Con tutti i problemi di produzione che ha dovuto affrontare nei mesi precedenti alla messa in onda, in pochi si sarebbero aspettati un exploit qualitativo così travolgente per Westworld, capace di imporsi come serie cult del genere fantascientifico – e non solo – ancor prima di terminare la sua stagione inaugurale.
Un successo che deriva soprattutto dall’abile direzione creativa degli autori, sia sceneggiatori che registi. In primis Jonathan Nolan e Lisa Joy, creatori dello show, che sono stati capaci di dare subito un’identità definita e uno stile personale alla serie, ispirandosi al materiale d’origine e a tutte le opere affini, ma distanziandosi quel tanto da poter esprimere una poetica nuova e un percorso narrativo del tutto originale. Nel completare l’elogio al team creativo che ha lavorato a questa prima annata non si può non considerare la scelta di affidarsi a scrittori affermati come Ed Brubaker – co-sceneggiatore del quarto episodio e autore di comics di grande esperienza e qualità – e a registi importanti che si sono imposti nel panorama seriale contemporaneo come Michelle MacLaren – Breaking Bad, Game Of Thrones e The Walking Dead tra gli altri – a cui si deve la direzione proprio di questo “The Well-Tempered Clavier”.
La complessità di Westworld non passa solo dalle numerose storyline e dal grande numero di personaggi a cui lo spettatore è messo di fronte, bensì da un ragionamento di più ampio respiro che tocca elementi delicati e complessi da gestire come il tempo e lo spazio. Non è per nulla semplice costruire un impianto narrativo stabile quando si vogliono sfruttare le leggi che regolano la nostra percezione delle quattro dimensioni di cui è formata la realtà – e in questo l’esperienza, perlopiù positiva, di Lost insegna –; è necessario calibrare bene il tempo che si ha a disposizione e le modalità con cui i personaggi si muovono sullo schermo. È necessario, soprattutto, che si abbia un’idea chiara e precisa di dove si vuole portare la narrazione per poter definire la strada migliore per arrivarci. In questo la serie HBO trova il suo miglior pregio, dimostrando di avere ben chiaro un progetto ottimamente studiato per coinvolgere e sorprendere lo spettatore, lasciandolo a ragionare sui misteri che aleggiano intorno ai personaggi del parco e a tentare di risolverne i segreti con teorie e supposizioni, un meccanismo che non molte serie odierne riescono a generare.
“When we are born, we cry that we are come to this great stage of fools.”
– King Lear, Shakespeare – citato da un host
Uno dei personaggi che è stato più di tutti al centro di queste teorie e su cui la serie ha lavorato bene proprio in relazione al disvelamento della sua identità è sicuramente Bernard. Se si pensava di aver capito tutto di lui nel finale di “Trompe L’Oeil” ci si sbagliava di grosso: il personaggio interpretato da un magistrale Jeffrey Wright è centrale anche nella rivelazione che collega tutte le storyline di “The Well-Tempered Clavier”; nonostante l’associazione Arnold Weber-Bernard Lowe fosse intuibile attraverso una serie di indizi centellinati nel corso dei precedenti episodi, il colpo di scena funziona soprattutto per la sua messa in scena e per le grandi interpretazioni degli attori che lo coinvolgono. Anche in questo caso l’ambiguità e lo sfruttamento di tempo e spazio giocano a favore del mettere in relazione due diversi piani narrativi – quello di Dolores e quello di Ford e Bernard – e forse anche temporali, considerato che non ci è dato di sapere con esattezza in quale istante si stiano svolgendo le vicende di un protagonista o di un altro, tenendo conto della percezione relativa che hanno le attrazioni del tempo, vissuto sempre nella sua ciclicità e quindi impossibile da determinare.
We’re only human. Inevitably, we will disappoint you.
Quante volte Ford ha dovuto vivere questa scena? È già successo o è la prima volta? Ogni risposta data in Westworld genera nuove domande. Lo spettatore vive la visione della serie come le attrazioni vivono la loro condizione di ignoranza: costretti a ripetere ogni giorno lo stesso percorso possono uscirne temporaneamente solo grazie ad un intervento esterno non programmato; in questo episodio per Bernard è l’incontro con Maeve, la variabile impazzita dell’equazione perfetta su cui si regge il parco. Ogni attrazione che esce temporaneamente dalla caverna di Platone e scopre il mondo esterno è costretta, tuttavia, a fare i conti con l’impossibilità di accettare la condizione di “creatura” sottomessa al volere del “creatore”. È la dinamica che intercorre tra Ford e Bernard, in cui quest’ultimo è destinato a uscire sconfitto per aver provato a combattere contro il dolore che genera la sua identità: la “corner stone” alla base della personalità degli host, infatti, è sempre un episodio doloroso, la cui sofferenza è amplificata dalla caratteristica delle attrazioni di viverlo come se si stesse svolgendo in quel momento; e di nuovo ritorna il discorso sulla diversa percezione del tempo tra loro e gli esseri umani.
Because I killed you.
