Finalmente ci siamo: dopo un’attesa più lunga del previsto, torna sulla HBO la serie monstre che ha conquistato milioni di spettatori in tutto il mondo, pronti a godersi quella che si preannuncia, anche alla luce di questa premiere, una esperienza assoluta e travolgente.
Gli autori di Game of Thrones sono ormai ben consapevoli di quanto la loro creazione sia diventata, con il passare degli anni, un’esperienza collettiva: fiumi di articoli, visioni pubbliche, eventi che attraggono centinaia di persone, tutti tasselli ormai fondamentali che compongono la costellazione che ruota intorno alla serie HBO, arrivata alla sua settima e penultima stagione. Per Benioff e Weiss si avvicina il momento tanto agognato quanto temuto, quelle battute finali in cui dovranno portare a compimento un compito tanto raro quanto complesso: pur avendo iniziato la serie a partire da dei testi di riferimento, hanno dovuto proseguire nel corso delle stagioni, anche a causa dei ritardi ormai biblici con cui si muove la scrittura di George R.R. Martin, grazie alla propria inventiva. Il duo di autori, dunque, ha dovuto affrontare il peso non solo di reggere una produzione di così ampio successo, ma di partire da presupposti non di loro originale ideazione.
Lo scorso anno, lo abbiamo visto, vi sono riusciti in maniera brillante dando vita ad alcuni degli episodi più belli mai visti in questa serie, nonché ad una stagione di livello altissimo. La settima annata, che già prevede tre episodi in meno rispetto alle esperienze degli anni passati, dovrà riuscire a mantenere la compattezza necessaria a guidare lo spettatore verso un finale soddisfacente (cosa che spiega anche il clamoroso ed esplosivo taglio di storyline avvenuto con gli ultimi episodi della sesta stagione).
È proprio da questo punto che ricomincia Game of Thrones: con un cold open che serve da ponte tra le due stagioni si ricomincia esattamente da dove ci si è lasciati un anno fa. Benioff e Weiss, però, non si lasciano prendere dall’ansia da prestazione, alla ricerca di continui colpi di scena; i due, invece, decidono di non cambiare la ricetta tradizionale: questo significa che, come tutte le altre premiere nel corso delle sei stagioni precedenti, Game of Thrones si prende il suo tempo per posizionare le pedine sulla scacchiera e, servendosi di qualche momento un po’ più didascalico – ma necessario, dopo tutto questo tempo –, preferisce preparare la partita ed apparecchiare tutto per le prossime puntate.
Leave one wolf alive and the sheep are never safe.
Si ricomincia dove ci si era fermati, si diceva. Prima ancora che si possa ritornare alle ben riconoscibili note di Djawadi e della sua sigla, Game of Thrones ci riporta da Walder Frey e le Torri, per l’ultimo atto della vendetta di Arya Stark. La ragazza, che nelle sue evoluzioni si è trasformata in un’assassina (pur riprendendosi la propria identità come figlia di Ned Stark), non solo libera il mondo da una delle più casate più odiate – casata che in un atto di viltà e crudeltà ha ucciso tutti gli Stark, impedendo alla giovane di riabbracciare i propri cari –, ma soprattutto, con l’uccisione del resto dei Frey e la cancellazione della famiglia dal novero di quelle di Westeros, Arya Stark rivendica la propria posizione nel mondo.
Non è terminato il suo lavoro, ovviamente: la lista presenta ancora dei nomi e l’intento finale è quello di eliminare Cersei Lannister dalla faccia della terra. Ciò che Arya non può prevedere, però, è l’incontro fortuito con quei soldati che si mostrano (fin troppo) gentili con lei. Arya, che combatte per la propria famiglia, ha dimenticato che cosa voglia dire avere una famiglia; infatti, non ha più ormai da svariate stagioni alcun contatto con gli altri Stark. Quando i soldati le ricordano il calore del focolare domestico e degli affetti a lei più vicini, finalmente vediamo Arya tornare a sorridere, riabbracciare quel lato più umano che era stata costretta a sopire e a nascondere per sopravvivere, dietro quel muro di apparente indifferenza che non è mai davvero riuscita a creare tra lei e le sofferenze del mondo.
Per gli Stark sono tempi di profondo cambiamento: Brandon, ormai totalmente consapevole del proprio potere, si muove verso Sud probabilmente per raggiungere Grande Inverno (e riportare la non felice notizia che all’orda dei non morti si sono aggiunti dei giganti zombie), mentre Sansa e Jon si ritrovano sempre più su posizioni differenti, adesso che non hanno più a che fare con un nemico riconoscibile e viscerale com’era Ramsay, centro dell’odio di entrambi. I fratelli si confrontano ora con un’altra realtà: i due hanno idee sul potere e sul governo piuttosto diverse.
