A Series of Unfortunate Events – Stagione 1


A Series of Unfortunate Events - Stagione 1Terminata la prima stagione, possiamo finalmente tirare le somme su questo insolito esperimento Netflix: siamo alle prese con una serie per buona parte riuscita, ma che sconta il genere d’origine dei romanzi di partenza.

Le tristi avventure degli orfani Baudelaire erano già apparse, com’è noto, nella cornice cinematografica del 2004, anche con un discreto successo; nonostante il coinvolgimento dell’autore stesso, però, non vi era stata grande aderenza con i romanzi di partenza – anche perché adattarli tutti e tredici in un unico racconto sarebbe stato folle – e le libertà erano state molte e non sempre riuscitissime. Stavolta, approfittando di una narrazione più distesa, che è poi il pregio della serialità televisiva, gli autori hanno deciso di adattare quattro romanzi in altrettante coppie di mini-film, ciascuno con una propria trama – benché ovviamente collegata a quanto già detto – e con una propria trama quasi verticale; c’è inoltre da notare che, a dispetto del film, la serie è riuscita a spingere il racconto un po’ più avanti adattando anche il quarto libro (laddove ci si era fermati al terzo).

Qual è, dunque, il risultato finale? Con A Series of Unfortunate Events dobbiamo parlare di un esperimento riuscito a metà: perché se da un lato rappresenta un piacevole intrattenimento, fatto di black humor e qualche mistero interessante, dall’altro è impossibile nascondere una certa delusione – soprattutto per chi lettore dei romanzi non è – nei confronti di un racconto che sconta per intero la destinazione per bambini verso cui è progettato e i non sempre riusciti inserti più maturi che dovrebbero attrarre un pubblico d’età maggiore (anche se bisogna ammettere che alcuni meta-riferimenti sono particolarmente divertenti).

A Series of Unfortunate Events - Stagione 1Guardando, però, ai punti più incisivi della serie non si può che partire con l’obbligato e naturale paragone tra i due mattatori del film e della serie TV, ossia Jim Carrey e Neil Patrick Harris; sebbene quest’ultimo non sia certo del medesimo – forse irraggiungibile – livello di un Carrey che nei momenti migliori della sua carriera è stato un attore comico inimitabile e irripetibile, è stato comunque in grado di dare all’intera stagione quella presenza scenica di cui si aveva bisogno. Anzi, tenendosi un passo indietro rispetto alla presenza costante e decisiva del Conte Olaf nella versione cinematografica, Harris ha lasciato spazio anche agli altri attori, permettendo così una maggiore e migliore interazione all’interno del cast. Neil Patrick Harris si è rivelato un grande caratterista e le sue trasformazioni, in particolare nella versione femminile, sono straordinariamente divertenti. Se si può fare un appunto al massimo è che del suo Conte Olaf si è sottolineato soprattutto l’aspetto assurdo e goliardico, mentre il lato villain che provoca morte a destra e a manca è moderato, forse per non spaventare troppo il pubblico più giovane. Sta di fatto, comunque, che è un vero piacere seguirlo nei suoi momenti musical, piano in cui domina totalmente la scena: non solo, quindi, nella sigla che cambia episodio dopo episodio (e che è incredibilmente orecchiabile), ma anche nel momento musicale finale, che è la chiusura perfetta per una stagione di questo tenore.

A Series of Unfortunate Events - Stagione 1Per quanto riguarda l’aspetto generale della trama, è qui che sorgono le prime difficoltà: non tanto nella struttura generale, fatta di un mistero che è ben lontano dall’essere chiarito (un po’ troppo lontano, forse), quanto nella concatenazione delle avventure che, tra una divisione in due parti non sempre giustificata e con una certa ripetitività nell’impostazione generale, risulta troppo spesso non all’altezza delle potenzialità (in fondo si cambia scenario e struttura solamente una volta arrivati alla segheria). Prese da sole, infatti, le storie di Josephine (un plauso speciale ad Alfre Woodard) e di Montgomery Montgomery non sono niente male davvero, ma vanno a ricalcare uno schema che si era già visto nei primi episodi e che si ripete ancora ed ancora. Per quanto riguarda, invece, il mistero alle spalle dell’incendio di Villa Baudelaire c’è solo da rimanerne incuriositi, soprattutto dopo la brillante trappola di Padre e Madre che non sono, letteralmente, ciò che sembravano dall’inizio.

