Se un programma avanzato potesse, attraverso i nostri pensieri, le nostre reazioni e soprattutto le nostre esperienze, determinare il partner ideale con cui spendere il resto delle nostre vite, dando una scadenza precisa alle relazioni intermedie che non lasceranno reale traccia, che uso ne faremmo?
È da un assunto del genere che parte Charlie Brooker nella scrittura di questo quarto episodio. In un mondo che non viene mai descritto se non per vaghi accenni – ma che si può spiegare solo in virtù della rivelazione finale –, un programma senza nome determina le relazioni sentimentali a cui si sottopongono uomini e donne alla ricerca dell’anima gemella. Guardato dall’esterno, il programma non fa altro che meccanicizzare quello che accade nelle nostre vite continuamente: ci diamo a relazioni di maggiore o minore durata, impariamo noi stessi e la vita di coppia attraverso l’esperienza accumulata (con le dovute differenze tra coloro che hanno bisogno di più storie a breve termine e quelli che invece si muovono attraverso relazioni di lunga durata).
Questo programma non fa altro che simulare una normale evoluzione sentimentale, restringendo tutto nelle strette maglie della programmazione e togliendo, così, quella spontaneità – più o meno reale – che risulta essere la chiave di volta nel ritrovamento della vera storia d’amore. Eccoci dunque a questo “Hang the DJ” che riporta in campo, per la seconda volta, un lato diverso di Black Mirror: se, infatti, la serie è conosciuta per il suo sguardo distopico ed impietoso sugli influssi che la tecnologia può avere sulle nostre vite e sui mille modi in cui può decisamente peggiorarla, questo quarto episodio ci conduce in un mondo sì freddo e preoccupante, ma in cui è comunque ancora possibile trovare una scintilla di ottimismo. D’altronde, non è un caso che questo episodio richiami alla memoria il quarto della stagione precedente, quel “San Junipero” che per primo, e con grande successo, aveva introdotto questa novità nella serie. Brooker conferma la volontà di creare almeno un episodio in cui il futuro, per quanto spaventoso, non sia in grado di spezzare l’essere umano finché esso sa tenersi con decisione ai sentimenti più forti che gli pertengono, primo fra tutti quello dell’amore.
C’è un tentativo di imbrigliare l’amore, d’altronde, al centro di questo “Hang the DJ”, ossia la presunzione di poter trovare il partner perfetto attraverso una serie di tentativi perfettamente organizzati in spazi, tempi, modi. Il Sistema fa quello che programmi come Tinder e simili hanno la presunzione di essere già in grado di fare, ossia calcolare attraverso complessi algoritmi la compatibilità tra due persone, eliminando – o, di nuovo, pretendendo di eliminare – il fattore indeterminabile della personale reazione umana. Ecco, dunque, che se ad ogni relazione viene attribuita una data di scadenza allora non ci sarà più bisogno di viverla davvero fino in fondo, con le surreali scene di due persone che, dopo un anno di relazione, positiva o negativa che sia stata, si salutano come se il tempo non fosse servito che ad un esperimento sociale.
È chiaro che questo episodio può reggersi in piedi solo se i protagonisti riescono a realizzare una relazione sentimentale che sappia sfidare questi elementi: la storia di Amy e Frank funziona perché la sceneggiatura funziona, perché riesce a costruire efficacemente un doppio specchio in cui mostrare il lento ma inevitabile innamoramento di due persone che si ritrovano indiscutibilmente attratti l’uno dall’altra. E questo può accadere perché Georgina Campbell e Joe Cole hanno tra loro una chimica pazzesca che riesce a trasparire in ogni scena insieme. Questa loro forza fa sì che la serie non abbia bisogno di nessun altro tipo di comprimario e gli attori secondari scompaiono in pochi attimi davanti alla loro interpretazione. L’epilogo finale, poi, che vede la ribellione al programma come sommo emblema del loro amore e di conseguenza la chiave per sovvertire il sistema stesso non poteva che essere il perfetto compimento di questo percorso.
Ciò che in parte manca all’episodio, e che però viene quantomeno chiarito dal suo finale, è una mitologia densa che possa far comprendere come sia possibile che questi personaggi non abbiano pensato di ribellarsi prima al sistema degli scambi di coppia. Solo in virtù del finale una certa fumosità nella composizione dell’insieme si scioglie e permette di godere appieno delle vicende narrate; oltre le storie sentimentali dei personaggi non c’è vita. Eppure, questo rende molto difficile una totale adesione alle loro vicende perché troppo spesso si ha la percezione che qualcosa costantemente manchi: insomma, siamo di fronte ad un episodio che richiede necessariamente una seconda visione, questa volta più “rilassata”, per essere goduto appieno. Perché questo episodio, a differenza di molti altri della serie, non ha la pretesa di parlare davvero del futuro: non vuole spaventare o mettere in guardia lo spettatore sui pericoli di una meccanicizzazione delle relazioni sentimentali, dal momento che alla fine si è trattato solo di una simulazione atta a far funzionare un programma di incontri; a dirla tutta, la puntata sembra chiudersi con una nota positiva nei confronti della tecnologia, come a dire che programmi di questa risma possono esistere ed il “vero” incontro finale tra Amy e Frank è dettato dalla certezza algoritmica che i due insieme funzioneranno.
La regia in forma, la scrittura ispirata e la recitazione perfetta rendono dunque questo episodio davvero godibile soprattutto nei suoi aspetti più commoventi, capace di coinvolgere in prima istanza lo spettatore che vorrà lasciarsi andare al flusso delle emozioni. Si tratta di una pausa a metà stagione, come già accaduto lo scorso anno, dal turbinio di distopica angoscia che Black Mirror ha sempre saputo creare (sebbene con meno violenza che in passato). E dunque questo episodio porta avanti con successo la quarta stagione di Black Mirror con la consapevolezza che, almeno per un attimo, possiamo continuare a sperare per il futuro.
Voto: 7 ½
Episodio davvero delizioso. Molto bella l’idea che lo sbandierato 99.8% sia la percentuale di ribellioni. Insomma il sistema che prende come base decisionale la ribellione al sistema stesso.
Non sono molto d’accordo sul fatto che in “Hang the DJ” ci sia una nota positiva nei confronti della tecnologia. Anzi, il bello della puntata secondo me è proprio che il twist finale ribalta la situazione… non ribaltandola. Quelli che ci sono stati presentati come due idioti, Amy e Frank, ci paiono due idioti anche nel passare dalla loro natura “algoritmica” alla loro natura umana, anzi di più. Prima del colpo di scena finale, Amy e Frank ci sembravano due idioti perché condizionati da un modo di pensare idiota che ha “istituzionalizzato” la meccanicizzazione delle relazioni sentimentali. Dopo il colpo di scena che ci fa capire che era tutta una simulazione, Amy e Frank non ci sembrano più idioti, perché passano dall’essere semplici varianti di un algoritmo a essere veri esseri umani (e non perché si siano “ribellati”, perché comunque la ribellione faceva parte di una simulazione), ma allo stesso tempo ci sembrano molto più idioti proprio per questo, perché da esseri umani, li vediamo condizionati dalla tecnologia né più né meno di quando erano “stupide IA” all’interno di una simulazione.