Sansa Stark è enormemente cambiata dalla ragazzina innamorata di Joffrey le cui uniche aspettative per il futuro riguardavano una vita da felice principessa. Attraverso alcune delle più terribili esperienze di vita Sansa si è formata ritenendo che il mondo sia profondamente ingiusto e che il potere sia un costante gioco di facciate e segreti. Le due personalità che hanno avuto il maggior peso nella sua formazione sono Cersei e Ditocorto, non proprio degli esempi di virtù e decenza. Ecco perché lei non può comprendere la scelta di Jon Snow di non essere troppo rigido contro chi lo ha tradito: Cersei e Ditocorto non avrebbero mai prestato il fianco alle accuse di debolezza. La ragazza è ben consapevole che il faro di comportamento rappresentato da Ned Stark, che tanto fascino ha sul fratellastro, si porta con sé anche i terribili errori di giudizio che il padre (e in questo anche Robb) ha commesso. Si può cercare di seguire la bussola morale di Ned Stark quando è stata proprio questa a decretarne la fine?
Jon Snow è però su un altro piano: lui ha già avuto esperienza di comando e ha già commesso l’errore che gli viene ricordato da Sansa; è stato severo ed intransigente fino in fondo in passato e questo lo ha condotto ad una morte a cui è scampato per letterale miracolo. È stata la severità di Robb Stark ad alienargli i Karstark e a spingerli al tradimento; è stata la violenza morale di Ned Stark a farlo cadere nella trappola di Cersei Lannister. Jon non ha alcuna intenzione di seguire questo percorso, ma ai suoi occhi gli ideali professati dal padre non vanno rifiutati solamente perché l’uomo non è stato in grado di prevedere i pericoli intorno a sé. Tra i due si addensano sempre più cupe nubi: i loro caratteri presentano aspetti fin troppo differenti e le interferenze di Ditocorto sembrano avere sempre più fascino su Sansa. Se questo significherà una rottura dei rapporti tra i due Stark bisognerà vedere; ma certamente il fatto che l’uno guardi al nord e l’altra al sud potrebbe presto rappresentare un’autentica crisi.
I understand we’re in a war for survival. I understand whoever loses dies. I understand whoever wins could launch a dynasty that lasts a thousand years.
Cersei Lannister ha dovuto combattere tutta la sua vita per potersi assicurare di essere giudicata alla stregua di un uomo; ha dovuto affrontare un marito beone, un padre incapace di vederla come altro rispetto ad una figura di secondo piano ed un fratello minore quale simbolo di tutto ciò che ha perso. Ora che è stata lasciata da tutti i suoi figli, però, ora che sembra non esserci più nulla per lei, Cersei ha bisogno di alimentarsi del potere che è tanto convinta di meritare. I Lannister sono praticamente scomparsi e non ci sono più figli a cui lasciare la propria eredità; persino l’amato fratello gemello è sempre più spiritualmente distante dalla donna, quasi spaventato dalla macchina da guerra in cui si sta trasformando adesso che è circondata da nuovi e temibili nemici. Pur consapevole di essere in una posizione di svantaggio, Cersei ha ben in mente gli insegnamenti del padre, anche se questo vorrà dire costringersi ad un matrimonio di convenienza – cosa che aborriva con tutta se stessa quando avrebbe dovuto sposare Loras Tyrell. Di Cersei non resta che un involucro, tetragono ai colpi di sventura: ha sofferto così tanto ed è stata così tanto abbattuta che non ha alcuna intenzione di guardarsi alle spalle, tutta protesa all’eliminazione dei propri avversari, aspirante dominatrice di Westeros.
Se deve legarsi ad Euron Greyjoy per ottenere l’esercito di cui ha bisogno, non si tirerà indietro. A tal proposito, è da notare che Euron ha subito un profondo restyling rispetto allo scorso anno, cambiato nell’aspetto e nel modo di fare. Il risultato è più che positivo, perché meglio caratterizza la pericolosità anche folle del nuovo Re delle Isole di Ferro.
– Why are you always in such a foul mood?
– Experience.
