American Vandal – Stagione 2 2


American Vandal - Stagione 2Avrebbe potuto chiudersi l’anno scorso e sarebbe stata perfetta così, nella sua gloria di miniserie rivelazione (uno dei pochi casi in cui il termine non è usato a sproposito) e perfetto esempio di come allontanarsi dal modello di quality tv  tradizionale può offrire risultati straordinari. Ma, per nostra fortuna, American Vandal aveva ancora moltissimo da dire, e tutta la consapevolezza per farlo bene, forse anche meglio. 

La seconda stagione dello show Netflix, infatti, è probabilmente ancora più bella della prima, e se riesce ad esserlo è perché ha saputo usare al meglio quanto messo a frutto l’annata precedente. Pur rientrando formalmente nella lista delle serie antologiche, anche in questo caso in una versione personale e originalissima, la serie è ancora la stessa ma diversa, cresciuta. Innanzitutto, sul piano diegetico, si nota subito che rispetto all’anno scorso è tutto molto meno “amatoriale”,  più in termini di gestione del materiale che sotto il profilo strettamente tecnico (visto che, come spiega la brillante e divertentissima meta-sequenza iniziale, il reshoot dopo l’acquisto di Netflix aveva già garantito un’ottima qualità delle riprese e degli effetti già dal primo documentario). Innanzitutto vediamo molto meno del rapporto tra Sam e Peter, le cui eventuali divergenze vengono gestite in maniera più “professionale”. Riconosciamo nei due ragazzi le stesse caratteristiche che avevamo notato nel corso della prima stagione, ma entrambi sono cambiati quel tanto che basta: Sam è ancora il più rilassato dei due, il buffone della coppia, ma adesso prende il lavoro e la causa con molta serietà, mentre Peter continua ad essere quello più coinvolto, più parziale, e allo stesso tempo ossessionato, compiaciuto dal suo ruolo di investigatore e documentarista.

L’impianto della detection, analogamente, è molto simile – potremmo dire quasi ripetitivo, a tratti anche prevedibile – ma con una significativa differenza: il colpevole questa volta è individuato e presentato senza alcun dubbio. Non c’è, quindi, un finale aperto che induca a riflettere sulla brutalità dei processi di “colpevolizzazione” come accadeva l’anno scorso, o almeno tale riflessione non si sviluppa con gli stessi obiettivi e modalità. Stavolta Peter e Sam hanno acquisito la sicurezza necessaria per dire la verità fino in fondo, quel senso di “entitlement” che solo la consacrazione pubblica può darti, ed è quindi ovvio, oltre che conveniente dal punto di vista narrativo, che questa volta un responsabile possa e debba essere svelato. Tuttavia, ciò non impedisce ai due giovani documentaristi – e quindi agli showrunner della serie – di ragionare ancora una volta sui concetti di vittima, carnefice, punizione e redenzione, allargando sempre più lo sguardo alla società contemporanea e affinando ulteriormente una sensibilità già dall’inizio davvero notevole.

American Vandal - Stagione 2Viene subito in mente il lavoro fatto con le prime due puntate, in cui ci viene mostrato, attraverso l’interrogatorio di Kevin, in che modo un evento o una persona possano essere percepiti in maniera opposta a seconda del modo in cui si sceglie, più o meno attivamente, di raccontarne la storia. Pur aspettandosi che la soluzione non sia così semplice, durante la premiere lo spettatore non può fare a meno di constatare quanto sia convincente il quadro dipinto dalla polizia, tanto da chiedersi in che modo i due ragazzi potranno mai metterlo in discussione. Basta un punto di vista diverso, qualche indizio in più, il semplice atto di dare la parola all’accusato per capovolgere la situazione, e pur essendo tutto estremamente prevedibile non soltanto fa parte del gioco – è pur sempre una parodia – ma il districarsi della vicenda è talmente ipnotico, intelligente e ben costruito che non importerebbe neanche nel caso in cui questa “prevedibilità” fosse involontaria.

Non è comunque questo il momento più interessante della stagione, perché a ben vedere non c’è un momento su tutti che ne racchiuda e/o renda innegabile il valore. La forza di American Vandal sta nella sua costruzione, nel modo in cui si serve dei personaggi per portare avanti la trama e della trama per raccontare i personaggi: in poche parole, non è una serie né plotcharacter driven, e neanche un ibrido tra i due. Come tanti show di questa ennesima golden age della tv che in molti ormai definiscono l’era della post-comedy, ma forse meglio di tutti gli altri, AV semplicemente non si pone il problema. Prende un genere, ci lavora intorno, lo trasforma dall’interno e alla fine del genere di partenza, delle sue regole e logiche, non importa neanche più.

