che trovo davvero ottima.
Ma non la reputo una serie né unica né irripetibile; quelle, per me, sono altre.