Seppur arrivato a quattro episodi dalla fine, sembra ormai certo che Twin Peaks non abbia la minima intenzione di abdicare a un qualsiasi senso narrativo tradizionale: sebbene le storyline sembrino convergere col procedere della storia, questa si fa sempre più rarefatta, immersa in una nebbia onirica che avvolge personaggi e spettatori. La stessa sensazione destabilizzante che suscita la visione di questa terza stagione di Twin Peaks sembra contagiare infatti anche gli stessi protagonisti della serie, sognanti o sognatori ormai definitivamente sospesi tra mondo reale e mondo soprannaturale, due emisferi paralleli che si compenetrano quasi completamente rendendo impossibile per noi spettatori, ma anche per chi vediamo sullo schermo, distinguere i due piani della narrazione.
We’re like the dreamer who dreams and then lives inside the dream.
Probabilmente non è neppure nelle intenzioni dello show fornirci una chiave di lettura figlia della contrapposizione tra la Terra e i piani astrali su cui si muovono i semidei della Black e della White Lodge, o almeno tutti i segnali (in primis, la rilassatezza con cui ogni dettaglio improbabile è accettato da chi lo sta vivendo) puntano nella direzione di una vicenda in cui la verosimiglianza in senso stretto non è di nessuna importanza.
Dove si dirige quindi uno show in cui verosimiglianza e narrazione tradizionale sono caratteristiche accessorie, finanche inutili, e che chiaramente punta a destabilizzare le aspettative di chi guarda? Questa “Part 14” sembra volerci dire che ciò che conta non sono gli avvenimenti in sé ma il loro significato, non tanto nel senso di interpretazione ma di simbolismi sottesi e della visione del mondo che Lynch sembra volerci trasmettere attraverso la serie.
I had another Monica Bellucci Dream
Innanzitutto, continuano a comparire accenni e dettagli che rimandano alle religioni orientali e in particolare al Tibet, questa volta in una delle prime sequenze, in cui Albert e Tammy ci svelano (con l’anticlimax tipico di Twin Peaks) le origini del Blue Rose Team attraverso il caso di Lois Duffy.
Oltre a riconfermare una teoria diffusa, ovvero che la rosa blu è simbolo di ciò che non esiste in natura, manufactured, estraneo, il doppelgänger di Lois è subito identificato come un tulpa, termine della lingua tibetana usato nell’ambito meditativo – la meditazione trascendentale è, ricordiamolo, grande passione di David Lynch – per definire una personalità incorporea creata attraverso appunto la meditazione, un essere che vive nel piano astrale ma che può essere visualizzato e reso “vivente” come rappresentazione della volontà di chi l’ha creato.
L’idea che il tulpa, alla pari del golem di tradizione ebraica, possa essere un prodotto della mente che si fa sostanza e carne si armonizza perfettamente con le strane regole che governano il mondo di Twin Peaks, in cui i sogni danno un senso agli eventi reali ma la realtà stessa è spesso vissuta con la stessa sospensione di un sogno.
Il sogno di Gordon, in cui Monica Bellucci fa da Virgilio al direttore dell’FBI (e forse l’ha già fatto in passato) non racchiude soltanto una frase che è una chiave interpretativa forse dell’intera serie, ma è anche il veicolo per riportare alla luce il ricordo sepolto – sia da Albert che da Gordon – dell’incontro con Philip Jeffries che abbiamo visto in Fire Walk With Me.
Il dormiente deve svegliarsi (Dune, 1984)
Sogni che risvegliano memorie reali, dormienti che si svegliano: sembra che per Lynch, in questo show come altrove nella sua filmografia, i veri interpreti del reale possano essere soltanto coloro che ne sono in parte inconsapevoli, che si abbandonano alle visioni e, così facendo, entrano in contatto con dimensioni “altre” che di questo reale sono artefici e deus ex machina.
L’amore di Lynch per i semplici e le cose semplici, per coloro che invece di cercare di prendere il controllo del mondo si lasciano guidare dalle leggi di natura, si esprime anche attraverso il ruolo fondamentale che riserva alle figure di idiot savant di cui questa terza stagione di Twin Peaks è disseminata, sicuramente Dougie ma anche, inaspettatamente, lo stesso Andy che sembrava essere soprattutto un comic relief e invece diventa qui un eroe nel vero senso della parola. L’empatia e la fiducia con cui l’agente soccorre Naido (che non possono non ricordare le lacrime versate sul cadavere di Laura Palmer nel pilot della serie) e la naturalezza con cui si lascia trascinare nel vortice riflettono inevitabilmente l’abbandono con cui Dougie seguiva le fiammelle sulle slot machine; ingenui e semplici non sono però puramente pedine inconsapevoli perché lo show li carica di una dignità evidente, di uno scopo se non definito sicuramente cruciale e del riconoscimento di entrambi da parte di chi li circonda.
Il cinema di Lynch è disseminato di dormienti di questo tipo – lo stesso Paul Atreides di Dune, ad esempio, ma anche Jeffrey in Velluto Blu, per nominarne due interpretati da Kyle MacLachlan – ed Andy si inserisce alla perfezione in questa iconografia assistendo con pacifico interesse a quello che sembra essere un recap degli eventi in corso all’interno della White Lodge. Il gigante (che scopriamo chiamarsi The Fireman, l’estintore del fuoco scatenato dal male ma al tempo stesso una maniera semplice e molto terrena di definirsi per quello che sembra essere a tutti gli effetti una sorta di divinità dai poteri ultraterreni) lo sceglie, forse per l’empatia dimostrata verso Naido, come proprio alfiere e protettore della ragazza cieca, riemersa improvvisamente e altrettanto improvvisamente designata come figura chiave per gli eventi futuri.