Il monologo finale di Peter sulla sua (nostra?) generazione è illuminante, ma il segreto della profondità di analisi di questa stagione sta piuttosto nell’accumulo mai gratuito (anzi spesso quasi sottotono) di dettagli che plasmano non soltanto le personalità dei ragazzi e dei professori del liceo St. Bernardine ma anche l’ambiente stesso in cui si muovono. Tony Yacenda e Dan Perrault conoscono benissimo il mondo che raccontano e viene da chiedersi come sia possibile; la risposta, in realtà, è abbastanza semplice: gli adolescenti, sì, anche quelli di oggi, sono persone. E per quanto ci si possa sforzare di rinchiuderle in rassicuranti categorie predefinite, come gli stereotipi narrativi che tanto amiamo veder ribaltati (e che facilmente, anche durante questo processo, continuano ad essere delle “gabbie” per i personaggi), i due showrunner sanno bene che le persone escono sempre un po’ fuori dai bordi quando colorano la propria vita.

American Vandal - Stagione 2Prendiamo Kevin, la cui condizione di “emarginato” sfugge ad ogni facile categorizzazione. Essere strano per lui è un po’ una scelta, un po’ un dovere, un po’ una condizione che si è ritrovato a dover gestire. Splendida e interessantissima per inquadrare entrambi i partecipanti è la conversazione che lui e il TurdBurglar portano avanti su Rick and Morty: il riferimento è assolutamente geniale e perfetto nel contesto in cui sia Grayson che Kevin – pur con modalità diverse – si formano, ma è ancora più sorprendente quando ci accorgiamo che i due sembrano essere fan del personaggio di Jerry. Per chi non lo sapesse, il fandom della serie di Dan Harmon passa per essere uno dei più tossici del web: secondo questo quadro, ragazzi emarginati per la loro “stranezza”, i classici nerd, vedrebbero nel protagonista della serie – uno scienziato menefreghista che usa la propria intelligenza come scusa per attaccare o ignorare la propria famiglia e gli amici – un modello da seguire, glorificandone e scegliendo, infine, di imitarne il comportamento, soprattutto online. Eppure questi due ragazzi, che rientrano perfettamente nell’identikit di cui sopra, spostano l’attenzione su Jerry, il genero “stupido” e sempliciotto di Rick, concordando sul fatto che forse, nel mondo, ci vorrebbero più persone come lui. Certo, si dicono comunque contenti di essere diversi, superiori, rispetto a chi guarda show come Family Guy, ma non nel modo in cui ci saremmo aspettati. Perché? Beh, perché le persone, ancora una volta, escono sempre un po’ fuori dai bordi.

Si tratta di un frame, qualche secondo che potreste anche esservi perso durante la visione, ma rappresenta un altro acutissimo pezzo del puzzle, complesso ma non inultimente complicato, che è la splendida seconda stagione di American Vandal. Sarebbero moltissimi gli esempi da citare per celebrarne la sensibilità meta, la scrittura asciutta ma carica di empatia, la – non facciamoci problemi a dirlo – genialità. Ma, come scrivevamo più su, non è molto utile: il tutto vale più della somma delle singole parti, come si suol dire, e stavolta ancora più che nella prima stagione il “messaggio” finale si rivela essere piuttosto una celebrazione collettiva della complessità delle relazioni umane (compresa quella con se stessi).

Certo, non è il primo prodotto televisivo a tentare di raccontarlo, ma di sicuro è l’unico che lo fa, e benissimo, parlando anche di cacca.

Voto: 9,5

 

Informazioni su Francesca Anelli

Galeotto fu How I Met Your Mother (e il solito ritardo della distribuzione italiana): scoperto il mondo del fansubbing, il passo da fruitrice a traduttrice, e infine a malata seriale è stato fin troppo breve. Adesso guardo una quantità spropositata di serie tv, e nei momenti liberi studio comunicazione all'università. Ancora porto il lutto per la fine di Breaking Bad, ma nel mio cuore c'è sempre spazio per una serie nuova, specie se british. Non a caso sono una fan sfegatata del Dottore e considero i tempi di attesa tra una stagione di Sherlock e l'altra un grave crimine contro l'umanità. Ah, mettiamo subito le cose in chiaro: se non vi piace Community non abbiamo più niente da dirci.


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2 commenti su “American Vandal – Stagione 2

  • Eraserhead

    Davvero una splendida stagione, soprattutto gli ultimi episodi che dipanano la matassa!
    Ho adorato anch’io il frame su Rick&Morty e apprezzo che vi ci siate fermati per sondarlo a dovere!