A Series of Unfortunate Events - Stagione 1Si riprende un po’ la recitazione di Violet e Klaus Baudelaire (rispettivamente Malina Weissman e Louis Hynes), che nel pilot erano apparsi troppo legnosi e freddi: pur non raggiungendo dei risultati superbi riescono a condurci nel mondo fatto di dolore e rabbia di due orfani (la piccola Sunny per ovvie ragioni è solo tangente) che non solo devono ancora superare il lutto subito, ma devono altresì fuggire le mire opportunistiche di Olaf ed un mondo degli adulti che si rivela essere, nonstante tutto, incredibilmente sordo e cieco. Particolarmente riuscito in questo senso è il personaggio di Mr. Poe, costantemente timoroso per la propria carriera, continuamente incapace di riconoscere le trappole del Conte, stupidamente convinto dell’esagerata fantasia degli orfani e dell’impossibilità delle loro verità. A Series of Unfortunate Events è, oltre la patina burtoniana di grande fascinazione ed i personaggi surreali e assurdi, il racconto di adulti che non hanno più né voglia né capacità di ascoltare i bambini, di capire davvero le loro necessità senza arroccarsi dietro una rassicurante quanto fittizia superiorità ideale. Quei pochi adulti di un certo peso sono o ingenui o spaventati, incapaci di risultare davvero degli alleati credibili per dei ragazzi che dovranno sbrigarsela solo grazie alle loro capacità e al loro legame.

A Series of Unfortunate Events - Stagione 1Vero filo di collegamento tra i vari episodi è Patrick Warburton a.k.a. Lemony Snicket, l’autore dal cui punto di vista è possibile leggere le vicende degli orfani Baudelaire: è questa una delle più interessanti aggiunte (o meglio, espansioni) rispetto al film (mentre è una peculiarità essenziale dei romanzi). La sua presenza, anche se talvolta davvero invadente e non necessaria, è il più delle volte perfettamente riuscita per la capacità di dare ritmo al racconto e di collegare tra loro tematiche in apparenza non connesse. Con la sua voce calda e il tono sempre compassato come il racconto – almeno diegeticamente – imporrebbe, Lemony Snicket è una presenza rassicurante e ben inquadrata, a patto che se ne limiti l’ingresso quando non strettamente necessario. Alcune delle sue frasi e delle sue espressioni, poi, sono perfettamente riuscite – basti pensare al cupo finale del settimo episodio, che distrugge ogni speranza che lo spettatore si era potuto fare, nonostante sia stato avvertito di non farlo, su un lieto fine costantemente negato.

Se ne deduce, dunque, che A Series of Unfortunate Events è una serie piacevole, che soffre una visione continua (ironico, considerando la natura di Netflix) per l’originalità non proprio ficcante del proprio racconto; ciò nonostante, però, tra la recitazione di Harris, alcuni inserimenti di Lemony Snicket e delle altre guest star ed un’ambientazione di cupa bellezza, la serie riesce ad essere un buon intrattenimento leggero e senza troppe pretese. E con una seconda stagione già programmata (dieci episodi che adatteranno cinque libri) ed una terza – conclusiva – tutt’altro che improbabile, sembra che non ci libereremo molto facilmente delle sventure dei Baudelaire.

Voto Stagione: 6½

 

Informazioni su Mario Sassi

Ormai da anni ho capito che il modo migliore per trascorrere le ore in aereo è il binge watching di serie TV. Poche cose battono guardare LOST mentre si è sull'oceano.

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