Da quando la gallina dalle uova d’oro The Walking Dead ha iniziato a sfornare uova di rame ossidato, perdendo anche il successo di pubblico dopo aver detto subito addio a quello della critica, AMC si è trovata nella scomoda posizione di dover trovare uno show di punta attorno a cui strutturare la propria programmazione. In attesa di vederselo capitare tra le mani la rete via cavo ha mandato in onda, la scorsa estate, Lodge 49 che, pur senza il conforto dei numeri in quanto a spettatori, ha dimostrato di essere molto più di uno show estivo.
In una Long Beach sofferente, in cui la bellezza dell’oceano è invasa dai parcheggi e le felicità è appena dietro l’angolo ma tu ci sei passato davanti senza rendertene conto, Dud (Wyatt Russell) è un ex surfista alla deriva, senzatetto e senza prospettive da quando il padre è annegato lasciando lui e la sorella Liz (Sonya Cassidy), cameriera allo Shamroxx nonostante le indubbie potenzialità, ad annaspare in un mare di debiti. Incapace di riprendere in mano la situazione – anche a causa del morso di un serpente ad una caviglia che non gli permetterà mai di riprendere a surfare – Dud si trascina da un divano all’altro mostrando tratti della personalità assimilabili (a partire dal nome) al Dude dei fratelli Coen. Lodge 49 introduce il suo protagonista mentre, setacciando la spiaggia con un metal detector, si imbatte per caso in un anello con impressa l’immagine di una lince. Il caso – o il destino – è un elemento fondamentale nella vita di Dud che scopre come quell’anello sia associato all’Ordine della Lince, una confraternita semisegreta e decadente che ha nella “Lodge 49” la propria sede locale. Decide così che entrare a far parte dell’Ordine sia una tappa fondamentale del suo destino e le sue vicende si intrecciano profondamente con quelle dei membri della Loggia, tra cui Ernie (Brent Jennings) – un venditore ossessionato dalle azioni di “Captain”, un affarista misterioso che sta sconvolgendo il business locale -, Larry (Kenneth Welsh) – il leader della Loggia e depositario dei segreti alchemici – e Blaise (David Pasquesi) – farmacista olistico nonché barman ufficiale della confraternita.
Il concatenarsi degli eventi e l’intrecciarsi delle relazioni tra i protagonisti rende particolarmente difficile riassumere la trama in maniera chiara, soprattutto quando questa viene sconvolta dalle incursioni di un realismo magico che si porta in dote morsi di serpente, multinazionali voraci, mummie, foche avventurose e lombrichi invadenti.
A partire da questa descrizione Lodge 49 potrebbe essere travisata in un racconto frenetico, quasi sopraffacente: non è così. Lo show creato da Jim Gavin si prende tutto il tempo di cui ha bisogno – a volte persino troppo, rischiando di stornare l’attenzione dello spettatore ben prima di calare i propri assi – per costruire l’immaginario e, una volta completata l’opera, si premura di stravolgerlo completamente.
Da qui scaturiscono le difficoltà nell’inquadrare Lodge 49 in un genere canonico. Come il suo protagonista lo show è inerziale, lascia che il giudizio gli scorra addosso senza esserne intaccato in maniera visibile. Allo stesso tempo, una volta preso lo slancio, diventa inarrestabile ed ambizioso, trasformandosi in un’opera sull’elaborazione del lutto e, più in generale, in un dramedy con vocazione filosofica sulla ricerca del senso della vita. La filosofia e l’introduzione di tematiche spirituali vanno di pari passo con il progredire della stagione. Le simbologie alchemiche di cui l’Ordine della Lince è custode non credente diventano un mezzo come qualsiasi altro per porsi le giuste domande e provare a darsi le risposte migliori sul significato dell’esistenza e sull’interrelazione tra caso e destino.
A partire da quest’ultimo punto è bene far notare una scelta di casting eloquente e felice: il Sovereign Protector della Loggia è interpretato da Kenneth Welsh, già noto nel mondo seriale per aver dato corpo e voce al Windom Earle di Twin Peaks, a sua volta ossessionato dalla Loggia Nera e dalla mitologia ad essa sottesa. Non è l’unico momento di contatto: l’universo di Lodge 49 è, come quello lynchiano, saturo di sogni e segni, pur senza condividerne l’elemento disturbante. Al di là dell’accento sulla dimensione onirica e di una colonna sonora psichedelica ed ossessiva, lo show di AMC rifiuta i sottotesti psicologici ed inquietanti delle produzioni lynchiane e, nonostante la vocazione drammatica, sa mantenere i toni leggeri, sfociando a più riprese in una comicità surreale ed inattesa.
A voler ricercare prodotti seriali simili o perlomeno accostabili si finirebbe con lo scornarsi con la difficoltà dell’impresa. Allargando il campo fino a comprendere l’universo cinematografico vengono in mente il già citato The Big Lebowsky con cui condivide la caratterizzazione del protagonista e le ambientazioni o la vena surreale de I sogni segreti di Walter Mitty. Per chi scrive, tuttavia, il parallelismo più indovinato è con un’opera letteraria che ebbe grandissimo successo negli anni Settanta: Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta di Robert M. Pirsig, un’autobiografia di viaggio in cui l’autore tentava di integrare i principi dello Zen con gli assunti della società occidentale in quella che lui definiva la Metafisica della Qualità. Si tratta di un’idea che anima anche la scrittura di Jim Gavin che, senza costruire un sistema filosofico ex novo, completa il ritratto di una comunità viva ma strozzata da un pessimismo consapevole e da una realtà di sempre più difficile comprensione, che si dibatte nella speranza di giorni migliori.
Più in generale Lodge 49 ha ben poco a che fare con i classici prodotti della Peak Tv a cui siamo abituati. Ha bisogno che le sia concesso un credito abbastanza ampio – almeno per i primi tre episodi – prima di iniziare a pagare i suoi dividendi; è infatti necessario riuscire a penetrare nella logica dell’universo di Dud e dei suoi compari per poterne apprezzare le sfaccettature. Un esempio su tutti: la menomazione dovuta al morso del serpente, che a prima vista è solo uno status quo narrativo, racchiude in realtà una triplice mitologia con il peccato originale del serpente dell’Eden, la superbia di Achille e la perenne agonia del Re Pescatore che raccontano in maniera eloquente la tragedia del protagonista e della comunità che lo circonda.
Arrivato sulle scene in sordina, Lodge 49 è una novità tra le più interessanti di quest’annata seriale e, superata la lentezza dei primi episodi, si rivela intellettualmente stimolante e in grado di fornire – attraverso personaggi surreali, sequenze oniriche o situazioni alchemiche – gli spunti per provare a dare una risposta alla domanda che campeggia sui cartelloni pubblicitari disseminati per tutta Long Beach: “Is there another way to live?”
Finalmente un’articolo sulla Loggia 49!!! Lamentavo proprio ieri, commentando la “lista delle serie del 2018” di un’altro sito, l’assenza di questo fantastico show, stranamente ignorato dal grosso della nostra “critica” -colpa del caldo estivo? E’ stata pure doppiata. Boh.
Comunque ottimo articolo, rende giustizia alla serie
Ciao, scusate l’OT.
Posso approfittare di questa rubrica dedicata alla serie da consigliare per consigliarvi di consigliare al più presto “Press” della BBC?
Beh, l’ho fatto! 😀
Erano mesi che setacciavo siti di recensioni serie tv, mi chiedevo come nessuno si fosse accorto della loggia……grazie