Il sodalizio tra Marvel e Netflix ha finora segnato, almeno dal punto di vista della ricezione critica, una parabola discendente, che è andata dall’entusiasmo con cui è stato giustamente accolto Daredevil alle critiche spietate riservate ad Iron Fist, passando per l’apprezzamento dell’attitudine inclusiva di Jessica Jones e Luke Cage, la quale ha ben sopperito ma non cancellato le problematiche derivanti da una trama a tratti annacquata e poco coesa.
Dopo la débâcle di Iron Fist di qualche mese fa, giungiamo quindi al tanto atteso The Defenders, la mini-serie crossover di otto episodi che rappresenta, se non la chiusura – sono infatti già in programmazione le nuove stagioni di Daredevil e Jessica Jones, oltre a uno show su The Punisher –, senza dubbio il primo punto di arrivo di questo ambizioso progetto. Proprio alla luce di questo, e a maggior ragione se consideriamo i risultati alterni ottenuti dai singoli show, questo crossover costituisce quindi un vero e proprio banco di prova per giudicarne la validità e solidità in un’ottica più generale.
La serie punta evidentemente a sfruttare la fortunatissima formula del team di eroi, che sulla scia di The Avengers è divenuta ormai una costante dei cinecomic – pensiamo a Age of Ultron, Civil War, e Suicide Squad, oppure a Infinity War e Justice League, in uscita nei prossimi mesi –, confrontandosi di conseguenza con un altro elemento caratteristico di questa tipologia di prodotti mediali, ovvero la necessità di coniugare il loro essere parte di un contesto più ampio (l’universo condiviso) con quella di conservare una propria autonomia estetica e narrativa. Se da un lato infatti è innegabile che questi franchise richiedano al loro pubblico di riferimento una serie di conoscenze pregresse necessarie per una comprensione completa degli eventi e delle dinamiche messe in scena, d’altro canto l’esigenza di raggiungere un numero di spettatori il più ampio possibile impone una serie di accorgimenti che permettano anche a chi non ha familiarità con ogni tassello dell’universo condiviso di approcciarvisi senza troppi problemi.
A giudicare da “The H Word”, l’impressione è che questo sia stato il principale ostacolo che gli autori (Douglas Petrie e Marco Ramirez, già showrunner della seconda stagione di Daredevil) hanno dovuto affrontare. L’episodio si trova infatti a dover rispondere a esigenze molteplici, che sono figlie proprio della natura peculiare di questo pilot: questo non si limita infatti a gettare le basi per lo sviluppo della trama stagionale, ma si trova anzi costretto a dedicare buona parte del suo minutaggio a fare il punto della situazione sulle diverse storyline che hanno coinvolto in precedenza i personaggi, in modo da rinfrescare la memoria agli spettatori fedeli e rendere il racconto comprensibile anche ai neofiti. Ne risulta quindi un capitolo dal carattere estremamente introduttivo – a tratti quasi noioso – in cui la convergenza dei protagonisti verso un punto d’incontro, sia geografico che metaforico, viene solo annunciata attraverso l’introduzione del villain – Alexandra Reed, interpretata da Sigourney Weaver – e da una serie di indizi e piste apparentemente slegati tra loro ma che quasi sicuramente verranno ricondotti ad un’unica origine.
Al momento quindi i percorsi dei quattro Defenders procedono su binari separati, ma non per questo privi di punti di contatto: a essere al centro della narrazione è infatti ancora la riflessione sulla figura dell’eroe metropolitano, ruolo nei confronti del quale ciascuno di loro si rapporta in maniera più o meno problematica: se da un lato troviamo Luke e Danny, i quali, nonostante tutto (il carcere, i sensi di colpa, le incertezze), vogliono tornare a ricoprirlo, diversa è la situazione per Matt e Jessica, che invece si ostinano ancora a negare e reprimere questa parte di loro, malgrado ne sentano evidentemente la mancanza. A unirli è quindi la continua messa in discussione del loro ruolo di eroi, che continua, ora più che mai, a legarsi a doppio filo con il rapporto diverso ma egualmente intenso che ognuno di loro intrattiene con la città di New York, vera e propria quinta protagonista del racconto.
Nel complesso le premesse poste da “The H Word” lasciano quindi da un lato ben sperare circa la buona riuscita del crossover: la continuità e coerenza tematica che lo unisce agli show “monografici”, l’introduzione di un villain per ora solo abbozzato ma dotato di grande potenziale e, non da ultimo, il numero ridotto di episodi, hanno infatti tutte le carte in regola per rendere The Defenders un prodotto riuscito e privo di quei difetti a cui si accennava in apertura. Tali elementi dovrebbero infatti permettere allo show di conservare un ritmo sostenuto e una trama coesa, mentre la dinamica di gruppo potrebbe risolvere i problemi di scrittura di alcuni dei personaggi, Iron Fist in primis. D’altro canto è però innegabile che al momento ci troviamo di fronte a un lungo prologo, privo di particolare appeal (anche la sequenza di combattimento d’apertura risulta abbastanza deludente) e che in certi momenti dà l’impressione di essere più il montaggio di quattro premiere diverse che il primo capitolo di una nuova serie – sensazione accentuata anche dal lavoro fatto sulla fotografia, che conserva di volta in volta le peculiarità cromatiche dei singoli show di riferimento.
Non ci resta quindi che dare fiducia a Marvel e Netflix e proseguire con la visione, sospendendo per ora il giudizio sull’effettiva riuscita di questo esperimento.
Voto: 6+