Trust – Stagione 1 2


Trust – Stagione 1Quando un prodotto audiovisivo decide di mettere in scena eventi realmente accaduti che includono persone ancora in vita, è inevitabile che ci sia una reazione. La seconda stagione di American Crime Story ad esempio, per citare un caso recente, ha visto la famiglia Versace condannare da subito lo show. Anche per Trust, serie antologica che racconta diversi periodi della storia dei Getty, c’è stata una presa di posizione molto forte da parte di Ariadne, sorella di John Paul III, che considera come non veritiera e falsamente spettacolarizzata una vicenda drammatica per la famiglia.

Simon Beaufoy è intervenuto, rispondendo a tono e chiarendo inequivocabilmente ciò che gli spettatori leggono all’inizio o alla fine di ogni episodio. I fatti raccontati sono sì realmente accaduti ma, come è ormai abitudine per i true crime drama, sono rielaborati e alle volte riscritti a fini drammatici. Non potrebbe essere altrimenti; per richiamare in causa nuovamente un altro prodotto di FX, è quello che fa in modo radicale Ryan Murphy nel raccontarci dapprima le questioni sociali che sottendono la vicenda legale di O.J. Simpson e, nella stagione successiva, il contesto culturale relativo all’omosessualità negli Stati Uniti della fine del XX secolo. Nessun racconto biografico ha più senso di esistere fine a se stesso: la piccola storia dev’essere un pretesto per espandere il discorso verso tematiche di più ampio respiro e Trust, sebbene in modo meno sperimentale e marcato rispetto ad American Crime Story, lo fa in maniera egregia.

A rich life is just as messed up as a poor life. Just a different kind of messed up.

Trust – Stagione 1Le ottime impressioni suscitate dal pilot sono confermate e superate dai nove episodi successivi. Il rapimento di John Paul Getty III (Harris Dickinson), che è già di per sé una storia interessante, soprattutto in relazione alle reazioni di tutte le altre personalità coinvolte ai tempi, è il punto di partenza per parlare in primis delle malsane relazioni che intercorrono tra i Getty – senza nasconderlo, soprattutto della figura del magnate Jean, al tempo divenuto l’uomo più ricco del mondo grazie al business del petrolio – ma, allargando l’orizzonte narrativo, anche del rapporto tra territorio e mafia nel sud Italia, con episodi interamente dedicati ai rapitori e al contesto socio-culturale degli anni Settanta. Da quest’ultimo punto di vista non si può che essere soddisfatti di come gli autori abbiano tratteggiato i personaggi e abbiano curato la messa in scena degli ambienti nostrani, che rischiano sovente, soprattutto nelle produzioni statunitensi, di essere un’accozzaglia di stereotipi inverosimili che si allontanano dal mostrare la realtà. Questo è quello che avviene, infatti, in All the Money in the World, il film di Ridley Scott sulle stesse vicende della serie uscito pochi mesi fa; in quel caso l’aderenza storica alla rappresentazione dei criminali italiani viene totalmente abbandonata, lasciando una incolore e insapore interpretazione di un periodo che non può essere superficialmente minimizzato in mafia-cattiva e polizia-buona. Ad uscirne appiattiti sono soprattutto i personaggi centrali della narrazione: il Cinquanta di Scott (Romain Duris), per esempio, è una macchietta senza spessore, che si affeziona al ragazzo Getty senza che la sceneggiatura lo giustifichi adeguatamente.

People here, they have nothing, but they’re just willing to give you everything.

Trust – Stagione 1Il superamento di questa patina idealizzata e irrealistica della società del nostro paese è un merito degli autori della serie, che, specialmente con “Silenzio” e “In the Name of the Father” (quest’ultimo diretto da Emanuele Crialese non a caso), riescono nell’impresa di uscire dagli schemi e rendere, per la maggior parte, veritiera e genuina la situazione difficile che affrontava il meridione in quegli anni, sospeso tra povertà e sottomissione al potere invisibile della ‘ndrangheta.
Il primo degli episodi citati mostra in tutto e per tutto questa verità: Angelo aiuta Paul a fuggire tra le montagne e Don Salvatore istituisce una caccia ai ragazzi che coinvolge tutto il paese – con un filo di esagerazione e un eccesso di didascalismo, forse, che però non depotenzia la consapevolezza di ciò che si vuole sottolineare. Lo stesso avviene nell’ottavo episodio, attraverso la paura di Leonardo e Primo di rivelare al boss che i soldi non ci sono ancora; in questo caso a spiccare sono proprio le interpretazioni di Luca Marinelli e Francesco Colella, oltre ad un confronto interessante sulla figura della donna tra Regina (Donatella Finocchiaro) e la zia del defunto Angelo in cerca di giustizia.

