Twin Peaks – 3×06 The Return Part 6 12


Twin Peaks - 3x06 The Return Part 6Quale complesso di stima ci porta ad avere fede in cose che non capiamo? La domanda (che vanta portata e risonanza molto corpose) Lynch la conosce bene. Bene quasi quanto il processo creativo che di solito sussegue un interrogativo esistenziale: la costruzione di uno zeitgeist, di una visione del mondo che nasca da una singola scintilla. È normale che la creazione di questo cosmo narrativo giochi con il senso di meraviglia e di mistero: sia perché in fin dei conti è “il mistero a catalizzare l’immagine”, sia per quel vecchio adagio che consola i tristi dopo aver scoperto il trucco del mago. Il fascino dell’ignoto domina tutto, scriveva Omero.

Un mondo narrativo nato da una domanda esistenziale (perché credere all’incredibile?) non può che erigersi su basi misteriose. L’attesa di una soluzione ci àncora ed è proprio il fascino del mistero a legittimare la fede. La risposta alla domanda è dunque il mistero e il senso di sconvolgimento spirituale che ne deriva. Twin Peaks è in fin dei conti un catalogo di idee che si arricchisce grazie ai quesiti sull’inconoscibile; un terreno dove lo sfogo sperimentale incontra l’amore per il racconto, briglie di un visionario che ha piegato le regole a proprio piacimento. Detto questo, mettere davanti allo spettatore “paesaggi” dominati dall’ignoto e ricchi di incertezze funziona solo se il lavoro dietro le quinte è onesto e coerente. I primi sei episodi di questa nuova stagione sembrano i deliri visivi di un pazzo che ha fatto del palcoscenico il suo manicomio, ma sembrano anche il disegno di una follia lucida che gioca con le carte dell’onniscienza senza curarsi di nessuno: la sensazione è che Lynch sappia perfettamente cosa stia facendo, anche se si capisce davvero poco. Questa sensazione trova un riscontro quando la sceneggiatura regala appigli a cui aggrapparsi; per ora si tratta di assonanze nominali, congiunzioni o legami di senso: il nome citato da una profezia, una moneta, un albero elettrico. Sono occhiolini che sussurrano l’esistenza sotterranea di un progetto a formato allargato, più comprensibile (nei limiti della serie) e forse meglio analizzabile.

Twin Peaks - 3x06 The Return Part 6Fino ad ora il lavoro di Lynch è stato quello di riportarci in un luogo e proprio in questo senso si spiegano gli sforzi su elementi di pura “atmosfera”. Allo stesso tempo però il regista, assieme al sempre fedele Mark Frost, ha riprogrammato il suo prodotto, aggiungendo nuove (e non contraddittorie) tonalità espressive per smorzare la naïveté anni ’90 e tradurla in favore di un approccio prettamente digitale (la poetica visiva di “Inland Empire”, ultimo film del regista e unico in digitale, pesa molto sul linguaggio di questa stagione). La riformattazione del testo garantisce uno spaesamento comprensibile. Si innesta infatti il discorso metatestuale di Dale Cooper/Dougie Jones come proiezione dello spettatore, che a un terzo della stagione ancora boccheggia, obnubilato di fronte alle contorsioni degli episodi. Il colpo di genio nel trattamento caratteriale del protagonista è quello di appiccicargli una noncuranza “neonatale” durevole: Cooper è un bambino, non si “sveglia” e l’episodio è esemplificativo in questo senso. Da spettatori assistiamo al processo di apprendimento linguistico-conoscitivo tipico degli infanti (un lento e progressivo arricchimento verbale e una messa a fuoco del contesto) e non è troppo audace avvicinare la sorte dell’agente a quella di uno spettatore che approccia la serie dopo 25 anni. Come Cooper, impariamo un linguaggio lasciandoci trasportare dalla stratificazione: input visivi, rime concettuali o semplici ricordi.

