Ci sono voluti 7 episodi perché questa undicesima stagione, la prima con la Dottora di Jodie Whittaker, esprimesse fino in fondo il proprio potenziale, ma finalmente “The Witchfinders” apre una doppietta di puntate che ci fanno sentire di nuovo a casa e contemporaneamente nella nuova era che il Doctor Who di Chibnall ci aveva promesso – purtroppo, fino ad ora, senza riuscire a mantenere la parola
Salvo giusto un paio di episodi, questa stagione sembrava essersi attestata su un livello qualitativo mediocre: non pessima, certo, ma dimenticabile – nonostante fosse la prima con un Dottore donna, e quindi la rivoluzione che tanti whovian attendevano proprio per portare la serie a quel salto di qualità di cui aveva disperatamente bisogno. Se, infatti, “Rosa” aveva funzionato perché mostrava una Dottora forse davvero per la prima volta spoglia di ogni paternalismo (soprattutto se pensiamo al suo predecessore diretto: il Twelve di Peter Capaldi) – servendosi del cambio di genere in uno dei modi più incisivi possibili –, e “Demons of The Punjab” ci aveva finalmente regalato una storia ben costruita in ogni suo dettaglio, le altre puntate, fino ad ora, non avevano minimamente reso giustizia al personaggio interpretato dalla sempre più brava Jodie Whittaker e alla sua evoluzione ancora in potenza.
In maniera molto simile ai due esempi appena citati, al contrario, “The Witchfinder” e “It Takes You Away” sfruttano al meglio sia la tradizione di Doctor Who che le potenzialità di un nuovo corso: analogamente a “Rosa”, “The Witchfinder” ragiona sul ruolo della Dottora nella storia e nella Storia, concentrandosi in particolare sulla sua condizione di donna in un mondo sessista; come “Demons of the Punjab”, invece, “It Takes You Away” mescola sapientemente le due dimensioni in cui il miglior Doctor Who è in grado brillare, ovvero una buona storia costruita con cura e la componente emotiva.
Honestly, if I was still a bloke, I could get on with my job and not have to waste time defending myself – “The Witchfinder”
La caccia alle streghe come pretesto narrativo perfetto per parlare di condizione femminile: una premessa sicuramente non molto originale, ma chi poteva usarla al meglio se non uno show che parla di una (donna) viaggiatrice nel tempo? Anzi, si può dire che in questo caso una scelta del genere fosse probabilmente necessaria per risollevare la stagione dalla sua tragica incapacità di affrontare di petto la questione Dottore/Dottora. In “The Witchfinder”, non a caso il primo episodio dell’annata ad essere sia scritto che diretto da una donna, il genere del Doctor viene finalmente messo al centro della storia, problematizzando il rapporto che la protagonista ha con il potere.
Lo vediamo subito, prima con Mrs. Savage e poi con Re James: i due mettono immediatamente in dubbio l’autorità della nostra eroina, mentre, come sottolinea la stessa Dottora, in passato prendere il comando della situazione e farsi ascoltare anche da perfetti sconosciuti non era mai stato un problema. Ancora più interessante è, però, il confronto tra le reazioni di queste due figure, un uomo ed una donna in un periodo storico in cui la parità tra i sessi non era nemmeno un sogno remoto. Se, infatti, Mrs. Savage prende comunque per buona la storia di copertura della Dottora, la physic paper non riesce a superare le resistenze del tempo e Re James vede l’unica cosa accettabile per lui: il titolo di assistente, di certo non quello di persona al comando. Allo stesso tempo, però, è la donna, tra i due, a risultare la più spietata nella caccia alle streghe, la più irremovibile; e questo perché entrano in gioco altre variabili, che possono anche essere lette come una metafora della condizione femminile ancora tristemente attuale. Mrs. Savage agisce con una tale brutalità perché si trova, lei per prima, in una posizione di svantaggio: a guidarne le azioni è la paura, che al contrario non tocca, ovviamente, Re James. Quest’ultimo si trova nella posizione (di privilegio, potrebbe dire il femminismo) di poter ascoltare ed infine aiutare la Dottora, sorretto dalla propria fede e dalla propria condizione di potere. Lo stesso status che, in conclusione di episodio, lo porterà, però, ad ignorare le indicazioni della Doctor e a fare comunque di testa sua, sacrificando – in un gesto che ha anche un certo valore simbolico – la vita di Mrs. Savage.