Funny, not so many know how King Midas died.

Tornando ai Getty e alla negoziazione sul riscatto, che è il fil rouge della stagione, enfatizzato anche dalle informazioni sulla somma richiesta e quella offerta in sovraimpressione all’inizio di ogni episodio, è chiaro che l’analisi di come i personaggi hanno reagito all’evento non può prescindere dalla loro caratterizzazione. Il diabolico Jean Paul Getty è interpretato da un Donald Sutherland in splendida forma, che sembra essere nato per questo ruolo e che sovrasta il già ottimo Christopher Plummer, suo interprete nel film – sostituto dell’indagato Kevin Spacey che ha dovuto rigirare tutte le sue scene in soli nove giorni. Il magnate del petrolio è tratteggiato divinamente come un uomo che tratta ogni rapporto personale e affettivo come un accordo commerciale, per il quale è necessario valutare i costi e i benefici: questo vale per le sue molteplici mogli – la poligamia istituzionalizzata è un’altra delle caratteristiche che lo rendono così terrificante – che devono firmare un contratto per poter vivere con lui, e allo stesso modo nel legame padre-figlio, che emerge sia nell’episodio dedicato al deludente figlio Paul, “Kodachrome”, sia nella freddezza persistente in tutti i dialoghi che li vedono coinvolti.

Trust – Stagione 1Il diabolico e potentissimo signor Getty, arrivato tanto in alto grazie alla sua intelligenza economica, inevitabilmente cadrà vittima della sua stessa ambizione. Se anche questo passaggio era molto poco ispirato, per non dire banalizzato, nel film di Scott, in Trust la coppia di autori che scrive il finale “Consequences” (il già citato Beaufoy e Alice Nutter) sceglie un’altra strada, più sottile ed efficace. La scena che crea un parallelismo – visivo e narrativo – tra il Re Mida e il ricco petroliere è, infatti, un esempio della capacità di questo show di uscire dagli schemi convenzionali, riuscendo a raccontare un evento storico e delle figure immutabili nel tempo con un piglio moderno e innovativo. Se poi a questa scena allegorica si unisce la disperazione di J.P. che distrugge il modello del Getty Museum dopo le critiche negative di tutti i giornali, si ha la definizione perfetta di un personaggio difficilissimo da rendere in modo realistico, proprio perché così estremo e conservatore. Come definire altrimenti un essere umano così avverso al denaro – nel senso dell’oggetto fisico – da conservare gelosamente le sue ricchezze in un trust familiare da cui si può prelevare solo in termini di prestiti e nel quale l’intera somma dovrà comunque inevitabilmente tornare?

The rich are not like us. They’re different. I mean, you put the same water in and they piss the same water out, but they are different. They play a different game.

Trust – Stagione 1Si tratta di una categoria, quella dei ricchi, che anche il fedelissimo James Fletcher Chace, tuttofare esperto di del vecchio Jean, fatica ad inquadrare, costretto a sopperire alla mancanza di una definizione semplice con una sorta di parabola moderna in “John Chapter 11”. Questa parentesi dialogica in chiusura di episodio potrebbe essere una cartina al tornasole per inquadrare tutta l’operazione Trust: il personaggio interpretato da un Brendan Fraser in grande spolvero, infatti, è l’ideale figura postmoderna che veicola la narrazione dalla sua cornice storica, ormai fin troppo lontana dai nostri giorni, allo spettatore contemporaneo. Lo fa attraverso la rottura della quarta parete, uno stratagemma non certamente nuovo neanche in ambito seriale, ma che se ben gestito risulta sempre efficace. Chace si rivolge allo spettatore non per raccontare quello che sta effettivamente accadendo sulla scena – a quello ci pensano le immagini – ma per aggiungere delle didascalie funzionali alla visione: commenti super partes, opinioni non richieste, o semplici ammiccamenti che cercano comprensione o che, più spesso, suonano come una richiesta di aiuto. Il Fletcher Chace di Trust è un personaggio totalmente diverso da quello più idealista e pacato di cui veste i panni Mark Wahlberg in All the Money in the World; con il cappello da cowboy in testa e l’espressione di chi sa sempre tutto è una figura sfuggente e allo stesso tempo onnipresente che, anche negli episodi in cui non appare, sembra essere l’osservatore imparziale chiamato a seguire gli eventi senza poter mai davvero intervenire in prima persona. Risulta interessante, proprio in virtù di questo ruolo, che la scena finale della serie sia quella in cui per la prima volta scopriamo qualcosa di lui, che dimostra di essere l’unico protagonista ad aver davvero imparato qualcosa da tutta la drammatica vicenda.

They’re gonna kill me, right? I would. Nobody came. Nobody paid. And no one’s gonna pay.