Parlando di cambiamenti, non possiamo non gettare lo sguardo a quello che accade ad un personaggio che avevamo conosciuto per la sua violenza e spietatezza, quel Mastino che si è ora aggiunto alle fila della Confraternita senza Vessilli. Confermando una tendenza molto forte in questa premiere – ossia il costante rimando a quanto accaduto nelle stagioni precedenti –, il Mastino dovrà fare i conti con la nuova persona in cui si sta trasformando. Nel suo cammino di redenzione e di avvicinamento ad una fede che ha sempre profondamente disprezzato, Clegane deve confrontarsi con la famiglia a cui aveva rubato il cibo e che ha dunque indirettamente condannato a morte. Una morte che lui ha evitato solo per intercessione di chi lo ha salvato e alla quale è scampato senza essere consapevole delle ragioni alle spalle; ecco perché spera di capire ciò che succede a Beric Dondarrion, sebbene anche questo non sia un uomo in apparenza meritevole dell’intervento divino. Nonostante si stia parlando di una storyline che non sembrerebbe avere collegamento con le altre – ma con il nuovo percorso verso nord le cose potrebbero cambiare –, gli autori compiono un’azione ammirevole nel trattarla in questo modo perché ci ricordano ancora una volta che la serie non è soltanto un racconto d’avventura, non è una grande narrazione fantasy che vuole solo intrattenere; Game of Thrones è qualcosa di più, è un racconto che contempla l’analisi di un’umanità ben più complessa, in cui anche i personaggi negativi possono mostrare degli aspetti ammirevoli o incamminarsi su un credibile percorso di redenzione.
Shall we begin?
L’ultima volta l’abbiamo lasciata sulle navi, finalmente diretta a Westeros. Senza particolari intoppi Daenerys ci arriva, raggiungendo così quella Dragonstone che abbiamo conosciuto con Stannis, ma che è il luogo di nascita dell’aspirante Regina del Trono di Spade. Roccia del Drago è un luogo fondamentale non solo per la scoperta di Sam (la cui storyline a Vecchia Città sembra diventare più interessante di quanto inizialmente preventivato, anche per la presenza di un Jorah Mormont sempre più malato), ma soprattutto per quello che rappresenta per i Targaryen. Finora Daenerys aveva sempre e solo sognato di tornare a Westeros per reclamare ciò che crede le spetti; attraverso dolori e vittorie la Targaryen ha dovuto combattere per emergere, anche quando il sogno ereditato dal fratello le sembrava un’utopia sempre più distante. La realizzazione che quella realtà sta via via concretizzandosi, pronta ad entrare nel vivo – ma anche nella sua parte più difficile –, spiega dunque perché quella di Roccia del Drago sia una lunga sequenza di scoperta, una passeggiata ed un appropriarsi di quelle mura che conservano l’essenza stessa dei propri avi. Le sue uniche tre parole sono lì a ricordare che questo episodio è una sorta di raccordo tra quello che è stato prima e quello che ancora deve essere: le danze possono finalmente avere inizio.
E così Game of Thrones si conferma una serie in forma, capace di andare avanti e travolgere lo spettatore senza per questo stravolgere la propria essenza. Eccoci con una premiere perfettamente riuscita, un’introduzione alle dinamiche che caratterizzeranno il resto di questa breve settima stagione. Si può cominciare.
Voto: 8 ½
Ma quanto è solido Game of Thrones? Siamo alla settima stagione, ma questa serie non dimostra nessunissima fatica. Anzi, non fa che migliorare.
Migliorata da quando gli autori sono liberi di muoversi e non ancorati ai libri.
Ottima recensione!
Mi è sembrata una buona puntata di rilancio. Tutti ci aspettiamo azione, ma le pedine si stanno riposizilnando.
Permettetemi una nota partigiana : spero che Sansa sparisce quanto prima, specialmente se si profila lo scontro con Jon che paventi tu. ????
sparisce insieme ai congiuntivi probabilmente..
Bella recensione, ho apprezzato molto soprattutto le riflessioni su Cersei e sul rapporto Sandor/Beric.
Una cosa però mi ha lasciato perplesso (nella puntata, e anche nella recensione che tutto sommato la considera positiva): il restyling di Euron. Trasformare il bifolco sanguinario che era nel damerino hipster che abbiamo visto (anche se altrettanto sanguinario, si spera) lo rende forse più televisivo, ma molto meno credibile.
Da sempre molto attenti a simboli e simbolismi, mi colpiscono alcuni particolari. Tutti i protagonisti vestono in nero e nera è anche la nuova armatura della Montagna (con un elmo che è un curioso omaggio, non so se volontario o meno, a Darth Vader); Lady Mormont sostiene la causa del “tutti in arme!”, bimbi compresi e in tutta risposta ci viene mostrato un bivacco di giovanissimi Lannister, tutt’altro che battaglieri e aggressivi come visto più volte in passato; Tyrion insolitamente muto.
Bellissima recensione come sempre. La puntata mi è piaciuta tantissimo, ma non mi è chiara la visione del Mastino.
Ho capito male, oppure c’è una falla e gli Estranei passeranno tranquillamente? Spero spieghino meglio nelle prossime puntate.