In poche parole “The Witchfinder” è un piccolo trattato sulla condizione delle donne ieri come oggi, un esercizio di scrittura non particolarmente originale e a tratti fin troppo didascalico ma, nell’economia della serie e soprattutto di questa stagione, necessario. Inoltre è anche una delle poche puntate di quest’anno che riesce ad essere una storia avvincente e ben costruita, forse un po’ raffazzonata nel trattamento dei monster of the week ma capace di dire tutto quello che voleva dire senza risultare confusa (come successo, ad esempio, con “Kerblam!“).
I miss you. I miss it all, so much – “It Takes You Away”
Se l’episodio che la precede è un bell’esempio del Doctor Who più politico, “It Takes You Away” è pura fantascienza favolistica nella migliore tradizione della serie. Ambientata nel presente per evitare “distrazioni”, la puntata si serve di elementi fantastici e weird per raccontare una storia che è innanzitutto umana: da un lato troviamo il rapporto tra Anne e il padre, che viene analizzato in maniera magistrale, dall’altro la questione elaborazione, più che del lutto tout court, dell’assenza delle persone care che ci hanno lasciato, e dunque della solitudine. Una riflessione che si estende, se non addirittura parte, dal “personaggio” del Solitract, splendida trovata di Ed Hime forse introdotta in maniera frettolosa ma di grandissima potenza, sia narrativa che simbolica. L’universo senziente condannato all’isolamento è un villain-non villain in piena regola, che cerca disperatamente qualcuno con cui condividere la propria esperienza del mondo e, nel farlo, prova anche a realizzare i desideri delle persone che “invita” a raggiungerlo. Di cosa poteva servirsi per attirarli se non del bisogno di intimità e condivisione che conosce così bene e che, a ben vedere, è davvero universale?
Certo, si tratta di un topos già ampiamente utilizzato, anche da Doctor Who, ma la carica emotiva delle scene all’interno della dimensione parallela non ne viene scalfita, anzi. A contribuire alla forza dell’episodio e nello specifico di questi frangenti c’è poi la rappresentazione di Anne, che non soltanto si comporta in modo relativamente maturo per una ragazzina (almeno secondo gli standard televisivi) ma, insieme alle considerazioni sparse di Yaz e della Dottora, è il veicolo narrativo perfetto per problematizzare il comportamento del padre, il quale viene sì perdonato ma non interamente giustificato per averla ingannata ed abbandonata.
Infine non possiamo non citare il momento più assurdo dell’episodio, in cui la Doctor si ritrova da sola a parlare con una rana: il fattore maccosa è sicuramente uno degli aspetti più notevoli e divertenti della sequenza, ma il suo fascino risiede soprattutto nel dialogo tra i due personaggi. Qui la scrittura mette in scena la vera essenza di Doctor Who e del suo protagonista, ovvero quel mix di curiosità e rispetto per l’altro da noi (You are the maddest, most beautiful thing I’ve ever experienced and I haven’t even scratched the surface), di attrazione per l’ignoto e di ricerca di un rapporto sincero di condivisione tra esseri, umani o meno. L’ennesimo inno all’amicizia, insomma, ma inaspettatamente fresco e commovente come fosse il primo.
Per quanto la puntata sia davvero ricchissima di stimoli provenienti dalla tradizione fantascientifica e non solo – la dimensione cuscinetto e chi la popola, il mostro inesistente, i doppelgänger – riesce quindi ad essere compatta, diretta e incisiva, regalandoci un finale sorprendente.
In conclusione, entrambi gli episodi risultano superiori alla media di questa stagione e vanno a rappresentare degli ottimi apripista per quello che speriamo sarà un season finale all’altezza delle aspettative che, ormai, sono tornate ad essere alte.
Voto 11×08: 7½
Voto 11×09: 8½