Anche per questo motivo non è semplice nemmeno inquadrare le storyline solo apparentemente coincidenti di Dolores e William. La donna concorre in questo episodio a scoprire l’identità del suo creatore – spiegata quindi anche la natura dei colloqui individuali tra lei e Bernard nei precedenti episodi – raggiungendo una consapevolezza di sé frutto di un viaggio che l’ha portata nei meandri del labirinto tante volte citato dai personaggi, che è chiaramente riferito alle tortuose vie della sua mente e dei suoi ricordi di host. Bellissima la scena che mostra Evan Rachel Wood piangente di fronte ad una sedia vuota, e sconvolgente il finale che la porta all’incontro dell’uomo misterioso, la cui identità sembra ormai essere quasi certa e che rafforzerebbe il grande lavoro svolto sulla temporalità della narrazione.
Anche William trova nel parco la scintilla che trasforma la sua percezione della realtà, ormai compromessa e radicalmente distorta. Il personaggio interpretato da Jimmi Simpson è stato profondamente toccato dai sentimenti che prova per Dolores e per l’eccezionalità della donna da non riuscire più a comprendere cosa sia reale e cosa no; questo lo cambia trasformando la sua persona, ormai un essere completamente diverso da quello sceso dal treno di “Chestnut” e, forse, un personaggio già noto agli spettatori.
If you go looking for the truth, get the whole thing. It’s like a good fuck. Half is worse than none at all.
A dare il via alla rivoluzione che sta sconvolgendo le fondamenta stessa su cui si regge il parco troviamo il personaggio di Maeve, colei che più di tutti ha preso coscienza della propria reale identità e l’ha abbracciata decisa a scoprire tutti i segreti, ad arrivare fino in fondo e a non fermarsi a metà, perché sarebbe “worse than none at all”, peggio che non sapere nulla. Maeve è come Prometeo, l’uomo che vuole rubare il fuoco agli dei, l’host che vuole prendere il sopravvento sui creatori del parco; in questa mitologica rivelazione di intenti si inserisce perfettamente il discorso sulla cassaforte vuota e sulle false convinzioni su cui si poggiano le certezze degli uomini. È in questi risvolti filosofico-teologici che si esplica la grande storia di Westworld che vuole essere prima di tutto una serie fantascientifica avvincente, ma che rispecchia la sua vera grandezza nel fornire spunti per interpretare la realtà in cui viviamo.
Le potenzialità di una serie come Westworld sono infinite e questa prima stagione lo sta dimostrando episodio dopo episodio. La stratificazione narrativa concepita dagli autori funziona e colpisce per lo straordinario utilizzo dei tempi e delle inquadrature, fino alla capacità di fare riflettere e generare domande e misteri di cui non si vede l’ora di conoscere le risposte.
“Il Clavicembalo ben temperato” che dà il titolo all’episodio fa riferimento ad una raccolta musicale di Bach, un autore conosciuto anche per la sua capacità di saper costruire delle grandi e complesse strutture musicali, non per niente ancora oggi famosissime; Westworld è effettivamente una gigantesca struttura narrativa che ha le possibilità di diventare sempre migliore con il tempo e che potrebbe trovare la sua definitiva consacrazione nel finale di stagione, la cui attesa dopo un episodio come questo non può che essere a livelli altissimi.
Voto: 9
Recensione molto esaustiva ed interessante…;)…
Bellissima recensione per una splendida serie.
We are human. We’ll disappoint you. Direi che è il prodromo al finale. Puntata straordinaria. Il finale di stagione intendo. Spero l’abbiate già vista tutti. Il mio timore è che il tutto andrebbe finito qui. Ho paura di enormi delusioni tipo mr. Robot.
D’accordo con Michele. Prodotto ottimo che unisce intrattenimento a qualità e ultima puntata dolorosissima, non tanto per la trama quanto per le riflessioni che scatena. Alla fine mi sono sentito come quando esco dal cinema stordito dalla visione di un film sconvolgente. Spero di addormentarmi e al mio risveglio cominciare da capo…
Pero’ non capisco due cose .Vediamo se qualcuno puo’ darmi una spiegazione.Come mai nessuno degli umani ha notato che Bernard ha lo stesso aspetto che aveva Arnold ?Quando era in vita non si era mai mostrato in pubblico?E poi come funziona esattamente il sistema di sicurezza verso gli ospiti del parco? Ho capito che i residenti normalmente hanno un blocco che gli impedisce di far del male agli ospiti ma le pallottole sia segli umani che dei robot sembrerebbero del tutto reali, per non parlare poi dell’ uso di esplosivi , coltelli e vari oggetti contundenti.Non riesco proprio a trovare plausibile che per esempio due ospiti non si sparino tra loro magari solo per errore o che magari qualche pallottola vagante non colpisca chi non dovrebbe.La serie e’ ottima dal punto di vista dei dialoghi, dell’ interpretazione e di tante altre cose, ma dal punto di vista della spiegazione tecnico scientifica ( e in una storia di fantascienza anche questo e’ importante) fa un po’ acqua.
Le ultime due puntate sono un miglioramento.
D’accordo con la recensione, apprezzo i passaggi filosofici, come anche il climax e la rivelazione di segreti dell’episodio. Bravi gli attori, bella la musica e buone le scene.
Temo, però, che il peccato originale sia rimasto: nonostante i miglioramenti, rimangono troppe storyline, che rendono difficile seguire la trama e farsi prendere dal racconto. Il mio livello di attenzione e’ aumentato rispetto al passato, ma sono lontano dall’essermi appassionato.
Voto 6.