“In Memory of David Bowie.”
Forse è proprio Naido che Mr. C stava cercando insieme alle coordinate del vortice, o forse il ruolo di Naido è più marginale ma tassello fondamentale di quel complicatissimo puzzle che è Twin Peaks, in cui i personaggi sono come pezzi di una scacchiera impazzita, che si muovono in una maniera apparentemente insensata che svela soltanto a posteriori un’attenta premeditazione e un ordine sotteso molto più raffinato e sottile di quanto si sarebbe potuto immaginare.
Esempio perfetto sono i dialoghi all’interno del Roadhouse, che finora apparivano come una sorta di chiacchericcio di sottofondo o siparietti angoscianti sulla decadenza della città, ma che alla luce dell’apparizione di quello che potrebbe essere il tanto nominato Billy in una cella dello sceriffo finiscono per aprire un ulteriore scenario di eventi, riconnettendo la storyline di Audrey (il manicomio continuamente menzionato potrebbe essere quindi Ghostwood) con il commercio di droga e probabilmente con le ragioni per cui Richard Horne si trovava in Montana al momento dell’arrivo di Mr. C.
Allo stesso modo, il rumore che Benjamin Horne sentiva al Great Northern Hotel è lo stesso rumore che attira James all’interno della fornace: un ulteriore tassello che contemporaneamente dà un senso alla presenza di un personaggio delle stagioni precedenti e ci introduce ad una nuova figura della scacchiera, il giovane inglese Freddy. Un altro innocente che si abbandona alle magie del mondo, un’altra figura apparentemente marginale che in poche linee di dialogo scopriamo essere dotato non soltanto di un potere soprannaturale (la storia del guanto ricorda una versione deliziosamente lynchiana della origin story di un supereroe) ma anche di uno scopo ben chiaro addirittura attribuitogli direttamente dallo stesso Fireman.
Do you really wanna fuck with this?
La capacità dello show di mescolare personaggi totalmente nuovi e slegati dalla storia precedente, comparsate eccellenti come quelle della Bellucci e al contempo di ricontestualizzare la presenza dei caratteri originari con un nuovo obiettivo, ridisegnato dal tempo ma comunque coerentissimo con il passato che li ha segnati e resi ciò che sono, continua ad essere ipnotizzante e stupefacente, uno dei principali motivi di interesse di questa terza stagione.
Forse nessun personaggio è interessante in questo senso quanto Sarah Palmer, introdotta da brevi scene nel corso di questi 14 episodi, dapprima contestualizzata nella sua morte vivente, una vita solitaria fatta di alcolici e televisione, ma poi divenuta sempre più inquietante e potente come simbolo principale delle ferite mai guarite della città.
In questa “Part 14” si va però decisamente oltre, chiudendo l’episodio (prima del classico momento Roadhouse pre titoli di coda) con lo svelamento della natura mostruosa di Sarah, che oltre a togliersi la faccia nello stesso modo in cui Laura se la toglieva in Part 2, prima di sparire dalla Black Lodge, aggredisce il proprio assalitore nel bar divorandolo come divora l’essere grigio uscito dalla glass box.
Un parallelo tra madre e figlia che le mette in collegamento e contrapposizione, la luce ambrata di Laura contro la grigia nebbia di Sarah, che potrebbe significare la possessione da parte un’entità della Black Lodge o forse addirittura dalla stessa Mother, riconnettendoci agli indizi disseminati dalla Part 8 e mostrandoci un potere selvaggio che dorme, anch’esso pronto a risvegliarsi, tra le tranquille villette dei quartieri residenziali di Twin Peaks.
Momenti ed episodi come questo riconfermano ogni settimana, se mai ce ne fosse bisogno, che siamo di fronte ad un oggetto mediale completamente e consapevolmente differente da tutto ciò che possiamo vedere nella televisione contemporanea: ribelle ad ogni definizione, irriverente nei confronti di qualsiasi confine e pronto a disattendere ogni aspettativa dello spettatore.
Twin Peaks ha ancora 4 episodi da regalarci ed è incredibile pensare che questo viaggio sia quasi arrivato alla fine, ma ha ancora moltissime carte da giocare e non ha paura di mescolarle e confonderle nonostante il poco percorso che ancora rimane. Non resta quindi che abbandonarsi, fiduciosi e inconsapevoli come i suoi eroi, alla magia delle creazioni surreali di David Lynch.
Voto: 9
Bella recensione, Eugenia. Ho l’impressione che TP non si fermi a questa terza stagione.
Concordo sembra impossibile che tutto il materiale che hanno inserito fin qui completi il suo corso in 4 puntate.Credo o forse spero in una quarta stagione.La paura piu’ grossa e’ che venga sottinteso un continua ma che venga realizzato fra chissa’ quanto tempo o addirittura mai.Grandissima recensione comunque.
Sì ottima disamina il tempo e lo spazio sono differenti a twin peaks come si vede anche nella cronologia delle puntate ciao Eugenia