Difficile quantificare l’importanza di questo sesto episodio in un collettivo complessivo, considerando che il regista ha firmato l’opera come un film di diciotto ore, adattandolo ai paletti seriali solo in fase di montaggio. In ogni caso “The Return Part 6” mantiene l’andamento stralunato dei precedenti e alza leggermente il tono della follia, alternando ritmo e stile di ritmo. Se le scene concentrate su Cooper rivendicano una calma lunare (sia nella tecnica di girato che nei contenuti), spiccano invece due scene madri di forte impatto: quelle del nano assassino e del bimbo investito. La prima per una questione di associazioni visivo-musicali disturbanti, grazie soprattutto all’orecchio di riguardo che lo stesso Lynch dedica al sound editing di tutte le sue produzioni; la seconda per la durezza anti climatica: la gestione della suspense è da antologia, in una scena che, malgrado si sgoli di prevedibilità, nel suo compimento rivela fitte di disarmante incomprensione, dolore e tristezza. Le due scene rappresentano un’efficace cartina al tornasole per misurare l’assurdità lynchana in relazione all’episodio. Nessuna delle due invece, pur essendo di un certo peso, appesantisce la narrazione ed entrambe giocano a spremere fuori da cornici normali immagini metafisiche. L’alito di luce che si stacca dal corpo del bambino comporta uno shock visivo uguale a quello che consegue lo spasmo omicida di un nano killer. Non a caso le due si equiparano in estetica: è l’abilità degli autori che, fissata un’atmosfera, scava nei terreni dell’immaginazione e trova gemme narrative.

Twin Peaks - 3x06 The Return Part 6Il retroterra produttivo di Lynch garantisce poi che dietro a questi guizzi assurdi ci sia una “logica” definita. La narrazione è drogata, scomposta, frammentata: se si volesse fare un’analisi in soldoni l’episodio sarebbe classificato come insieme di momenti sconnessi e male assemblati. Ma sbaglia chi si sforza di scervellarsi troppo sulla matematica degli eventi. Più che una semplice puntata, ogni episodio è parte di un percorso sensoriale che attraversa l’intimità di chi usufruisce dello spettacolo, quasi fosse un’installazione di arte contemporanea domestica. È ciò che contraddistingue i grandi maestri: non tanto produrre un oggetto di bellezza canonica, quanto regalare un’esperienza; che sia necessario un grammo di fiducia in più non dovrebbe sconvolgere. Come detto sopra, gli ammiccamenti non mancano e inoltre basta un attimo per ricordare agli spettatori chi ha il controllo. La comparsa di Diane, interpretata da Laura Dern, non è che la prova delle abilità  “sciamaniche” di Lynch.

Allo stesso modo possono essere trattati i disegni di Cooper, che a noi non dicono niente e a Bushnell dicono tutto. Si tratta di un’altra parabola meta-narrativa elegante, che suggerisce la predisposizione “prensile” del subconscio per dettagli che rifuggono la logica – quasi come per Cooper, che sembra aver guadagnato un occhio divinatorio, residuo della fetta di tempo trascorso in altre dimensioni. Il parallelismo tra Cooper e lo spettatore così si allarga e aggiunge alle sfide del linguaggio un istinto capace di sbirciare oltre l’orizzonte dell’immagine e svelarne il senso nascosto; una parabola metaforica coraggiosa raffina il tutto, suggerendo in primis l’esistenza di una lingua inconscia e senza regole  (quella dei disegni, delle visioni, dei “collegamenti tibetani”, dello Zen) che domina il sostrato della realtà. Il secondo step è l’accostamento di questa lingua al modo con cui Twin Peaks comunica i suoi concetti; la rivoluzione di Lynch sulla “grammatica visiva” del girato passa quindi attraverso la costruzione di una linguistica originale, ed è quando lo spettatore si conforma alle regole di questa che l’ignoto narrato diventa sondabile.  Il linguaggio è la chiave per sbloccare il mistero.

L’episodio è eccellente, anche se non più dei precedenti. Gli attori perseverano nella loro bontà qualitativa e Badalamenti continua a essere ispirato. Lynch e Frost per ora hanno trovato un equilibrio impeccabile, che allinea tutti gli episodi sulla stessa lunghezza d’onda, in attesa di un punto di rottura o di un climax risolutorio. Nell’attesa di sconvolgimenti bisogna quindi abbracciare le follie, pedinare le svolte nelle investigazioni (sempre più a incastro) e fidarsi degli autori. Di solito i maghi non deludono.

Voto: 8½

 

Informazioni su Leonardo Strano

Convinto che credere che le serie tv siano i nuovi romanzi feuilleton sia una scusa abbastanza valida per guardarne a destra e a manca, pochi momenti fa della sua vita ha deciso di provare a scriverci sopra. Nelle pause legge, guarda film; poi forse, a volte, se ha voglia, studia anche.


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12 commenti su “Twin Peaks – 3×06 The Return Part 6

  • ancheno

    Complimenti per la supercazz…ehm per la recensione. Sinceramente io questo processo di apprendimento, questa evoluzione di Dougie Jones non riesco a vederla neanche impegnandomi tanto, e secondo me chi dopo 6 episodi di vedere un lobotomizzato sullo schermo ancora non ammette di essersi rotto le scatole ma continua a osannarlo lo fa solo perché lodare Lynch a prescindere, qualsiasi cosa faccia, faffigo, fa tanto figo.

