Il ritorno di The Good Place era uno dei più attesi di questa stagione autunnale. Con un umorismo ficcante, una scrittura fresca e attenta alla contemporaneità e una capacità di trattare temi complessi come l’umanità e la redenzione anche all’interno di una struttura comedy, lo show creato da Michael Schur aveva prodotto due stagioni frizzanti e coinvolgenti, tra le più apprezzate degli ultimi anni.
Fin dalle prime puntate della stagione inaugurale, The Good Place aveva deciso di stabilirsi e giocare su un campo poco frequentato, quello della comedy etico-filosofica, inaugurando un genere di cui è l’unico attore e distinguendosi per lo humour e per la capacità di trasmettere un messaggio potente. La terza stagione riparte esattamente da dove ci eravamo fermati lo scorso inverno, riprendendo a narrare il viaggio post-mortem dei quattro protagonisti.
Rispediti sulla terra, Chidi, Tahani, Eleanor e Jason sono ritornati in breve tempo ad indulgere nei comportamenti negativi che li avevano condannati la prima volta; è grazie ad un ulteriore intervento di Michael che il quartetto si riunisce ancora una volta in Australia, dove Chidi è alle prese con un progetto di tesi relativo ai possibili cambiamenti comportamentali nelle persone che hanno avuto esperienze di quasi-morte. È in questo sviluppo che assistiamo ad un’ulteriore dimostrazione dell’abilità dei creatori dello show che riescono a riproporre le divertenti interrelazioni tra i protagonisti ma ne modificano ogni volta le premesse, rinfrescando le dinamiche in atto e dando vita a qualcosa di nuovo.
Se la costruzione di un racconto sorprendente, imprevedibile e divertente è la struttura sulla quale si poggia The Good Place, questa doppia première aggiunge un altro tassello alla seconda vocazione dello show, quell’identità etico-filosofica che pone domande e prova a mettere insieme delle risposte su argomenti complessi come la natura umana, la predisposizione alla bontà e la redenzione. Si tratta di questioni su cui si erano rotti la testa show dalle premesse ben più complesse come The Leftovers e Lost, che avevano tentato di indagare la componente spirituale insita nella natura umana, con frequenti escursioni nella religione e nel misticismo. Se gli intenti sono simili, diverso è il metodo con cui si giunge alle conclusioni, con lo stesso Schur che ritiene The Good Place molto meno trascendentale – Schur considera la religione un residuo di credenze primitive – prediligendo una soluzione filosofica alle questioni sollevate dalla mortalità umana.
Il messaggio scandito da “Everything is Bonzer!” è lo stesso a cui pervenivano i naufraghi di Lost dopo lunghe stagioni di peripezie: i quattro redivivi non possono redimersi in solitaria ma devono aiutarsi a migliorare vicendevolmente. In sintesi si tratta della stessa conclusione a cui giungeva Aristotele che, nella Politica e nell’Etica Nicomachea, descriveva l’essere umano come un animale bisognoso di un contesto comunitario per potersi elevare e rispettare le proprie potenzialità. È proprio dalla ricostituzione del gruppo che The Good Place pone le basi per un nuovo giro di giostra. L’aggiunta di Simone come love interest di Chidi (interpretata da Kirby-Howell-Baptiste già vista quest’anno in Killing Eve e Barry) e la reintroduzione del super demone Trevor (Adam Scott) sovvertono gli equilibri a cui eravamo abituati, mentre Michael – con Ted Danson che meriterebbe elogi ad ogni paragrafo – ritorna nel ruolo di regista che aveva interpretato anche nella prima stagione, ma trovandosi dalla parte opposta della barricata, a fare il tifo e ad aiutare Eleanor, Chidi, Jason e Tahani.
Quello che continua a far ben sperare è la capacità di The Good Place di reiventarsi. Azzerare per l’ennesima volta la situazione precedente sarebbe stata una bandiera nera per qualsiasi altro show, ma la creatura di Michael Schur ha dimostrato a più riprese di saper mantenere il livello anche senza dover scoprire subito le proprie carte. È già possibile percepire qualche eco di Ritorno al Futuro nelle numerose ingerenze di Michael nel mondo reale e nelle conseguenze che queste potranno avere, ma, a parte questo, tutto il resto rimane imperscrutabile e i numerosi capovolgimenti del passato danno linfa alla costruzione delle ipotesi più impensabili. Al di là di questo sport interpretativo, ciò che resta è la compattezza di un plot che dimostra di avere una direzione ignota allo spettatore ma ben chiara nella testa di chi scrive, dove ogni capovolgimento, ogni colpo di scena, ogni maturazione è supportato da una logica evidente che scongiura qualsiasi forzatura.
“Everything is Bonzer!” è quindi l’ottimo esordio di stagione di uno show che si conferma ad altissimi livelli nella sua doppia vocazione. Oltre alle escursioni etico-filosofiche, The Good Place rimane divertente nelle trovate, nel prendersi gioco della società e nel suo rapporto con la contemporaneità. È diventato comune nel panorama televisivo americano schierarsi apertamente contro le politiche e gli atteggiamenti del presidente Trump per catturare le simpatie di quella fascia della popolazione scontentata dagli sviluppi politici degli ultimi anni; lungi dal creare qualche preoccupazione al presidente, questi attacchi continui ottengono un effetto opposto. Da un lato è evidente la vanagloria con cui gli autori si rimirano allo specchio congratulandosi con se stessi per la brutalità della loro scrittura, dall’altro questi attacchi ripetuti finiscono con l’avere un effetto catartico sullo spettatore che, sentendosi capito e vedendo le proprie ansie condivise, vede sgonfiarsi il proprio malcontento nel caldo abbraccio del “mal comune, mezzo gaudio”. La scelta operata da The Good Place è più sottile ma, non per questo, meno plateale. Negli Stati Uniti – dove i protagonisti sono tornati in breve tempo ad indulgere nei difetti che li avevano condannati – non c’è possibilità di redenzione e il cammino migliorativo di Tahani, Chidi, Eleanor e Jason ha bisogno di un ambiente diverso, e dunque deve continuare in Australia.
Gli avvenimenti di “Everything is Bonzer!” sono quindi un’ottima notizia per chiunque si fosse preoccupato per gli sviluppi del finale della scorsa stagione. I flashback relativi alle esperienze terrene dei protagonisti raramente potevano considerarsi degli highlight e c’era il giustificato timore che si perdesse tempo nel creare l’occasione per riunire i personaggi. Bastano quaranta minuti per capire come questi timori fossero infondati: la ricostituzione del gruppo originario e gli sviluppi portati dal cliffhanger sono un’ottima rassicurazione per il prosieguo della stagione.
Voto: 8
Nota: il titolo dell’episodio “Everything is Bozer!” è collegato a quello delle première delle due stagioni precedenti, “Everything is Fine” ed “Everything is Great”. “Bonzer” infatti è un’espressione popolare in Australia per dire meraviglioso.