Anche i personaggi ai quali non è stato possibile dedicare un intero paragrafo escono rafforzati dalla scrittura solida degli autori: Abigail Getty (Hilary Swank) è la madre disperata che persevera, a differenza di quasi tutti gli altri, nella ricerca della verità sul destino del figlio; Paul Getty Jr. (Michael Esper) è un uomo che egoisticamente antepone la rivendicazione di ciò che gli spetta e la rabbia che ha verso il padre al possibile salvataggio del figlio, finendo inevitabilmente per farsi catturare dal mondo seducente delle droghe. Intelligente, inoltre, la scelta di Beaufoy di dedicare un intero episodio anche al giovane John Paul Getty III, nel quale viene raccontata la vita dissoluta del Golden Hippie prima del rapimento; un segmento narrativo molto bello – anche perché coadiuvato dalla regia di Danny Boyle – dal titolo “La Dolce Vita”, che cita il capolavoro di Fellini così come aveva fatto Scott all’inizio del suo film.
Poteva essere gestita meglio la parte relativa ai personaggi ai quali viene dedicato meno minutaggio, come la presa di coscienza di Bullimore/Khan e le scelte importanti di Belinda e Penelope; tutti e tre i personaggi maturano la volontà di allontanarsi dal giogo contrattuale che li lega al perfido Getty per motivi diversi e alla fine lo faranno davvero. Spezzando il vincolo riprendono in mano le loro vite e comprendono quello che si stavano perdendo: per Penelope era un uomo che la amasse davvero, per Khan era la libertà di essere se stesso, per Belinda la possibilità di essere madre.

Trust – Stagione 1Come si è già accennato la cura registica è una componente importante dell’operazione, che può contare su un team di tutto rispetto: dal già menzionato Danny Boyle, dietro la macchina da presa dei primi tre episodi, fino ai meno noti ma già navigati Jonathan van Tulleken, Susanna White e Dawn Shadforth. In generale le linee guida dettate da Boyle vengono seguite e rispettate, potendo identificare uno stile unitario fino all’ultimo episodio. L’ottimo bilanciamento tra classicità e virtuosismi visivi è riproposto a più riprese in quasi tutta la stagione – forse solo Crialese è meno sperimentale – e raggiunge apici non indifferenti (per citare un caso emblematico i sottotitoli che crollano, letteralmente, in concomitanza dell’esasperazione di Paul in “Kodachrome”). Un altro momento di altissima televisione è la rappresentazione della già citata scena del sesto episodio in cui Chace predica: un montaggio calcolato di scene storiche – sportive e di guerra – alternato a riprese del personaggio dall’alto e dal basso, a seconda del momento del monologo.

Trust non è, dunque, solo una delle più gradite sorprese di quest’anno, ma anche la certificazione di FX come emittente di altissima qualità. Parliamo di un canale che solo quest’anno ha già dalla sua prodotti come Atlanta, Legion, The Assassination Of Gianni Versace e che ha in cantiere progetti interessantissimi come Pose e lo spin-off di Sons Of Anarchy, Mayans MC. La serie antologica sulla famiglia più ricca d’America si iscrive nell’albo degli show migliori dell’anno finora e dà appuntamento ad una seconda stagione che, se confermata, sarà ambientata negli anni Trenta, con l’intenzione di esplorare le origini dell’impero del petrolio dei Getty.

Voto: 8/9

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Informazioni su Davide Tuccella

Tutto quello che c'è da sapere su di lui sta nella frase: "Man of science, Man of Faith". Ed è per risolvere questo dubbio d'identità che divora storie su storie: da libri e fumetti a serie tv e film.


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2 commenti su “Trust – Stagione 1

  • Davide

    Bravissimo,come sempre…condivido tutto(il mio voto è leggermente più basso…diciamo 8-);direi che Luca Marinelli è stato degno coprotagonista pure lui,assolutamente al livello dei vari Sutherland,Fraser etc…etc…su Fox hai ragione:grande attesa per “Pose”…

     
  • Boba Fett

    FX è anche Fargo e quando anche in Trust è arrivata la neve, con quella splendida è surreale sequenza delle condizioni dettate dai rapitori (abiti bianchi, borse bianche, auto bianca…), la nobilissima parentela fra i due progetti, già avvertita soprattutto nel modo di raccontare una storia drammatica con sapiente ironia, mi è sembrata lampante.
    Trust ha fatto centro azzeccando quasi tutto e il merito va in primis a Danny Boyle, grandissimo autore e regista appassionato di musica (la soundtrack, altro plus della serie), al cast azzeccatissimo, agli scenografi e ai costumisti che hanno curato ogni cosa con incredibile precisione (ma delle auto Made in Italy d’epoca, finalmente con le targhe giuste, ne vogliamo parlare?).