     
    • Federica Barbera

      Ciao ancheno, proverò a pensare che la tua sia una provocazione voluta, perché davvero, ritenere che le persone che stanno seguendo con interesse queste puntate a livello mondiale lo facciano solo perché “faffigo” è un pensiero che non ritengo degno di analisi.
      Rimanendo invece sulla questione Dougie, mi risulta abbastanza strano che non si veda il lento ma costante sviluppo del personaggio, soprattutto per quello che riguarda il processo di apprendimento, che è esattamente ciò su cui si basa il personaggio, che lentamente impara di nuovo tutto da capo. Sulle capacità divinatorie, che giustamente faceva notare Leonardo in recensione, c’è poco da aggiungere, visto che è la scena stessa a parlare, quando il capo vede il frutto del suo lavoro e evidentemente capisce qualcosa nei collegamenti fatti con i disegni. Ciò che prima era semplicemente una lettura di segnali (al casinò, durante la riunione) ora diventa qualcosa di più creativo (le scale disegnate) che segnalano un collegamento ben più articolato rispetto al semplice “seguire un segnale” o dare del bugiardo a qualcuno. Dougie sta imparando e sta al contempo sviluppando un “potere” di cui non conosciamo ancora nulla; si può essere frustrati per questo, ma non si può proprio dire che non ci sia.

      Non è facile seguire il tipo di percorso che Lynch sta facendo fare a Dougie, ma è evidente (almeno se si conosce il lavoro di Lynch) che in questo caso si stia portando all’estremo questa scelta proprio con lo scopo di mettere a disagio lo spettatore, di farlo rimanere il più possibile davanti ad una versione di Cooper che è semplicemente dolorosa e difficile da sostenere. Non è certo una novità ed esempi simili si trovano in tutta la cinematografia di Lynch. Non è obbligatorio continuare, Lynch non è per tutti, e lo dico senza alcun giudizio di merito: tocca delle corde così particolari che non può colpire tutti allo stesso modo, ed è poi questa la sua forza maggiore. Se ti sta annoiando così tanto, forse non è che sono gli altri a fare i fighi, è che semplicemente non sono le tue corde, e in questo non c’è davvero niente di male.

       
      • Marco Quattropani

        Concordo, Federica. Per una volta che un autore come Lynch ha la possibilità di creare un qualcosa, nel mondo delle serie tv, del tutto slegato da elementi commerciali, ci lamentiamo. Posso in parte capire, pur non condividendola, la delusione. Noi attendiamo con ansia, da 26 anni, che si verifichi un determinato avvenimento. A me la parte di Dougie sta piacendo tantissimo. Ammetto di aver storto il naso verso la terza-quarta puntata, ma solo perché anch’io ero entrato in quell’ottica di chi segue Twin Peaks per vedere l’agente Cooper che investiga. E invece no, bisogna valutare quello che si ha di fronte. E io vedo, in primo luogo, una magistrale interpretazione di Kyle MacLachlan, che riesce a gestire personaggi così diversi. E vedo che la trama si sta muovendo. Quella di Dougie un po’ lentamente, è vero (non è per forza un male), ma alcune delle altre linee narrative iniziano a evolversi. E’ un grande film di 18 ore, sono certo che andando avanti si entrerà nel pieno dell’azione e che, a fine stagione, tutte le domande avranno una risposta. Magari non propriamente razionale, ma sarà comunque una risposta. Ogni puntata è di grande qualità. Forse solo la quinta mi ha convinto un po’ di meno, pur restando godibile. Per il momento, la considero una stagione superiore alle prime due, soprattutto perché priva di elementi da soap opera inseriti per normalizzare il genio di Lynch, rendendo la serie appetibile alle masse.

         
        • Federica Barbera

          Condivido tutto a parte la questione soap-operistica, che è un po’ più complicata di così; non si è trattato solo di rendere la mente di Lynch appetibile al grande pubblico, ma è stata un’operazione che si è posizionata a metà tra la parodia di quel genere così in voga in quegli anni e il contrappunto alla tematica di base, decisamente più inquietante. Solo un mix di questo tipo, così familiare e al contempo così terrificante, poteva condurre a quell’estrema forma di perturbante che è rappresentata in Twin Peaks.
          Bene hai fatto a sottolineare la bravura di Kyle MacLachlan, che sta dando davvero prova di tutte le sue capacità (non che prima ci fossero dubbi, ma qui siamo proprio su un altro livello).

