Il male, in tutte le sue forme e il caos da cui si genera e che il male stesso alimenta. L’impossibilità di scegliere altro che di opporvisi in pieno, senza chiaroscuri, oppure di farsi trascinare da esso. Questa è la sostanza di cui è fatto il mondo ed è quello che racconta Fargo, con la sua fotografia livida e il fredda, in questo episodio forse ancora meglio che nei precedenti.
La qualità di una serie tv si giudica da molti aspetti diversi e la scrittura, che ne è anima fondamentale, raggiunge le sue vette quando riesce a prestarsi a tanti livelli di interpretazione da generare riflessioni e costruire una mitologia; se quella di Fargo è una mitologia dicotomica, che parla del bene contro il male, allora la lettura che se ne può fare passa attraverso non soltanto gli eventi, ma anche le diverse facce che questi poli opposti assumono nel dipanarsi della narrazione.
We all got a role to play. You need to take my example. Be a leader. This is our time. No such thing as men’s work, women’s work anymore. We got just as much right to.
Prima di tutto il male, che domina incontrastato la prima parte dell’episodio, a partire dagli scontri familiari tra i Gerhardt e dall’attacco che ne deriva. Il male dei Gerhardt è un male sottile, inevitabile, che si trasmette di padre in figlio e che prendendo le forme più disparate – la prevaricazione stupida di Dodd, l’altrettanto stupida sete di ribellione autodistruttiva di Simone – genera il caos e porta alla rovina.
Un male così radicato che intesse così profondamente i legami e gli affetti, senza dare possibilità di scelta o di fuga: lo si abbraccia totalmente e lo si interiorizza fino a illudersi di dominarlo (come Floyd) oppure lo si contrasta, rischiando di venirne schiacciati. Anche la dimensione casalinga della vita dei Gerhardt, così rassicurante a una prima impressione, diventa una debolezza imperdonabile che va in frantumi inevitabilmente, come il vaso di frutta durante la sparatoria, spezzando l’illusione di serenità e continuità tanto perseguita da Floyd.
Twas brillig, and the slithy toves/Did gyre and gimble in the wabe/All mimsy were the borogoves/And the mome raths outgrabe (Lewis Carroll, Jabberwocky)
Il male intelligente – impersonato alla perfezione da Mike Milligan – capisce tutto questo e l’importanza di abbracciare il caos per dominarlo davvero, interamente. Mike lo incoraggia, stimolando gli eventi e approfittando delle debolezze altrui; e ne diventa così alfiere e messaggero. La poesia nonsense di Lewis Carroll che recita all’interno dell’auto non è altro che la celebrazione di questo caos, oltre che una sorta di mantra propiziatorio per la vittoria che occhieggia in modo ironico e spudorato a quello famosissimo di Samuel Jackson in Pulp Fiction.
Ohanzee è l’altra personificazione di questa inesorabilità (come se in questa stagione il personaggio di Lorne Malvo di Billy Bob Thornton fosse stato diviso in due, sviluppando autonomamente due delle sue sfumature in caratteri diversi), un male che non si ferma mai davanti a nulla, ineluttabile e invincibile, vero e proprio “braccio armato” del caos più che suo ambasciatore. Un male che non chiede ragioni e riflessioni, come una macchina perfetta dalla carica di moto perpetuo. Il suo ruolo, ancora di più in questo episodio, è quello di una sorta di deus ex machina che chiude il corso degli eventi, risolutore, letale.
You ask me how come I buy all these magazines? It’s because I’m living in a museum of the past.
Poi c’è il male ottuso, l’opportunismo e la pigrizia mascherati da buone intenzioni come per Ed: così come l’affetto morboso dei suoi genitori hanno minato la sua vita matrimoniale senza che lui neanche se accorgesse, così il suo ostinato attaccarsi ai propri obiettivi di vita standard (comprare la macelleria, avere un figlio) gli impediscono non solo di vedere la crisi profonda che sta investendo la moglie, ma anche le proprie responsabilità e la propria identità, nei fatti, di assassino a sangue freddo.
Un tipo di male che è un po’ il male di una certa epoca, un male borghese e moderno soprattutto americano, difficile da contrastare perché così subdolo e inconsapevole di se stesso.
Life’s a journey, and the one thing you don’t do on a journey is stay in one place, right?
Per contrastare questo male “sociale” – che si percepisce chiaramente pervasivo e maligno quanto quello dei Gerhardt, nella mitologia di Fargo come nel cinema dei Coen – non c’è altra strada che la crisi esistenziale, che attraverso la ridefinizione di se stessi e del proprio ruolo nel mondo costruisce una volontà di cambiamento e una forza inaspettata. È questo il caso di Peggy, che in questa stagione ha vissuto ogni fase della propria crisi (dalla negazione alla confusione, alla marcia indietro e infine, all’autoanalisi e alla vera ribellione) creandosi gli strumenti per contrastare quel male pervasivo che la inchiodava a una vita insoddisfacente. E per salvarsi la vita.
But now, now I must bid you all adieu, admonish you to watch your proverbial butts, for I shall be back with the sledgehammer of justice, prepared to lay Joseph waste on these four walls!
L’inesorabile ricadere delle colpe delle generazioni precedenti, altra tematica forte di questa stagione di Fargo, non si esplicita solo attraverso la degenerazione dei Gerhardt, ma è uno spettro che infesta le vite anche di quelli che operano per il bene, senza compromessi.
Nel caso di Lou e Karl è la guerra, che si attacca alle vite di chi l’ha combattuta infestandone i sogni e la vita e proliferando, come il tumore di Betsy. Un ricordo incancellabile di puro male che alimenta malesseri e sensi di colpa, ma che può essere anche fonte di risorse inaspettate. L’assedio alla stazione di polizia – topic fondamentale del cinema d’azione e situazione di stallo potenzialmente senza altra via d’uscita che la violenza – si risolve qui in modo fluido e ragionevole grazie alla capacità di empatizzare, di tirare fuori le proprie risorse non solo di coraggio ma anche di ragionevolezza.
Perché operare per il bene spesso non vuol dire semplicemente opporsi al male senza quartiere (quando Lou dice “This kind of thing didn’t work in Westerns, and it’s not gonna work now” si palesa chiaramente il contrasto tra realtà e finzione, tra il momento di crisi in cui le vite di molte persone sono in ballo e i cliché da film di genere), vuol dire anche limitare i danni. E la capacità di capirlo è una cosa possibile solo se col caos del male si ha avuto a che fare, traendone conoscenza e stabilità interiore.
Fargo arriva al sesto episodio intrecciando alla perfezione tutte le storyline in un racconto corale che rende giustizia alla mitologia che ne pervade lo spirito. “Rhinoceros” segna un picco qualitativo all’interno di una serie che è già, senza ombra di dubbio, una delle cose migliori del panorama seriale di questo autunno.
Voto: 9
riuscire a caratterizzare in questa maniera ogni personaggio… è arte. non c’è un protagonista, il caos e tutto ciò che investe rende tutti protagonisti e tira noi all’interno dello schermo per vivere queste turbinio di scelte logiche e…illogiche.