           
  • nenoneno

    Hai ragione Federica, non si può guardare Lynch con gli stessi occhi di un qualsiasi altro prodotto seriale, non si può in generale considerarlo un prodotto, non se ne può cercare il senso intrinseco: il significato ultimo delle opere di Lynch non credo sia interessante se espresso attraverso concetti di senso compiuto.
    Il problema, e lo dico da suo amante, è riuscire in 60′ a ri-creare di settimana in settimana un mondo così unico in cui immergersi;
    mentre nella prima apparizione di TP, questa immersione veniva mutuata da un qualcosa di riconoscibile come le dinamiche di una provincia americana, ad oggi si viene catapultati nell’abisso co’ no slippino e ‘nboccaglio.
    Proprio l’assenza di una tuta da palombari – che sia altro rispetto al ricordo di 25 anni fa – rende necessario alla creazione di questa atmosfera, la reiterazione sfiancante di alcune sequenze che, non dico tolgano ritmo alla narrazione – ché ritmo e narrazione sono concetti ambigui in Lynch – ma riducono sensibilmente la percezione di un significativo sviluppo di storia e personaggi;
    e qui, per quanto sia d’accordo si veleggi nel mare dell’arte, stiamo pur sempre parlando di serialità: io credo che, più che tagliare in 18 parti un film di 18 ore, Lynch abbia pensato a 18 episodi da un ora che potessero comporre un film: la differenza mi appare sostanziale proprio perché, a causa di questa scelta, molto tempo della narrazione viene dedicato alla fase di “discesa” nel suo mondo.
    Ho guardato a 10 anni TP e poi nuovamente a 20 e a 30, ma nel momento in cui l’arte del cinema incontra un prodotto diverso come quello seriale, credo che alcune logiche si debbano non dico piegare, ma flettere leggermente sì: in fondo, questa più delle altre, molto più della prima serie, è un’operazione anche commerciale.
    Il mio non è un giudizio definitivo, guarderò tutti gli episodi e spero di potermi rimangiare tutto; tuttavia il credito di adorazione acquisito con merito attraverso TP1 rischia di disperdersi in esercizi di stile che dimentichino lo spettatore.

     
    • Federica Barbera

      Capisco quello che intendi, e mi rendo conto che possa essere sfiancante anche per chi apprezza Lynch, eppure non riesco a parlare di “esercizi di stile che dimentichino lo spettatore” perché personalmente sto apprezzando davvero quello che sto vedendo, pur rendendomi conto che in alcuni casi possa volerci parecchia pazienza.
      È vero che è anche un’operazione commerciale, ma non credo che questo debba per forza essere un pegno da pagare in un caso come quello di Lynch: alla fine è il suo progetto, è il suo mondo che sta rivisitando finalmente a modo suo dopo 25 anni e ha un’occasione ora più unica che rara (per posizione guadagnata, per fama, per la grande attesa) di fare esattamente quello che vuole. Se poi questo incontrerà il favore di un pubblico più ristretto rispetto alle aspettative, pazienza, per come la vedo io ne sarà valsa la pena.

      La storia prosegue lentamente, è vero, e si fa fatica a tenere le maglie di tutto, ma io a fine puntata ne esco praticamente sempre soddisfatta; non so se questo avverrà anche a chiusura di tutto, magari no, però la sua peculiarità è una cosa che rispetto e ho deciso di stare al gioco, anche se questo comporta una rottura dall’interno della serialità (che poi, se c’è qualcuno che può rompere le regole e sovvertirle di nuovo è proprio lui). Questo non implica ovviamente che debba piacermi per forza, e infatti credo che sarà solo alla fine di tutto che si potrà dare un giudizio completo. Però boh, forse perché ho visto Twin Peaks a 7 anni e Lynch mi ha marchiata per sempre 😀 ma io queste puntate le sto amando, proprio così come sono, proprio nell’accostamento di miliardi di personaggi di cui si capisce poco; lascio lì e vado avanti, seguendo la corrente, e pian pianino credo proprio che quasi tutto (tutto con Lynch è impossibile) andrà al suo posto.
      Una curiosità: dici bene quando dici che negli anni ’90 l’immersione nel mondo di Lynch era aiutata dalla parte di storia più digeribile delle varie vicende della provincia americana, ma erano tempi diversi e davanti alla tv c’erano spettatori con un background molto diverso dal nostro; non pensi che ad oggi il pubblico possa essere invece pronto ad affrontare solo la parte più oscura del suo mondo? Non dico a livello di INLAND EMPIRE, ma quasi? Io credo di sì, ed è poi il motivo per cui secondo me, pur con tutte le difficoltà che queste puntate comportano, fino ad ora il pubblico sta reagendo davvero bene.

       
      • nenoneno

        Siamo più preparati, è vero; ma siamo anche formattati secondo un nuovo modello di televisione, siamo quelli del binge watching, bulimici da schermo, ragioniamo secondo logica e conoscenza, ci manca la chiave che apre tutte le porte di Lynch: il mistero.
        Ed è proprio per questo che non sono rifiuto, noia o disagio a guidare la mia perplessità;
        è il chiedere allo spettatore di accendere e spegnere l’interruttore sul Suo mondo più intimo a creare un distacco, una resistenza.
        Spesso Lynch, affondando nell’onirico – o nel trascendente per restare in territori a lui più cari – destina parte del tempo a condurci in uno stato di sub-coscienza, di intorpidimento (lui direbbe meditazione, forse) per traghettarci lungo il Suo racconto: andare tanto in profondità e farlo in poco tempo e una volta a settimana, rende quel sedativo, l’oppiaceo introduttivo, sempre meno efficace, il corpo più resistente.
        Ma è solo una sensazione, monca al momento di gran parte del racconto.
        Non è comunque mia intenzione discutere il tuo punto di vista: in questi casi, in effetti, non è che si possa dissertare seguendo una qualsiasi logica, si segue altro; tu quest’altro l’hai trovato – ti invidio – a me manca ancora, spero arrivi presto.

         
        • Federica Barbera

          Il discorso di addentrarsi per poco tempo alla volta in un mondo così profondo lo capisco benissimo, non è per nulla facile (infatti le prime 4 puntate rilasciate praticamente insieme sono state perfette per introdurci al nuovo Twin Peaks). Per il resto poi è ovvio che la soggettività faccia molto la differenza. Spero che arrivi presto il punto di svolta anche per te! Senza fare spoiler (che qui, nei commenti della 6, non si può), ma la 7 potrebbe esserti d’aiuto in questo senso 😉

           
  • Boba Fett

    Lungi dal voler sentenziare, c’è ancora tempo per tirare le somme, arrivati ad un terzo del “lungo film”, l’impressione, ripeto, l’impressione è che ci si trovi di fronte ad un opera minore di Lynch o comunque ad un prodotto con tutti gli ingredienti tipici di tutto il suo cinema in una versione desaturata; curiosamente lo stile di questo nuovo TP più che evolvere il linguaggio dei suoi ultimi lavori, sembra piuttosto ricollegarsi ai suoi “primi passi”, a quei meravigliosi, terrificanti e disturbanti corti, ma anche a quel capolavoro che fu e ancora è Eraserhead.
    Comunque tanto di cappello alla Showtime per avergli permesso questo (spero di no, ma la sensazione è quella…) commiato.

     
    • Federica Barbera

      C’è moltissimo di Eraserhead, è vero; ma, considerando che non si torna mai davvero indietro (sarebbe impossibile tornare ad essere quello che si è stati un tempo senza tenere conto di quello che si è stati nel frattempo), il fatto che Lynch si ricolleghi ai suoi inizi non va in contraddizione con una possibile evoluzione (basti pensare a INLAND EMPIRE e a quanto del suo approccio si possa vedere, seppur in parte più ridotta, anche qui). Secondo me, ma chiaramente manca ancora tempo per poter esprimere un giudizio completo, siamo davanti a tutto fuorché un’opera minore. Poi magari sarò la prima ad essere delusa alla fine eh, ma mi pare ci voglia veramente tanto coraggio a mettere in scena un lavoro del genere.

       
      • Boba Fett

        Spero tu abbia ragione! Io, purtroppo, mi posso basare solo sulla personale reazione emotiva e dopo 6 ore non ho ancora ricevuto segnali forti; anzi, dirò di più, l’aver visto recentissimamente un docu dove lui raccontava la sua storia partendo dall’infanzia con la stessa verve di Dougie Jones e sapendo quanto MacLachlan rappresenti il suo alter ego, mi ha fatto preoccupare non poco…

         
  • 4-3-0

    Per quel che mi riguarda, al momento, il punto più alto che ha raggiunto è il dialogo Truman-Wallie..
    ..si beh Wallie è stato un piacere e possa la strada venire sempre incontro alle tue ruote.
    …è una frase bellissima…grazie il mio darma è la strada..il suo…….